Israele-Hamas, la differenza tra pausa umanitaria e cessate il fuoco

[Traduzione a cura di Gaia Resta dell’articolo originale di Malak Benslama-Dabdoub pubblicato su The Conversation]

Fermo immagine tratto dal video trasmesso da Tasnim News Agency, che mostra il cortile dell'ospedale Al-Ahli Arab di Gaza City in seguito all'esplosione di un ordigno il 17 Ottobre 2023. Gli autori sono ancora oggetto di disputa. Foto da Wikimedia Commons con licenza CC
Fermo immagine tratto dal video trasmesso da Tasnim News Agency, che mostra il cortile dell’ospedale Al-Ahli Arab di Gaza City in seguito all’esplosione di un ordigno il 17 ottobre 2023. Gli autori sono ancora oggetto di disputa. Foto da Wikimedia Commons con licenza CC

Il leader del partito laburista britannico, Keir Starmer, è stato oggetto di critiche da parte dei suo stessi compagni di partito per aver rifiutato di invocare il cessate il fuoco nella guerra tra Hamas e Israele, e ha invece spinto per una pausa umanitaria. Come conseguenza di ciò, 50 consiglieri laburisti hanno lasciato il partito. Questa controversia fa emergere chiaramente la differenza tra pausa umanitaria e cessate il fuoco.

Il conflitto è iniziato all’alba del 7 ottobre 2023 quando i combattenti di Hamas hanno lanciato un attacco a sorpresa contro Israele, uccidendo almeno 1.400 israeliani e prendendo in ostaggio oltre 200 civili.

Israele ha poi risposto all’attacco lanciando un assalto su Gaza, iniziato con un incessante bombardamento aereo e tuttora in atto con un’offensiva via terra. Secondo il ministero di Gaza per la Sanità, almeno 10.000 persone – soprattutto civili – sono stati uccisi a Gaza dall’inizio del conflitto, tra cui 4.100 bambini.

Altre 25.000 persone sono rimaste ferite e centinaia di migliaia sono sfollate all’interno della Striscia e impossibilitate a partire per via del blocco imposto da Israele.

I massicci bombardamenti da parte di Israele hanno prevedibilmente portato a un disastro umanitario. Il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha definito la situazione a Gaza un “orribile incubo”.

Le Nazioni Unite e altri Paesi hanno fatto pressione su Israele per una “pausa” negli scontri per far arrivare gli aiuti umanitari nella Striscia.

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha messo al voto un certo numero di risoluzioni a supporto del cessate il fuoco o di una qualche forma di tregua ma, ogni volta, uno o più membri permanenti hanno posto il veto. Una risoluzione non vincolante è stata approvata dall’Assemblea generale il 27 ottobre, ma è stata ignorata dal Governo israeliano.

Una pausa umanitaria

Gaza non ha accesso agli aiuti umanitari di base a causa dell’assedio e dell’embargo imposto da Israele sulla Striscia. Anche prima dell’inizio della guerra, Gaza era stata soggetta a un blocco lungo 16 anni, da quando Hamas aveva preso il controllo politico della Striscia nel giugno 2007.

Dopo l’attacco da parte di Hamas del 7 ottobre, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha ordinato l’“assedio totale” su Gaza, un’operazione che prevede il taglio degli approvvigionamenti di elettricità, cibo, acqua e gas. Queste gravi carenze hanno messo a rischio il sistema sanitario del Paese: gli ospedali ora fanno ricorso ai generatori per l’energia elettrica e soffrono per gravi mancanze di forniture mediche essenziali.

Secondo le Nazioni Unite, si definisce come pausa umanitaria “una temporanea cessazione delle ostilità esclusivamente per finalità umanitarie”. Viene attuata per un periodo di tempo limitato in una località geografica specifica.

La pausa consente ai civili bloccati in aree di conflitto di spostarsi al sicuro, di avere accesso o ricevere assistenza medica. Permette, inoltre, il passaggio di forniture essenziali come cibo, carburante e medicinali.

Considerato il contesto di Gaza, una pausa potrebbe – per esempio – mettere i civili in condizione di lasciare l’enclave tramite l’attraversamento di Rafah e andare in Egitto. L’attraversamento è stato aperto per periodi limitati per consentire ad alcuni sfollati di andar via e ad alcune forniture di entrare. Ma non è suffciente.

A livello internazionale un consenso crescente si sta raccogliendo – anche da parte dei Paesi che sostengono Israele come gli USA – intorno alla necessità di, quantomeno, una pausa umanitaria.

Tuttavia, alcuni controbattono che suddetta pausa non basti a fermare temporaneamente i bombardamenti su Gaza. In una relazione in cui si invoca un cessate il fuoco generale, Oxfam scrive che – in base alla loro esperienza – tali pause possono esporre la popolazione a rischi anche maggiori in quanto solitamente non vi è chiarezza sulle aree sicure e la durate delle pause.

Nella relazione è riportato che “si diffondono voci e informazioni erronee su strade o aree ‘sicure’ perché demilitarizzate ma che spesso in realtà non lo sono, per cui le persone accedono a zone di guerra convinte che siano sicure“. All’inizio delle ostilità, strade che erano ritenute passaggi sicuri per l’evacuazione da Gaza sono state invece bombardate.

Di conseguenza, l’unica soluzione umanitaria ideale è il cessate il fuoco.

Cessate il fuoco: un piano per porre fine alle ostilità

Quello del cessate il fuoco è un procedimento di tipo politico anziché puramente umanitario. Spinge i partiti a riunirsi per trovare una soluzione politica al conflitto.

Viene inteso come un processo più a lungo termine rispetto a una pausa e in teoria si applica all’intera area geografica bellica. Nel caso in questione, si tratterebbe dell’intera Striscia di Gaza e anche delle altre regioni interessate dalle ostilità come il Sud del Libano, dove le truppe israeliane si stanno scontrando con Hezbollah.

A Gaza, il cessate il fuoco significherebbe uno stop totale agli scontri da entrambi i lati, e l’eventuale liberazione o scambio di ostaggi. Non implicherebbe soltanto la fine dei bombardamenti su Gaza, ma obbligherebbe Hamas a fermare gli attacchi contro Israele.

È importante notare che, come una pausa, il cessate il fuoco non è un accordo di pace definitivo. Ciò detto, la finalità è quella di creare le condizioni per un accordo permanente.

Raggiungere l’intesa sul cessate il fuoco molto probabilmente richiederebbe il coinvolgimento di mediatori, come gli USA, il Qatar o l’Iran.

Nella precedente guerra di Hamas contro Israele nel 2021, le due parti concordarono il cessate il fuoco dopo 11 giorni di distruzione che provocarono la morte di oltre 200 persone. In quell’occasione, fu l’Egitto a fare da mediatore.

Da quando il 7 ottobre sono iniziate le ostilità, il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha rifiutato tutti gli inviti a una pausa umanitaria e a un cessate il fuoco.

Tuttavia, gli Stati Uniti e altri alleati di Israele continuano a fare pressione su Netanyahu perché si attui almeno una pausa. Il premier insiste che si potrebbero definire delle “piccole pause” per consentire la liberazione degli ostaggi o per facilitare l’entrata degli aiuti umanitari, ma che uno stop alle ostilità di più lunga durata non sarà possibile finché Hamas non libererà tutti gli ostaggi. E così il massacro continua.

[Voci Globali non è responsabile delle opinioni contenute negli articoli tradotti]

Gaia Resta

Traduttrice, editor e sottotitolista dall'inglese e dallo spagnolo in ambito culturale, in particolare il cinema e il teatro. L'interesse per un'analisi critica dell'attualità e per i diritti umani l'ha avvicinata al giornalismo di approfondimento e partecipativo.

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