Bambini in guerra, abusi oltre ogni limite su minori usati in conflitti
Quando i grandi giocano alla guerra, i bambini perdono sempre. Uccisi, mutilati, obbligati a imbracciare armi che a stento riescono a reggere, rapiti, stuprati. Arrestati, e abbandonati. È successo almeno 27.800 volte nel 2022, le Nazioni Unite non avevano mai registrato tante gravi violazioni contro i minori vittime dei conflitti armati di tutto il mondo in un solo anno.
Non si tratta di certo, e purtroppo, di una novità. Tra il 2012 e il 2019, per esempio, un attentato terroristico su sette nel mondo è stato portato a termine da bambini bomba, arruolati dai gruppi armati e mandati a partecipare alle missioni suicida. Tra il 2005 e il 2022, poi, i crimini di guerra verificati contro i bambini ammontano ad almeno 315 mila, una cifra esorbitante che dovrebbe far gelare il sangue a chiunque. E, più in generale, dalla Seconda guerra mondiale in poi, il 45% di tutti i caduti nei conflitti sono stati bambini.
L’ultimo dossier Onu sul tema, presentato al Consiglio di Sicurezza dalla Rappresentante speciale per i bambini e i conflitti armati, Virginia Gamba, lo scorso 5 luglio, è però la più lunga conta degli orrori e delle vergogne mai stilata.
Ogni sorta di abuso e scempio si è compiuto contro quasi 19mila dei 468 milioni di bambine e bambini costretti a vivere nelle zone di conflitto lo scorso anno. Da parte di tutte le forze in campo. In tutte le 24 situazioni nazionali (comprese quelle di Haiti e Niger, appena entrate a gamba tesa tra le crisi più preoccupanti per quest’anno) e in quella regionale (il bacino del Ciad) coperte dall’indagine.
Ventitré corpi di bambino sono rimasti ogni giorno sui terreni di guerra. Erano 8.630 storie ancora tutte da scrivere. Si sono ritrovate in mezzo al fuoco incrociato dei combattimenti, ci è caduto sopra un missile, sono state deliberatamente colpite da proiettili, oppure sono saltate su una mina antiuomo. 2.985 bambini sono morti così, gli altri (5.655) sono sopravvissuti ma hanno perso gambe, braccia, o forse un occhio.
Solo in Ucraina, 477 bambini sono morti ammazzati tra febbraio e dicembre 2022. E 909 sono stati mutilati. La grande maggioranza è rimasta vittima degli attacchi aerei, delle armi esplosive ad ampio raggio e degli ordigni improvvisati. I primi 500 giorni di guerra nel loro complesso ne hanno uccisi 532 di bambini, e ne hanno feriti 1.092. Una media di tre vittime al giorno tra l’inizio dell’invasione e il 23 giugno 2023, ha denunciato Save the Children.
“La sofferenza che bambini hanno dovuto sopportare da quando è scoppiata una guerra su vasta scala è inimmaginabile. Nessun bambino in Ucraina è al sicuro”, ha dichiarato Sonia Khush, Direttrice dell’organizzazione nel Paese, chiedendo di non ignorare tutti gli altri modi in cui una guerra distrugge la vita dei bambini, anche di quelli che ne sopravvivono. “Con la minaccia di attacchi missilistici sempre presente, uno stato di costante disagio è diventato la nuova norma per i bambini. Il rischio per la salute mentale e il potenziale di danni a lungo termine non possono essere sottovalutati“, ha avvertito.
Poi ci sono quelli che sono stati rapiti, 3.985. Bottini di guerra, per la maggior parte fatti soldati o schiavi sessuali. Tanti quelli venduti in matrimonio. Di troppi non si sa più nulla, spariti. Repubblica Democratica del Congo e Somalia hanno fatto segnare i numeri più alti, rispettivamente 730 e 694 rapimenti nel solo 2022.
In 7.622, invece, sono stati reclutati dalle forze governative o dai gruppi armati, + 21% rispetto all’anno precedente. La Siria resta indiscutibilmente il Paese dei bambini soldato, 1.696 quelli armati nel 2022. Sono bambini, alcuni non hanno cinque anni, come i 1.545 arruolati in Repubblica Democratica del Congo. E con un kalashnikov tra le braccia ci sono finiti per costrizione o disperazione nel caos di un conflitto di cui non sanno niente. Hanno soprattutto combattuto in prima linea. Spesso hanno fatto da spie, messaggeri o vedette. Molti dei ruoli loro assegnati tra le fila delle milizie restano sconosciuti.
È doveroso, sul punto, richiamare un risultato positivo: 12.460 bambini precedentemente associati alle forze e ai gruppi armati, regolari e non, sono stati liberati e assistiti nel loro percorso di reintegrazione nel 2022. C’è però un altro numero che sconcerta: al dicembre 2022, 2.496 minori erano detenuti per associazione reale o presunta alle parti in conflitto o per motivi di sicurezza nazionale.
Erano 852 i bambini palestinesi reclusi da Israele, 936 quelli intrappolati nelle carceri d’Iraq. Il rischio che tra le sbarre subiscano torture e abusi è enorme, sono centinaia le denunce. In alcuni casi sono anche stati condannati a morte. Dovrebbero essere protetti, ha accusato l’incaricata Onu, e invece sono puniti per ciò che gli è accaduto.
Poi ci sono le violenze sessuali, gli stupri di gruppo, i matrimoni forzati e la schiavitù sessuale. I casi registrati sono stati 1.165 lo scorso anno, quasi la metà tra Repubblica Democratica del Congo e Somalia. Erano soprattutto bambine, con le norme di genere sempre buone a modellare l’esposizione ai rischi delle guerre.
Questo è l’unico dato in discesa tra tutti quelli analizzati dagli esperti Onu, – 12% rispetto 2021. Non si tratta necessariamente di una buona notizia. Come si legge sul rapporto, “tale violenza ha continuato a essere ampiamente sottostimata a causa della stigmatizzazione, della paura di rappresaglie, delle norme sociali dannose, dell’assenza o della mancanza di accesso ai servizi, dell’impunità e dei problemi di sicurezza”.
Non è ancora finita. I bambini, nelle nostre guerre, sono stati violati persino nelle opportunità di cura, di istruzione, di futuro. 1.163 scuole e 647 ospedali sono stati distrutti nel 2022, con un’incidenza enorme in Ucraina (751 volte, soprattutto – ma non solo – per opera russa). E poi in Burkina Faso, Israele e Territorio Palestinese Occupato, Myanmar, Mali e Afghanistan. La percentuale di crescita sul dato è spaventosamente alta nel confronto con l’anno passato, +112%.
E si è osservato anche un aumento del 60% dell’uso di scuole e ospedali per scopi militari da parte di forze di sicurezza e gruppi armati. E ancora: in Israele e Stato di Palestina e Myanmar soprattutto, sono stati troppo spesso utilizzati proiettili veri contro i bambini, e non hanno smesso di crescere le percentuali sull’uso eccessivo della forza contro di loro.
Come non bastasse ancora, vergogna nella vergogna, sono stati 3.931 gli episodi verificati di negato accesso umanitario ai bambini. Le forze israeliane hanno negato o ritardato permessi di uscita per cure mediche pediatriche specialistiche 1.861 volte a Gaza, cinque bambini palestinesi sono morti nel frattempo.
Attacchi agli operatori, saccheggio di forniture, restrizioni di movimento e varie attività di interferenza al soccorso umanitario da parte di tutte le forze governative e non, persino da alcuni autori non identificati, hanno determinato 901 incidenti di negato accesso umanitario in Yemen, dove le violazioni – seppur gravemente sottostimate – sembrano essere comunque diminuite del 40% a seguito della firma della tregua.
Repubblica Democratica del Congo, Israele e Territorio Palestinese Occupato, e Somalia, anche quest’anno, hanno guadagnato il primato di peggiori Paesi al mondo in cui essere un bambino.
Non è un caso che siano realtà dilaniate da conflitti di lungo corso: “queste tre situazioni sono apparse costantemente nel rapporto del Segretario generale da quando il meccanismo di monitoraggio e segnalazione è stato istituito nel 2005, il che significa che i bambini in questi contesti hanno affrontato gravi violazioni senza sosta per anni e, in alcuni casi, come i bambini nello Stato di Palestina, per decenni. A causa delle recenti escalation, prevediamo che le violazioni verificate in almeno alcune di queste situazioni aumenteranno nei prossimi mesi”, ha osservato in Consiglio Omar Abdi, vicedirettore esecutivo di Unicef.
Siria, Ucraina, Afghanistan e Yemen seguono a ruota nella classifica degli inferni. E lo studio non manca di analizzare l’impatto gravissimo sulla vita dei minori di conflitti che sono ormai multidimensionali, della cronicità di molte crisi e anche dell’arrivo sulla scena di nuovi attori armati. I crimini contro i bambini sono aumentati a dismisura, per esempio, in Myanmar (+140%), in Sud Sudan (+ 135%) e nel Sahel centrale (+85% in Burkina Faso) intrappolato nella morsa di diversi gruppi armati, alcuni dei quali riconosciuti come terroristici dalle Nazioni Unite.
E infine, portato al centro del dibattito di nuovo da Abdi, il Sudan. Il nuovo conflitto è rimasto fuori dal periodo in esame, ma la situazione solleva grandissime preoccupazioni per i 21 milioni di bambini del Paese: “più di un milione di bambini sono già stati sfollati a causa dei combattimenti e le Nazioni Unite hanno ricevuto rapporti attendibili, in corso di verifica, secondo cui centinaia di bambini sono stati uccisi e feriti”, ha rivelato il funzionario.
Un altro punto dell’indagine delle Nazioni Unite dà bene la misura delle cose del nostro mondo: “mentre i gruppi armati non statali sono stati responsabili del 50% delle gravi violazioni, le forze governative sono state le principali responsabili dell’uccisione e della mutilazione di bambini, degli attacchi a scuole e ospedali e della negazione dell’accesso umanitario”, mette nero su bianco il Segretario generale.
Un ultimo riferimento è dovuto alla “lista della vergogna”, che ogni anno conclude il report: sono i biasimati per le più gravi violazioni contro i bambini. Quest’anno ci sono le forze armate russe e i gruppi affiliati per aver commesso il 25% del totale globale degli attacchi a scuole e ospedali e per l’altissimo numero di uccisioni e mutilazioni tra i bambini d’Ucraina, è la prima volta per un membro del Consiglio di sicurezza.
Non ci sono, ancora una volta, le forze israeliane. La diminuzione degli attacchi aerei e missilistici rispetto al 2021 e certi impegni assunti dalle parti per la prevenzione e la fine delle violazioni contro i bambini ne giustificherebbero l’assenza, nonostante le 975 vittime e i 110 attacchi a scuole e ospedali che gli si attribuiscono.
“Le Nazioni Unite hanno attribuito alle forze israeliane oltre 6.700 vittime tra i bambini palestinesi dal 2015 al 2020. Il Segretario generale non ha mai incluso Israele nella sua lista, ma ha incluso altre forze o gruppi responsabili di molte meno violazioni. Lo stigma legato alla “lista della vergogna” è considerevole. Israele e altri Paesi hanno fatto ricorso a pressioni aggressive e, in alcuni casi, persino al ricatto alle Nazioni Unite per rimanere fuori dalla lista dei peggiori trasgressori. […]
Il Segretario generale deve chiedere conto a tutti i Governi delle loro violazioni, non importa quanto potenti siano. Anche i gruppi armati palestinesi hanno commesso violazioni contro i bambini. Non sono sulla lista, ma anche loro dovrebbero essere ritenuti responsabili“, è la critica di Human Rights Watch nelle parole della Direttrice dell’Advocacy, Divisione per i diritti dei bambini, Jo Becker, che bene sintetizzano le numerose denunce sulla questione arrivate da diverse organizzazioni della società civile.
In tutto questo sciorinare di numeri e percentuali – che comunque devono ritenersi non esaurienti, riferendosi solo ai fatti accertati – restano due considerazioni a farsi:
“i bambini soffrono e muoiono a causa della crudeltà e dell’indifferenza nei confronti della loro situazione, perché alcuni leader politici e parti in conflitto semplicemente non rispettano il principio di umanità in tempi di conflitto. [..] Gli impegni esistenti chiaramente non sono sufficienti”, facciamo nostra l’accusa del numero due di Unicef.
“Dietro ogni violazione verificata c’è la vita di un bambino, con la sua storia individuale”, come Gamba ha chiesto di non dimenticare mentre ricordava nel suo discorso le ragazze stuprate in gruppo in Sud Sudan, i ragazzi uccisi a scuola in Afghanistan, le 14enni rapite e bruciate vive in Myanmar a simbolo delle tante, troppe brutalità compiute sui bambini che sembrano condannati ad appartenere alle guerre.
Lo dicevamo: quando i grandi giocano alla guerra, i bambini perdono. Sempre. Se solo la smettessimo di giocare alla guerra.