Media sotto attacco e attivismo in fermento, arriva Donald
Nemico numero uno: i media mainstream. Questo il succo della prima conferenza-stampa tenuta da Donald Trump mercoledì scorso, dopo quasi sei mesi. Prima definendo “inutile spazzatura” il resoconto (non totalmente comprovato) con cui Buzzfeed News ieri parlava di legami diretti tra Trump e la Russia e poi rifiutandosi di ascoltare la domanda del corrispondente della CNN, Jim Acosta, perché “voi siete le fake news“.
Ottimo inizio, non c’è che dire, per instaurare un rapporto di reciproca fiducia con le testate d’informazione, e per estensione, con la cittadinanza tutta – se non con l’intero pianeta. Suggerendo che basta affidarsi a piattaforme tipo Twitter per fare informazione e politica. Inevitabile tuttavia la domanda: pur se il suo Twitter-feed vanta quasi 20 milioni di “follower”, può il Presidente della maggiore democrazia al mondo puntare tutto su quest’unico canale top-down? Come la mettiamo con la trasparenza, il dibattito pubblico, la molteplicità di voci diverse?
Vero è che a pochi giorni dal suo insediamento ufficiale alla Casa Bianca, finalmente il neo-presidente ammette (dopo averlo negato ripetutamente) che c’è la mano di Mosca dietro alle manovre che hanno inquinato la campagna presidenziale. Salvo ripensarci subito dopo: “Forse gli attacchi informatici sono stati compiuti anche dalla Russia, ma credo anche da altri Paesi, dalla Cina, da altre persone“.
Un quadro tipicamente confusionario e caotico che si riflette in primis proprio su Twitter, con Daily Kos che parla di “tracollo” di Trump, e dove l’hashtag super-trafficato #TrumpConference Press, include rilanci d’ogni tipo, immagini ironiche e commenti al vetriolo, com’è spesso il caso. E un editoriale di Wired si chiede:
Se il neo-Presidente Trump ritiene che la stampa è corrotta, a chi dovrebbero affidarsi gli americani per tenere sott’occhio lui e la sua amministrazione? Vuol forse far credere al pubblico che sia lui l’unica fonte affidabile?
Un quadro che stride non poco con il succo (e le reazioni) del discordo di commiato di Obama la sera precedente. Dove ha fatto spicco l’esortazione a “mettersi in gioco di continuo per sostenere la democrazia come cittadini, scendendo in campo personalmente“. E anche qui, è Twitter a rilanciare il sentimento popolare (ben più che “fare informazione”), inclusi fotomontaggi creativi che esemplificano il divaricante effetto provocato dai due eventi:
[Come si sono sentiti gli americani dopo il discorso di commiato di Obama (a sinistra) e dopo la conferenza stampa di Trump (a destra)]
Intanto il variegato fronte del dissenso continua ad affilare le armi. A partire dall’organizzazione di proteste in contemporanea con l’inaugurazione ufficiale a Washington, venerdì 20 (con la presenza di almeno 900.000 persone sotto una varietà di sigle e gruppi), mentre sono ancora al vaglio delle autorità i permessi per almeno due dozzine di altre manifestazioni nella capitale. Ciò in aggiunta a una miriade di eventi (“sister marches”) sull’intero territorio nazionale e alla Women’s March on Washington di sabato 21 (in arrivo oltre 250.000 persone, 1.200 autobus e parecchi volti noti, da Katy Perry a Scarlett Johansson e Amy Schumer).
Iniziative attivamente sostenute anche dal variegato mondo buddista, sia a livello individuale che di comunità, come rivela la sezione speciale del periodico specializzato Lion’s Roar: si propongono dettagli e link sui vari eventi, dalle sedute di meditazione a cerimonie per la pace, insieme a commentari e insegnamenti di importanti esponenti per riflettere sull’attuale, delicata situazione secondo “la visione Buddista”.
Ancora, il gruppo d’interesse pubblico Public Citizen ha lanciato un apposito sito web (CorporateCabinet.org) per dettagliare le attività industriali e i potenziali conflitti d’interesse dei vari esponenti del possibile gabinetto Trump, “il più benestante della storia Usa“. Informazioni importanti in questi giorni, con il Senato impegnato nelle audizioni pubbliche sui nomi proposti, pratica che insolitamente sta avvenendo in tutta fretta pur di rispettare i tempi – suscitando diffuse preoccupazioni e perfino proteste in aula.
Uno dei nomi più controversi rimane Jeff Sessions come Attorney General: senatore repubblicano dal 1996, ha ricevuto quasi 2,5 milioni di dollari dalle industrie finanziaria, assicurativa e immobiliare. Nel 2016 i vari contractor del settore della difesa hanno versato oltre 300.000 dollari alla sua campagna elettorale. Ciò in aggiunta ad aver espresso in passato posizioni anti-immigrazione e razziste.
Interessante infine un post della serie “Il Meglio di…”: i sette libri utili per capire (e controbattere) l’era Trump. Tra questi, sicuramente cruciale è la storia del pensiero conservatore (Corey Robin, 2012), che poggia su un semplice pilastro:
difendere il potere e il privilegio contro i movimenti che reclamano libertà e uguaglianza.
Visto l’ampio fronte progressista che storicamente fa da contraltare a simili spinte conservatrici, ovvio che l’attuale scenario Usa continui a evidenziare spaccature profonde. Un quadro complesso e difficile da sanare a breve termine, pur se parte dell’inevitabile avvento della modernità liquida ben illustrata dal sociologo Zygmunt Bauman, recentemente scomparso. La cui bruciante passione civile e l’infinita generosità intellettuale restano esempi vitali per trovare oggi risposte non settarie, partecipate e pro-positive anche (e soprattutto) da questa parte dell’oceano.
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