20 Aprile 2024

I 27 anni della Bosnia Erzegovina: tra recessione, corruzione, paure

Murale in ricordo del genocidio di Srebrenica. Situato in via Maršala Tita a Sarajevo

Il 21 novembre saranno celebrati i 27 anni del Trattato di Dayton. Ancora oggi la Bosnia Erzegovina è considerata uno dei sistemi politici più complessi e farraginosi in Europa. Con un’economia stagnante, colpita duramente dalla guerra in Ucraina, il Paese si è recato alle urne più di un mese fa.

Il 2 ottobre, circa tre milioni di cittadini sono stati chiamati a scegliere i propri rappresentanti tra più di 72 partiti registrati, per un totale di 7.257 candidati. Tuttavia, i risultati ufficiali sono stati resi pubblici soltanto un mese dopo. Difatti,  sulle elezioni è gravato il peso delle irregolarità nel Nord del Paese, nella Repubblica Serba (Republika Srpska). In più la riforma costituzionale decisa dall’Alto Rappresentante, Christian Schmidt, ha nuovamente infiammato il dibattito pubblico.

Nello scorso anno i già fragili equilibri tra il Governo federale di Sarajevo e quello della Repubblica Serba si erano incrinati. Milorad Dodik aveva ritirato la RS da ogni iniziativa politica congiunta. Ricoprendo il vertice della Presidenza tripartita, ne aveva approfittato per  innalzare il livello di tensione fino a paventare una possibile secessione. Oltre a ciò, lo scoppio della guerra in Ucraina e la nota vicinanza di Dodik al presidente russo Vladimir Putin ha alimentato le preoccupazioni nel Paese. Pertanto, le elezioni del 2 ottobre nella RS si sono svolte in un clima piuttosto acceso e le accuse di brogli da parte dell’opposizione non si sono fatte attendere.

Subito dopo la chiusura dei seggi si sono moltiplicate le segnalazioni di irregolarità e frodi nei seggi. Jelena Trivić, candidata dell’opposizione per il Partito del Progresso Democratico, ha richiesto un riconteggio ufficiale alla Commissione Elettorale Centrale. Per contro,  una volta effettuato, la candidata è riuscita ad ottenere soltanto il 44% delle preferenze. Dodik, leader dell’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti, è stato eletto Presidente della Republika Srpska con il 47%. Il percorso verso l’ufficializzazione dei risultati è stato poi scandito da minacce secessioniste e proteste da parte dell’opposizione a Banja Luka.

Per ciò che riguarda la Federazione della Bosnia ed Erzegovina (Federacija i Bosne i Hercegovine), il primo dato fondamentale è senza dubbio la vittoria  di due candidati secolari alla Presidenza tripartita. Ad avere la meglio sono stati il socialista bosgnacco Denis Bećirović del Partito Socialdemocratico e il croato liberale Željko Komšić . Il seggio serbo è andato invece a Željka Cvijanović.

La sconfitta del nazionalista bosgnacco Bakir Izetbegović del Partito di Azione Democratica e di Boriana Kristo del partito nazionalista dell’Unione Democratica Croata, rappresenta un chiaro messaggio da parte dei cittadini bosniaci. Dopo un dominio politico quasi ininterrotto di 25 anni, i partiti politici tradizionali nazionalisti affrontano una crisi profonda del loro consenso. La recessione economica e la crisi energetica hanno intaccato duramente le condizioni di vita dei cittadini.

Poster elettorali del Partito Socialdemocratico lungo il corso della Milijacka nei pressi del Parlamento a Sarajevo

La principale accusa rivolta alla classe dirigente è innanzitutto quella di tenere in ostaggio il Paese. Facendosi scudo delle divisioni etniche i politici bosniaci si sarebbero arricchiti alle spalle dei cittadini. Il clientelismo nelle istituzioni pubbliche ha raggiunto tassi allarmanti.  Durante le elezioni i casi  di irregolaritàvoto di scambio sono risultati assai frequenti.

In aggiunta, l’alto tasso di disoccupazione giovanile ha innescato un continuo processo di brain drain verso l’UE e oltreoceano. Questo determina una carenza critica di personale qualificato per ricoprire nuove posizioni lavorative. Tutte le criticità che oggi interessano la BiH sono una conseguenza dell’assetto politico creato a Dayton nel 1995. A tale proposito, durante la chiusura dei seggi è giunta la decisione dell’Altro Rappresentante per la Bosnia Erzegovina di cambiare la costituzione della FBiH.

Tale riforma andrà a toccare la composizione e le modalità di elezione dei membri della Camera alta della Federazione. Le modifiche avrebbero lo scopo di favorire la rappresentanza di tutte e tre le nazioni costituenti (serbi, croati e bosgnacchi), dando anche un peso maggiore agli ostali. Essi sono i cosiddetti “Altri”, ossia coloro che non si identificano nei tre gruppi etnici principali.

Tuttavia, la decisione di Schmidt sembra essere più una capitolazione ai croati nazionalisti dell’HDZ e al Governo di Zagabria. Gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno accolto con favore la riforma dell’Alto Rappresentante, mentre la reazione dell’UE è stata piuttosto fredda. Al contrario, la maggior parte dei partiti bosniaci e la stessa opinione pubblica ha accolto con frustrazione questi cambiamenti.

Poster elettorale di Željko Komšić nel quartiere di Drvenija a Sarajevo

Se da una parte l’SDA e i partiti nazionalisti bosgnacchi hanno espresso la loro contrarietà per timore di perdere parte della loro influenza politica, dall’altra, anche i partiti secolari come l’SDP, il Naša Stranka e il DF di Komsić hanno boicottato la decisione dell’OHR. Di seguito, Il 24 ottobre si è svolta una manifestazione molto partecipata proprio dinanzi agli uffici dell’Alto Commissario. Come sottolineato dal costituzionalista Nedim Ademović, la riforma più che favorire l’unità nazionale andrebbe piuttosto a rimarcare le divisioni etniche.

D’ora in poi le Assemblee cantonali potranno eleggere i membri della Camera alta esclusivamente in base alla loro appartenenza etnica. Per gli ostali ciò non avrebbe alcun tipo di risvolto pratico positivo in quanto la Camera esclude già le minoranze in maniera sistematica. Nel 2009 la causa Sejdić-Finci aveva portato alla condanna della Bosnia Erzegovina da parte della Corte di Strasburgo. Ciononostante, lo Stato bosniaco non ha mai rimosso le barriere che ostacolano la partecipazione degli ostali nella vita pubblica del Paese.

Infine, sul versante dell’integrazione europea, la classe politica bosniaca è considerata inaffidabile sia dai propri cittadini che dall’UE.  Nonostante la firma dell’accordo di Stabilizzazione e Associazione con l’Unione nel 2007, negli ultimi anni il dialogo tra Sarajevo e Bruxelles è stato altalenante e conflittuale.

Tuttavia, è necessario rilevare come anche la posizione europea non sia stata priva di pregiudizi e contraddizioni. Soltanto poche settimane fa la Commissione ha citato espressamente il Paese nel Pacchetto Allargamento 2022. I dati della scorsa tornata elettorale mostrano come soltanto il 50% degli aventi diritto si sia recato alle urne. Ciò dimostra senza dubbio una disillusione totale da parte della popolazione bosniaca nei confronti dei propri rappresentanti.

Le elezioni del 2 ottobre hanno restituito il quadro di un Paese allo stremo ed estremamente diviso al suo interno. Gli ultimi risvolti politici e la completa autoreferenzialità della classe dirigente, manifestano la completa scollatura dalla realtà dell’intero sistema sorto nel dopoguerra.

In questi 25 anni la politica non sembra aver portato alcun benessere duraturo alla popolazione. La mancanza di crescita economica e la prospettiva di un inverno rigido alle porte con costi elevati non trovano spazio nel dibattito politico nazionale. I problemi reali della quotidianità e l’incertezza per il futuro opprimono sempre più la società. A risentirne maggiormente sono le nuove generazioni. Oggi più che mai, la Bosnia Erzegovina sembra non avere reali prospettive di futuro per i suoi cittadini più giovani.

[Tutte le foto sono dell’autore dell’articolo e sono state scattate a Sarajevo tra il 5/10/2022 e il 03/11/2022]

Alessandro Cinciripini

Laureato in Studi dell’Africa e dell’Asia presso l’Università di Pavia, interessato a Vicino Oriente, Balcani e diritti umani. Attualmente a Sarajevo dove si occupa di progetti di promozione sociale e interculturale.

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