[Traduzione a cura di Luciana Buttini dell’articolo originale di Wilson McMakin pubblicato su The New Humanitarian]
Gli attacchi dei droni da parte delle forze armate del Marocco nel Sahara occidentale, chiaramente mirati ai combattenti del Fronte Polisario, stanno costringendo un numero crescente di persone a fuggire dalla Regione desertica per raggiungere i campi profughi in Algeria o le città al confine con la Mauritania.
Abdullah Lamine Hamed ha perso suo cugino in un presunto attacco con droni poco più di un mese fa mentre si trovava a bordo del suo fuoristrada per portare dell’acqua ai parenti nella zona controllata dal Polisario, una striscia di terra a Est di un muro di sabbia lungo 2.700 chilometri e costruito dal Marocco per affermare la sua dibattuta rivendicazione dell’intero territorio.
Hamed ha raccontato che suo cugino, al-Saleh, stava attraversando il deserto ad alta velocità con i fari spenti, come fa la maggior parte dei saharawi in questo periodo, quando lui e i suoi amici hanno sentito il drone avvicinarsi da Ovest.
“Mio cugino è stato ucciso“, ha detto Hamed a The New Humanitarian, mentre faceva scivolare il telefono sul tappetino di canne per mostrare uno screenshot del fuoristrada distrutto. Gli altri passeggeri, invece, sono sopravvissuti.
La morte del cugino ha convinto definitivamente Hamed a lasciare la casa di famiglia a Mehaires, un’oasi del Sahara occidentale, per trasferirsi a Sud e stabilirsi a Bir Moghrein in Mauritania, dove ora gestisce un negozio di proprietà della famiglia.
Hamed ha dichiarato:
Dopo la sua morte, sono dovuto scappare. Sono fortunato perché la mia famiglia ha questo negozio. Molti non hanno un posto dove lavorare e finiscono nei campi profughi algerini.
La ripresa dei combattimenti nel novembre del 2020 tra il Polisario e il Marocco, dopo una pausa di 29 anni, ha accelerato lo spopolamento delle cosiddette terre liberate. Infatti il 20% del Sahara occidentale è controllato dal Polisario a Est del muro di sabbia militarizzato conosciuto come berm.
I numeri esatti sono difficili da ottenere poiché i dati sulla popolazione sono fortemente politicizzati da entrambe le parti. Ma secondo un ex sindaco della città, che non ha voluto essere nominato per ragioni di sicurezza, quasi tutti i residenti di Mehaires, circa 12.000 persone, sono stati sfollati a causa del rinnovato conflitto.
L’ex funzionario ci ha riferito:
Quest’evacuazione ha riguardato tutte le aree liberate del deserto. La maggior parte delle persone è andata nei campi profughi in Algeria.
“Il pericolo dal cielo”
Gli attacchi indiscriminati dei droni costituiscono il motivo principale per cui le persone sono state costrette a spostarsi.
Mohamad Mombar è un commerciante di 36 anni che trasportava acqua e rifornimenti meccanici alle popolose comunità nomadi nelle terre liberate, ma che ora è preoccupato per il “pericolo dal cielo” ossia i droni che mettono a rischio ogni spostamento con un veicolo.
The New Humanitarian è in possesso di una serie di fotografie scattate quest’anno e raffiguranti veicoli civili distrutti, presumibilmente da attacchi di droni, molti delle quali sono troppo esplicite per essere pubblicate in quanto mostrano auto in pezzi e resti carbonizzati.
Quando Mombar fa visita alla sua famiglia a Tindouf, la città dell’Algeria meridionale dove si stima che 173.000 rifugiati saharawi vivano in cinque vasti campi, percorre centinaia di chilometri in più attraverso la Mauritania per evitare di entrare nel territorio del Polisario a causa della minaccia dei droni.
Diversi sahrawi ci hanno riferito a di essere convinti che l’obiettivo dell’esercito marocchino sia quello di spopolare le zone controllate dal Polisario. Non sono soltanto i veicoli a essere colpiti dagli attacchi di droni e artiglieria, ma anche le mandrie di cammelli di proprietà dei cittadini, alla base dell’economia locale.
Abdullah, che ha chiesto di non usare il suo nome completo, ha riferito che molti animali sono stati uccisi. Il 26enne, ora residente a Bir Moghrein, è stato costretto ad abbandonare la sua mandria di cammelli quando è fuggito da Mehaires e ritiene che sia ancora troppo pericoloso tornare per cercare di salvarli.
Una crisi lunga 50 anni
Il conflitto armato iniziò nel 1975 quando la Spagna, ex potenza coloniale, se ne andò bruscamente e abbandonò i sahrawi, il popolo indigeno del Sahara occidentale, alla mercé dei loro vicini, Mauritania e Marocco. Entrambi i Paesi avevano rivendicazioni contrastanti sulla Regione.
Il Marocco inviò le sue truppe dopo che la Corte internazionale di giustizia affermò il diritto del popolo saharawi all’autodeterminazione. Nel corso degli anni il Paese ha poi costruito una serie di argini estendendo progressivamente il proprio controllo sul territorio scarsamente popolato.
Pesantemente minate e presidiate da migliaia di soldati, le mura di sabbia alte un metro hanno formato una barriera quasi impenetrabile che tiene fuori il Polisario e impedisce il ritorno dei profughi.
Le fortificazioni dividono il territorio in due sezioni: una zona costiera ricca di risorse, che comprende le principali città, e l’interno arido vicino ai confini algerini e mauritani controllato dal Polisario.
Un cessate il fuoco mediato dalle Nazioni Unite nel 1991 pose fine a decenni di combattimenti con la promessa di un referendum supervisionato da una missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite. Bloccato dal Marocco, il referendum non si è mai concretizzato. Invece, Rabat ha attuato una generosa politica di sussidi per incoraggiare i marocchini a trasferirsi a Sud, cosa che – sostiene il Polisario – altererà l’esito di qualsiasi futuro referendum a favore dell’unificazione.
Fin dagli anni ’70 il Governo algerino sostiene con le armi il Polisario, accogliendo i profughi nei campi di Tindouf che ospitano la maggior parte della popolazione saharawi liberata. Ma quello che doveva essere un reinsediamento temporaneo si è trasformato in uno sfollamento durato mezzo secolo.
I campi sono vicoli ciechi, dove i rifugiati affrontano condizioni estremamente dure e dipendono quasi totalmente dagli aiuti per soddisfare i loro bisogni primari, aiuti sempre più ridotti a causa di una comunità internazionale apparentemente stanca dello stallo politico.
Secondo quanto osservato in un rapporto del 2022 del servizio di analisi umanitaria ACAPS:
Sono stati segnalati sentimenti di immobilità e disperazione, in particolare tra i giovani sahrawi. Le condizioni dei campi aumentano il rischio di radicalizzazione a causa dei conflitti, delle opportunità limitate e del futuro incerto.
L’ONU descrive il Sahara occidentale come un territorio non autonomo, con il Polisario che riveste il ruolo di rappresentante internazionale del popolo saharawi. Ma per il Marocco, la soluzione a una delle crisi più lunghe del mondo risiede nell’autogoverno per i sahrawi sotto la sovranità marocchina.
Il piano è stato fortemente spinto a livello diplomatico da Rabat e ha ottenuto sempre più il sostegno internazionale di numerosi Governi occidentali, arabi e africani. Nel dicembre del 2020, gli Stati Uniti sotto l’allora presidente Donald Trump hanno riconosciuto le rivendicazioni di Rabat sul Sahara occidentale in cambio della normalizzazione delle relazioni con Israele da parte del Marocco.
Una nuova forma di conflitto
La questione dei droni è ben presente a quasi tutti i saharawi incontrati da The New Humanitarian a Bir Moghrein, una città di meno di 3.000 abitanti dove la maggior parte delle auto ha targhe della Repubblica Araba Saharawi Democratica, il nome ufficiale preferito dal Polisario per il Sahara occidentale.
Durante la prima offensiva marocchina negli anni ’70 e ’80, il Polisario aveva il vantaggio di giocare in casa, sferrando improvvisi attacchi a sorpresa contro le posizioni marocchine. Tuttavia, dalla ripresa delle ostilità nel 2020, tale vantaggio è stato annullato dalla tecnologia superiore del sistema di controllo aereo e ricognizione del Marocco, noto come SACR.
Questo ramo dell’esercito marocchino, con sede nelle grandi città controllate dal Marocco, Laayoune e Smara, è responsabile della supervisione della flotta di droni che il Marocco ha acquisito negli ultimi anni. Ciò include 150 UAV di sorveglianza israeliani lo scorso anno e un recente accordo per la produzione congiunta di droni d’attacco israeliani nel Paese nonché l’acquisto di dozzine di droni d’attacco cinesi Wing Loong e turchi Bayraktar TB2.
Queste armi telecomandate a lungo raggio hanno dato al Marocco un netto vantaggio militare contro il Polisario e il suo equipaggiamento risalente alla Guerra Fredda. Come ha detto l’ex sindaco di Mehaires:
I soldati marocchini non sono andati di un centimetro oltre il muro in quanto il versante Est è controllato dai droni.
La paura degli attacchi dei droni ha portato migliaia di persone a fuggire nei campi in Algeria, e più recentemente in Mauritania, nella speranza di una migliore sicurezza e opportunità economiche. Nel caso di Hamed ciò significa lavorare al dettaglio in una piccola città di confine, lontano dalla famiglia e dagli amici per il prossimo futuro.
L’economia illecita
Altri, che hanno chiesto l’anonimato, sono stati tentati da opzioni di impiego meno legali. Mentre i migranti dell’Africa occidentale continuano a tentare la pericolosa traversata a Nord verso l’Europa in cerca di lavoro, si è palesata l’opportunità per i giovani uomini saharawi, che conoscono il deserto estremamente bene, di trasportarli.
File di giovani senegalesi e maliani siedono fuori dall’unico ristorante di Bir Moghrein. Col favore delle tenebre e della studiata indifferenza della polizia locale che presumibilmente controlla l’intera operazione, i giovani saharawi guidano i loro fatiscenti fuoristrada e caricano una dozzina di uomini alla volta.
La destinazione è Tindouf, dove si può organizzare un ulteriore trasporto verso Nord con i parenti che i giovani hanno nei campi profughi.
Anche le merci illecite vengono contrabbandate a Nord. La strada principale da Bir Moghrein all’Algeria corre parallela a un’altra strada clandestina piena di camion pesanti che trasportano carburante, sigarette e occasionalmente droga dai porti dell’Africa occidentale verso il Nord del Continente, dove spesso proseguono verso l’Europa.
L’estremismo islamista saheliano costituisce una forte attrattiva per alcuni giovani sahrawi che si recano in Mali e in Burkina Faso per combattere con la cosiddetta provincia dello Stato islamico del Sahel (IS Sahel).
Secondo Saidi, un ex membro delle forze armate del Polisario, le opportunità economiche fornite dalla droga e dal business dei migranti sono attraenti per i rifugiati disperatamente poveri. Saidi (che ha chiesto di omettere il suo nome completo) ha riferito a The New Humanitarian:
Se i leader dicessero ai ragazzi di smetterla, avremmo solo problemi.
Per quanto riguarda l’attrazione dell’estremismo islamista a Sud, Mombar, l’uomo con l’azienda di trasporti e la famiglia a Tindouf, è stato più feroce.
Accetta pienamente il fatto che la jihad contro i soldati marocchini sia tollerabile, poiché “la jihad riguarda la patria, l’onore e non il denaro”. Tuttavia, ha proseguito affermando che gli uomini saharawi che combattono nel Sahel sono “criminali che saranno puniti” al loro ritorno perché hanno abbandonato la causa del Polisario per la guerra di un altro Paese.
Nonostante le obiezioni di Mombar, gran parte degli alti dirigenti di IS Sahel era originario del Sahara occidentale ed era stato addestrato come membro del Polisario prima di disertare per dare inizio all’insurrezione nel Sahel.
Tuttavia, per gli uomini sahrawi di Bir Moghrein, l’obiettivo è la guerra nella loro patria. Seduti attorno a un braciere a carbone per preparare del tè verde alla menta, la conversazione tra Hamed e Mombar ruotava attorno alla certezza della vittoria finale del Polisario.
Mombar ha affermato:
Mentre il soldato sahrawi crede nella sua giusta causa, il soldato marocchino presidia il muro solo perché vuole ottenere il suo stipendio mensile. Alla fine, bisogna usare la forza per riprendere ciò che è stato preso con la forza.
[Voci Globali non è responsabile delle opinioni contenute negli articoli tradotti]