28 Aprile 2024

Non chiamatele baby gang, motivi del disagio giovanile in Italia

Quindicenni sferrano un pugno a un gelataio dopo un rimprovero; picchiato e rapinato da una baby gang un bengalese su un bus notturno; rissa tra coetanei minorenni e danni contro vetrine di negozi; aggressioni in piazza tra coetanei.

Sono soltanto alcuni dei titoli di cronaca su quotidiani locali da Nord a Sud dell’Italia nelle ultime settimane.

Nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza – ricordata a livello mondiale proprio in questi giorni, il 20 novembre – lo sguardo che si posa sui giovanissimi nel nostro Paese risulta assai desolante. Bande di teppisti, ragazzini violenti e noncuranti del prossimo, giovani divertiti da azioni ai limiti della legalità che devastano e si atteggiano da bulli: è davvero questa la generazione di adolescenti che stiamo crescendo?

In realtà, si fa presto a parlare di “baby gang”, termine abusato e non appropriato ai fatti, che nasconde comunque un mondo complesso, fatto di disagi, carenze, fragilità. Innanzitutto, spesso sfugge all’analisi adulta che gli adolescenti sono persone portatrici di diritti che chiamano in causa doveri di genitori, istituzioni politiche, scuola, società civile.

Basterà citare alcuni passaggi della Convenzione Onu per ricordarli: ogni fanciullo/adolescente ha…”il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa; il diritto di beneficiare della sicurezza sociale; il diritto a un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale”.

L’educazione è essa stessa un diritto fondamentale che deve, tra le altre cose “favorire lo sviluppo della personalità, il rispetto dei diritti dell’uomo…” e insegnare “l’assunzione di responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici… oltre il rispetto dell’ambiente naturale”.

È in questa cornice di reciproca responsabilità, di chi cresce e deve cominciare a essere consapevole delle proprie azioni e di chi educa, che deve porsi come riferimento solido e di valore, che possiamo cercare di capire cosa sta realmente accadendo.

Davvero in Italia c’è un’emergenza “baby gang” e dove andare a scovare le cause per cercare di tracciare una via di uscita?

Giovane a terra soccorso dopo una rissa in piazza, in una città veneta – ottobre 2022 – Foto da video di Tgr Veneto

Carlo Buzzi, docente di Sociologia dell’Università di Trento e membro dell’Istituto Iard – Network di ricerca sulla condizione e le politiche giovanili – ha innanzitutto chiarito, intervistato da Voci Globali, qual è la natura di questi fenomeni che coinvolgono gli adolescenti in Italia:

Il termine “baby gang” (bande di strada formate da minorenni) viene utilizzato spesso in modo non corretto. La gang infatti è per definizione un gruppo criminale consolidato, organizzato al suo interno, caratterizzato da una gerarchia interna, che controlla uno specifico territorio. I mezzi di comunicazione spesso definiscono “baby gang” un gruppo di giovanissimi che hanno commesso azioni illegali senza però che sussistano gli elementi che giustificano il termine “gang”. Nella maggior parte dei casi, invece, siamo dinanzi a gruppi informali non dediti in modo sistematico ad azioni criminali, ma ad atti vandalici o di bullismo più o meno occasionali.

Nella sua spiegazione, il professore ha specificato che le “baby gang” vere e proprie non sono un fenomeno sconosciuto in Italia e si ritrovano soprattutto in alcuni quartieri di aree metropolitane, spesso degradate. Tali gruppi, anche se non sempre, hanno una composizione etnica omogenea, elemento che acuisce il senso di appartenenza e che facilita i fenomeni di “guerriglia urbana” tra bande rivali.

Tuttavia, “nel nostro Paese tali fenomeni sono limitati e non possiamo dire che costituiscano un’emergenza sociale. Il vandalismo causato da gruppi informali di minori è invece molto più diffuso“.

Quali sono, dunque, le caratteristiche di questi fenomeni di vandalismo oggi dominanti tra gli adolescenti? Per trovare una risposta e approfondire il tema Maurizio Tucci, presidente dell’associazione Laboratorio Adolescenza, ha condiviso con Voci Globali alcune riflessioni.

La sua prima considerazione è che, in realtà, una certa violenza adolescenziale c’è sempre stata. Eppure, osservando i fenomeni odierni si scorgono segnali nuovi:

Quello che soprattutto è cambiato e disorienta è che la violenza adolescenziale fino a un po’ di tempo fa era molto collocabile anche dal punto di vista geografico delle città ed era prevalentemente periferica, si esprimeva in zone dove c’era disagio sociale… adesso c’è l’uscita da questi confini tradizionali… queste gang si sono spostate anche nei centri città e hanno cominciato a coinvolgere ragazzi con storie familiari non di disagio… quasi come questa violenza fosse più un “lifestyle“, piuttosto che una rabbia da esclusione sociale.

Il professor Buzzi ha aggiunto che risse, atti di bullismo, furti in luoghi pubblici, atti vandalici e in generale azioni di giovani nelle quali si esprime prevaricazione o violenza nascondono caratteristiche psicologiche e sociali ben definite.

“Dal punto di vista socializzativo”, ha spiegato, “è evidente una carenza della famiglia che non ha saputo trasmettere ai figli norme di comportamento sociale né esercitare un controllo nel corso del loro processo di crescita. La scuola, dal canto suo, non ha saputo svolgere un qualche ruolo sostitutivo alla fragilità familiare. Questi caratteri non si collegano necessariamente all’estrazione sociale della famiglia: genitori inadeguati che non sanno offrire sostegni affettivi e trasmettere un orientamento socio-educativo ai figli li possiamo trovare in qualsiasi ceto”.

Anche Tucci si è soffermato sul ruolo familiare inadeguato, con genitori che, per eccesso di protezione, evitano agli adolescenti quelle esperienze fatte di delusioni, tristezza, sconfitte che sono fondamentali per crescere. Surrogare l’assenza con la massima protezione genera ragazzi che non sono abituati agli insuccessi, a sentirsi dire “no”, quindi fragili.

Rissa tra minorenni sull’autobus, con giovane armato di spranga. Milano, 2021 – Foto da video La Milano

Nella violenza come stile di vita dei giovanissimi, che serve spesso per “marchiare” la propria presenza ed esistenza, si esternano tutte le carenze dell’attuale società secondo l’esperto:

la nostra società, che gli adulti hanno creato, è caratterizzata da un eccesso di competitività, dal dover apparire e mettersi in evidenza a ogni costo… in una società così competitiva si può emergere in diverso modo… meglio che l’anonimato è spiccare, anche con comportamenti negativi.

Il paradosso, nella riflessione del presidente di Laboratorio Adolescenza, è che in questa società dove dobbiamo “essere i primi”, un’azione negativa può premiare e dare uno status. Se, poi, questo meccanismo “si innesca in una generazione fragile, sfiduciata, senza autostima, con poche speranze, allora è più facile che i giovani costruiscano un’identità sulla violenza, sull’essere bullo, su azioni violente finalizzate a se stesse, per dimostrare “qua il capo sono io”. 

Se una società non è in grado di dare un futuro alle nuove generazioni, queste crescono senza aspettative secondo il professore Buzzi. E non c’è terreno più fertile per far sorgere comportamenti reattivi di tipo trasgressivo o anche esplicitamente deviante.

Chi sono, allora, questi giovanissimi italiani violenti e cosa cercano? La docente di Psicologia dell’Università la Sapienza di Roma Anna Maria Giannini ha innanzitutto ricordato a Voci Globali che “gli adolescenti e, più in generale, i giovani, agiscono spinti dalle emozioni piuttosto che dal ragionamento cognitivo ed è questo li porta a comportarsi in modo più rischioso e, apparentemente, ‘inconsapevole'”.

Tale meccanismo si inserisce nel normale iter dello sviluppo del giovane, ma non può essere semplicemente accettato come dato di fatto. Giannini ha quindi chiamato in causa il ruolo degli adulti educatori: proprio grazie alla conoscenza di questi meccanismi, infatti, si possono creare programmi di sensibilizzazione e formazione che siano tarati sulle esigenze dei giovani.

Ha anche aggiunto che questi ragazzi sono sicuramente alla ricerca di stimoli, di sensazioni forti, di un modo per combattere la noia. Noia che può essere causata da motivazioni differenti: mancata regolazione emotiva, mancato affetto o ricerca di una propria identità e di propri valori personali che, in questi casi, si pongono in opposizione con quelli della società.

Senza dimenticare, pur con la giusta valutazione, l’effetto pandemia sulla vita degli adolescenti. La docente ne ha dato un’interpretazione:

Sicuramente il Covid ha avuto un impatto sulla modalità di relazionarsi di giovani e adolescenti. La riduzione dei legami e incontri di persona ha portato a una riduzione della capacità di relazionarsi fra pari o, in aggiunta, con le persone più vulnerabili che, per alcune caratteristiche personali, potrebbero essere più sottoposte a vittimizzazione.

Basti pensare ad esempio all’età: ragazzi più grandi che aggrediscono ragazzi più piccoli. C’è da dire inoltre che la riduzione delle interazioni face to face secondo alcuni studi ha portato a una diminuzione, ad esempio, della capacità empatica e questo sicuramente ha degli effetti anche sulla violenza.

Attenzione, però: parlare solamente di un effetto Covid sarebbe riduttivo in quanto i comportamenti aggressivi e violenti hanno in realtà radici molto più variegate e sfaccettate, che dipendono da caratteristiche individuali, contestuali, sociali e familiari.

C’è tanto altro dietro gli atteggiamenti dei ragazzi. Il punto è stato inquadrato da Buzzi, che ha evidenziato alcune tendenze sempre più diffuse tra le nuove generazioni. Si assiste, per esempio, all’ “l’imporsi di canali a doppia moralità”, così spiegati: oggi l’assunzione da parte dei giovani di valori e norme di comportamento assume validità solo all’interno degli ambiti di pertinenza. Al di fuori di essi il giovane è in grado di aderire – senza apparente contraddittorietà – ad altri sistemi di valori.

Si spiegano così l’assunzione di atteggiamenti e la manifestazione di condotte fortemente disomogenee a seconda dell’ambito esperienziale e del momento contingente.

E poi c’è la “reversibilità delle scelte”: ogni comportamento e ogni scelta viene considerata revocabile; nulla deve apparire irreversibile in una società incerta e contraddittoria. Da una parte si possono così accettare rischi e pericoli, perché visti in chiave contingente e temporanea, dall’altra si evitano tutte le decisioni che sottendono scelte di vita definitive.

Cosa scaturisce da tutto questo? Secondo Buzzi, in giovani dalle personalità particolarmente immature può affermarsi una cultura della sopraffazione che però si esplicita solo in situazioni e condizioni particolari (ad esempio quando si è in gruppo, dopo assunzioni di sostanze psicotrope, in ore notturne ecc.) e che comunque è vista come manifestazione contingente e dunque reversibile. Ciò comporta una forte sottovalutazione degli effetti provocati dalle loro azioni.

Riflessioni importanti e in parte amare sono dunque emerse sulla situazione degli adolescenti in Italia. Anche riportare al centro dell’attenzione i diritti trascurati dei ragazzi e i doveri non esercitati dagli adulti sarà vitale per il futuro. In gioco c’è molto di più che eliminare vandalismo e bullismo: c’è la costruzione di una società sana.

Violetta Silvestri

Copywriter di professione mantiene viva la passione per il diritto internazionale, la geopolitica e i diritti umani, maturata durante gli studi di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, perché è convinta che la conoscenza sia il primo passo per la giustizia.

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