4 Maggio 2024

Nigeria, la vita dei civili stravolta da esercito locale e Boko Haram

[Traduzione a cura di Luciana Buttini dell’articolo originale di The New Humanitarian Staff e VICE News pubblicato su The New Humanitarian]

Esercito in Nigeria. Immagine ripresa da Flickr/jan saudek in licenza CC
Esercito in Nigeria. Immagine ripresa da Flickr/jan saudek in licenza CC

Nel lungo conflitto jihadista nel Nord-Est della Nigeria, gli abitanti dei villaggi e gli agricoltori della vasta campagna simile alla savana affermano che le loro vite sono state sconvolte sia dagli insorti che dai soldati.

Da quando nel 2010 è iniziata la guerra vera e propria, durante le incursioni Boko Haram ha saccheggiato villaggi, ucciso e rapito giovani uomini e donne, costringendo 2,5 milioni di persone a lasciare le proprie abitazioni e facendo crollare l’economia rurale.

L’esercito nigeriano, inizialmente in disparte, ha reagito. Ma i soldati sono visti da alcuni abitanti del villaggio come un’altra minaccia, in quanto la strategia da loro adottata che prevede di fare terra bruciata intorno agli insorti non fa distinzione tra cecchini jihadisti e civili.

Nel corso di un’indagine durata un anno, The New Humanitarian e VICE News hanno raccolto immagini satellitari, fotografie e video, oltre a decine di testimonianze di operatori umanitari locali e internazionali, esperti militari, testimoni e soldati che supportano tutte le accuse di violazioni del diritto umanitario internazionale (DIU) da parte dei militari. Le più recenti delle presunte violazioni pare si siano verificate a maggio di quest’anno.

In più di 30 interviste condotte da The New Humanitarian e VICE News nella città nord-orientale di Bama alla fine del 2022, uomini e donne hanno descritto lo spopolamento delle campagne avvenuto a causa di operazioni militari di sgombero avvenute tramite l’incendio dei villaggi, la distruzione delle scorte di cibo e l’uccisione delle persone impossibilitate a fuggire.

Queste azioni violano direttamente il diritto umanitario internazionale.

Maina*, di Amchaka, un villaggio di 110 famiglie a circa 10 chilometri a Sud-Ovest di Bama, mentre parlava faceva scorrere i grani bianchi del suo rosario. Come ha raccontato nell’intervista:

Se i militari fossero venuti in modo educato, per salvarci davvero, e non bruciarci e spararci addosso, allora saremmo stati pronti ad andarcene.

I soldati intervistati a Bama, il quartier generale della 21a Brigata corazzata, hanno affermato di ritenere che chiunque viva nelle campagne sia probabilmente fedele a Boko Haram. Ma gli abitanti del villaggio – cacciati dalle loro case – hanno descritto un rapporto più complesso, dove la convivenza con i jihadisti non ne comportava necessariamente il sostegno.

Cittadini comuni e combattenti

Boko Haram impone severi controlli nelle zone che occupa. Le donne sono confinate nelle loro case, impossibilitate a coltivare la terra o interagire socialmente. Sono vietati i viaggi e il commercio al di fuori del territorio. La più insignificante violazione delle regole è severamente punita, in genere con detenzioni e fustigazioni. La presunta slealtà, tra cui il tentativo di fuga, giustifica l’esecuzione.

Boko Haram considera gli abitanti dei villaggi come awam, plebei. Si riferiscono invece a loro stessi come rijal, letteralmente uomini che combattono per la fede islamica. Secondo la gerarchia, gli awam sono poco più che servi della gleba. Sebbene siano tutti musulmani, gli abitanti del villaggio sono considerati ignoranti dal punto di vista religioso e, non essendosi uniti ai jihadisti, in generale non sono reputati degni di fiducia ma sempre sospettati di tentare la fuga.

Tuttavia, gli awam sono una base produttiva e tassabile. Gli abitanti del villaggio hanno descritto come ogni stagione gli insorti esigessero una quota del raccolto, dal 25% al 50%. Prendevano anche il bestiame, a volte pagando ma più spesso semplicemente appropriandosene; allo stesso modo potevano prendere qualsiasi altra cosa volessero.

I combattenti di Boko Haram generalmente non rimangono nei villaggi in quanto preferiscono separarsi dalle persone che considerano contaminate dal punto di vista religioso. Hanno i loro accampamenti rudimentali, nascosti nella boscaglia, in zone meno facilmente individuabili dai militari.

Le comunità rurali affermano di aver imparato a gestire i rischi di vivere accanto a questi giovani violenti e instabili. Si tratta di una caratteristica di quasi tutte le altre zone di conflitto con ribelli, dalla Colombia al Sahel.

Lawan è originario di Yemati, un villaggio a Sud-Est di Bama, che a quanto riferisce è stato distrutto dai militari l’anno scorso. Ha raccontato:

Non hanno alcun sostegno nel villaggio, ma li temiamo. Siamo solo contadini, se qualcuno ha una pistola devi obbedirgli.

Barna viene da Botori, un villaggio di circa 150 famiglie e ha spiegato:

La gente sostiene Boko Haram perché obbligata. Se non obbedisci, ti uccidono. Anche se in cuor tuo non sei d’accordo, devi convincerli.

I militari descrivono la distruzione degli insediamenti rurali come attacchi riusciti ai campi di Boko Haram. Si tratta di una rappresentazione contestata dagli uomini e dalle donne intervistati da The New Humanitarian e VICE News che sono sopravvissuti agli attacchi.

Gli intervistati – provenienti da 20 villaggi nell’area di Bama – hanno affermato che solo in tre (Dugje, Gremari e Kashimri) erano presenti uomini armati di Boko Haram.

Nel caso di Dugje, a diverse ore di cammino da Bama, due membri di Boko Haram originari del villaggio ma che si erano trasferiti nella base forestale dei jihadisti di Sambisa, dove avevano nuove mogli, sarebbero andati a visitare le loro famiglie originarie. Le persone erano sempre caute con loro.

Erano il primo gradino dell’amministrazione di Boko Haram, tenevano d’occhio la comunità. Quando i militari hanno attaccato e bruciato Dugje l’anno scorso, i due uomini sono fuggiti come tutti gli altri. Ma mentre gli abitanti del villaggio si sono diretti a Bama, i due uomini sono tornati a Sambisa, a circa 40 chilometri dalla città.

Come hanno riferito due ex residenti, cinque persone sono morte nel raid dell’esercito, tra cui un bambino di tre anni. Terrorizzato dalla violenza, il bambino si era nascosto in una casa che i soldati avevano dato alle fiamme. Secondo gli intervistati, hanno perso la vita anche due donne e due uomini anziani, troppo fragili per correre, colpiti dai proiettili vaganti dei soldati.

Aisha di Dugje ha negato che il villaggio sia mai stato fedele a Boko Haram. Come ha osservato:

I soldati hanno ucciso due donne anziane e un bambino, potevano mai essere membri di Boko Haram? Uno dei due uomini anziani a cui hanno sparato era persino un religioso (che non seguiva la versione dell’Islam dei jihadisti).

Timore di essere catturati dai jihadisti e dall’esercito

Secondo la Displacement Tracking Matrix gestita dall’agenzia delle Nazioni Unite per le migrazioni, OIM, oltre 45.400 persone hanno lasciato le campagne per Bama nel 2022, ma alcune hanno scelto di restare.

Nonostante le richieste di tassazione da parte di Boko Haram e le minacce con i raid da parte dei militari, gli abitanti del villaggio intervistati da The New Humanitarian e VICE News hanno affermato di essere rimasti nelle campagne per una serie di motivi, nessuno dei quali ha a che fare con la fedeltà ai jihadisti.

Un potente incentivo a restare è stata la paura. Tentare di lasciare i villaggi e raggiungere il territorio controllato dai militari sarebbe stato considerato come una defezione da parte dei militanti.

Boko Haram pattugliava la campagna, spesso in moto, e gli abitanti del villaggio hanno affermato che la punizione per essere sorpresi a fuggire, soprattutto per gli uomini, poteva essere fatale.

Modu, proveniente da Bula Daloye a circa 15 chilometri da Bama, ha dichiarato:

Andare e venire qui non è uno scherzo. Se Boko Haram ti prende, ti uccide. Anche la tua famiglia non sarebbe al sicuro.

Maina del villaggio di Amchaka ha osservato:

Avevano installato posti di blocco intorno a noi, quindi non potevi scappare. Siamo stati intrappolati da Boko Haram e siamo rimasti per forza.

Se una persona riesce ad evitare le pattuglie dei jihadisti, poi deve preoccuparsi di cosa succede se viene trovato nella boscaglia dai militari, che di solito sospettano che tutti i giovani siano, per lo meno, simpatizzanti di Boko Haram.

Una paura quasi universale era quella di essere spediti a Giwa Barracks, una famigerata struttura di detenzione per presunti sostenitori jihadisti in un sobborgo esclusivo di Maiduguri, la capitale della Regione.

Ba Ali, 25 anni, arrivato a Bama da Dugje nel febbraio 2022, ha affermato:

Pensavo sempre di venire a Bama, ma avevo sentito parlare di Giwa e avevo paura. Se non ci sono peli bianchi nella tua barba, se sei giovane, vieni senz’altro portato a Giwa.

L’imperativo di andarsene è stato anche minato da una scissione all’interno del movimento jihadista, che ha indebolito l’insurrezione. Nel 2021, il rivale Stato islamico dell’Africa occidentale (ISWAP) ha fatto irruzione in profondità nel Sambisa e ucciso il famigerato leader di Boko Haram, Abubakar Shekau.

Aisha da Dugje ha dichiarato:

Pensavamo che i militari avrebbero finito con Boko Haram dopo la morte di Shekau, ecco perché siamo rimasti ancora nel villaggio. Speravamo che sarebbe stato più facile dopo la sua morte: la guerra sarebbe finita e i nostri problemi anche.

Nonostante l’imprevedibilità dei militanti, soprattutto quelli fedeli a Shekau, gli abitanti del villaggio si sono detti scettici a lasciare le loro aziende agricole per un futuro incerto a Bama.

Ma secondo gli abitanti del villaggio, l’ISWAP, inizialmente a sostegno degli agricoltori con l’offerta di protezione dalle molestie inflitte da Boko Haram, l’anno scorso ha iniziato a ordinare agli abitanti del villaggio di lasciare la campagna, apparentemente per timore delle spie.

Allo stesso tempo, i militari avevano anche passato parola per assicurare agli abitanti del villaggio che l’invio a Giwa non fosse più automatico. Invece, i nuovi arrivati vengono ora fermati all’ingresso di Bama e portati nella prigione della città per un controllo di sicurezza. Da lì vengono trasferiti nel campo profughi gestito dall’OIM.

Aisha ha fornito tre ragioni circa la sua decisione di venire a Bama:

Primo, i roghi sono diventati troppi. Secondo, abbiamo sentito che i militari avevano detto che nessuno sarebbe andato a Giwa, quindi abbiamo iniziato a fidarci. E terzo, l’ISWAP ha detto che ce ne dovevamo andare tutti.

*I nomi dei sopravvissuti nei villaggi presi di mira sono stati cambiati al fine di tutelare l’identità delle persone per motivi di sicurezza.

[Voci Globali non è responsabile delle opinioni contenute negli articoli tradotti]

Luciana Buttini

Laureata in Scienze della Mediazione Linguistica e Specializzata in Lingue per la cooperazione e la collaborazione internazionale, lavora come traduttrice freelance dal francese e dall'inglese in vari ambiti.

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