20 Aprile 2024

Microplastiche, alternative “bio” ancora poco sicure per la salute

[Traduzione a cura di Luciana Buttini dell’articolo originale di Xavier Coumoul, Jean-Baptiste Fini, Nicolas Cabaton e Sylvie Bortoli pubblicato su The Conversation]

Una spiaggia ad Accra, Ghana, inquinata dalla plastica. Immagine da Wikimedia Commons in licenza CC

L’inquinamento da plastica è un fenomeno dilagante che riguarda tutto l’ambiente, dai luoghi in cui viviamo e lavoriamo fino ai recessi più profondi del pianeta. Si tratta di una questione che fa regolarmente notizia, in particolare è l’inquinamento degli oceani a essere sotto i riflettori.

Le immagini allarmanti circa l’inquinamento da plastica possono apparirci molto lontane dalle nostre vite, ma non dovrebbero distrarci da un problema che, seppur meno visibile e oggetto di minore attenzione, colpisce gli esseri umani e gli ecosistemi: la contaminazione da microplastica e nanoplastica.

A differenza delle macroplastiche, derivate dalla degradazione di oggetti più grandi e rinvenute sotto forma di scaglie di vernice o fibre, le microplastiche sono generalmente definite come particelle le cui forme o dimensioni non superano i 5 mm, senza un limite minimo.

In quanto alle nanoplastiche, queste non superano i 0,1 micron, il che equivale a 1/10.000 di millimetro. In maniera piuttosto istintiva, siamo stati in grado di prevedere che le particelle più piccole potessero entrare negli organismi, una fatto che non era stato dimostrato fino a poco tempo fa.

Tracce di microplastiche nel nostro DNA

Nel 2022, uno studio condotto da diversi team olandesi ha dimostrato per la prima volta in assoluto che le microplastiche erano presenti nel sangue di 22 volontari umani sani in una concentrazione media di 1,6 mg/L.

I tipi di plastica rilevati variavano notevolmente e comprendevano il polietilene tereftalato (PET), impiegato per realizzare bottiglie d’acqua e altri oggetti, il polietilene, utilizzato per produrre contenitori per alimenti e il polistirolo, i cui usi includono imballaggi di prodotti freschi e vasetti di yogurt.

Va notato che lo studio si è concentrato esclusivamente su particelle con dimensioni di 700 nm e oltre e che non si dispone ancora di informazioni sulle particelle più piccole classificate tra le molte forme di nanoplastica.

Effetti nocivi sulla salute degli animali

Sebbene nello studio non siano state segnalate conseguenze sulla salute umana, la ricerca condotta sugli animali o attraverso l’impiego di modelli cellulari (alcuni dei quali modellati su cellule umane) ha documentato una serie di impatti biologici delle microplastiche, tra cui lesioni cellulari, stress ossidativo e danni al DNA.

In questi casi, o le microplastiche provocano direttamente gli effetti oppure fungono da vettori di altre sostanze nocive. Inoltre, alcune di queste sostanze, come i bisfenoli o gli ftalati, si trovano effettivamente nella composizione di alcune plastiche.

Generalmente, questa contaminazione può manifestarsi attraverso la comparsa di infiammazioni o fibrosi, i cui effetti sono già visibili nell’uomo attraverso altre vie di ingresso, come l’apparato respiratorio. I polmoni, ad esempio, sono stati segnalati come luoghi di contaminazione per i lavoratori dell’industria della plastica.

Migrazione nel cibo e nelle bevande

Come possiamo spiegare questa contaminazione dei volontari sani nello studio? In poche parole, si tratta di un fenomeno legato alla catena alimentare, sebbene questo metodo di esposizione alla microplastica resti difficile da caratterizzare o misurare, con risultati che oscillano drasticamente tra 0,2 mg all’anno e 0,1-5 g a settimana.

Tuttavia, un gran numero di studi (oltre 1.000) indica chiaramente che, con il solo contatto, diverse molecole possono migrare nel cibo o nelle bevande. È il caso delle borracce sportive in plastica riutilizzabili, che perdono un’enorme quantità di componenti, soprattutto se lavate in lavastoviglie.

Un modo efficace per prevenire potenziali rischi per la salute da microplastiche e nanoplastiche sarebbe ridurre l’esposizione, in particolare nel nostro tratto digestivo. È fondamentale cambiare le nostre pratiche di consumatori e questo vale soprattutto per i più vulnerabili come donne incinte, neonati, bambini piccoli e adolescenti, i cui sistemi di detossificazione non sono ancora maturi e i cui corpi sono ancora in fase di sviluppo.

Va anche notato che questi gruppi sono più esposti alla plastica per chilo di massa corporea rispetto agli adulti, un elemento questo che aggrava ulteriormente i rischi per la loro salute.

I pericoli del riscaldamento degli alimenti nei contenitori di plastica

I cambiamenti positivi che possiamo attuare includono la riduzione del consumo dei prodotti processati e di quelli grezzi confezionati, oltre al fatto di limitare l’uso di contenitori o componenti realizzati anche parzialmente in plastica quali bicchieri di cartone, scatole per pizza, ecc. ed evitare di conservare, cuocere o riscaldare il cibo in contenitori di plastica, quando ad esempio si utilizza un forno a microonde.

Questo perché è stato dimostrato che il calore provoca la rottura dei componenti in plastica, che a sua volta causa il passaggio delle particelle nel cibo.

Queste abitudini più positive aiuterebbero anche a ridurre la quantità complessiva di microplastiche e nanoplastiche nel nostro ambiente e negli ecosistemi, portando a una naturale diminuzione della contaminazione del nostro sistema digestivo.

A partire dal 2025, la Francia vieterà l’uso dei contenitori di plastica monouso nella ristorazione collettiva in particolare nelle mense scolastiche.

Ma le alternative sono migliori? In Francia, spetta a ciascun comune scegliere quali materiali alternativi utilizzare, siano essi in acciaio inossidabile, cellulosa (una componente delle pareti cellulari delle piante), bambù o bioplastiche.

Le bioplastiche potrebbero non essere più sicure

I contenitori in bioplastica costituiscono un’alternativa ampiamente impiegata dall’industria agroalimentare, poiché sono più leggeri rispetto ai recipienti più tradizionali, presumibilmente “inerti” realizzati in acciaio inossidabile o vetro.

Ma di cosa sono fatte le bioplastiche? Sono ottenute dalle piante, ma sono miscelate con materiali sintetici per garantire che siano impermeabili come le plastiche tradizionali.

Vedendo il prefisso bio, i consumatori possono essere indotti a credere di acquistare un prodotto naturale che non presenta alcun rischio per la salute. In termini di normative, le bioplastiche devono essere sottoposte agli stessi test di altri contenitori di plastica e anche il loro tasso di migrazione negli alimenti è fissato a 60 mg/kg.

Sfortunatamente, è stato effettuato solo un piccolo numero di test, principalmente per quanto riguarda i loro effetti sul DNA, nessuno dei quali esamina i loro potenziali impatti come interferenti ormonali. La recente letteratura scientifica non ha ancora dimostrato se siano o meno innocui per l’uomo. Infine, quando si tratta di biodegradabilità, tutte le bioplastiche si scompongono ancora in microplastiche.

Diffidate dalle forme di plastica alternative

Tali domande sono importanti da considerare in un mondo che tende a spazzare via l’impatto ambientale di determinati prodotti offrendo alternative. Si pensi ad esempio ai biocarburanti, all’idrogeno verde o alle sigarette elettroniche i cui effetti sono di per sé poco conosciuti. In tal senso, la sostituzione del bisfenolo A con altri bisfenoli come S e F dovrebbe far riflettere la comunità scientifica, poiché gli studi pubblicati mostrano sempre di più che hanno effetti simili o altri effetti deleteri.

Data la loro origine e il metodo di produzione, sembra opportuno porsi queste stesse domande in merito alle bioplastiche, in modo da evitare che i consumatori diventino inavvertitamente degli inquinatori nel tentativo di essere eco-compatibili. In Francia, anche l’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza alimentare, ambientale e sul lavoro (ANSES) sconsiglia l’uso di sacchetti di plastica monouso “biodegradabili” o “compostabili” nei bidoni del compost domestico, in quanto non è certo che tali prodotti si decompongano completamente durante il compostaggio.

È fondamentale che le autorità locali siano meglio informate sulle caratteristiche delle bioplastiche. Ciò consentirà loro di progettare politiche che aiuteranno a proteggere i consumatori, in particolare i bambini, che sono particolarmente vulnerabili all’inquinamento.

[Voci Globali non è responsabile delle opinioni contenute negli articoli tradotti]

Luciana Buttini

Laureata in Scienze della Mediazione Linguistica e Specializzata in Lingue per la cooperazione e la collaborazione internazionale, lavora come traduttrice freelance dal francese e dall'inglese in vari ambiti.

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