Oltre il Medio Oriente, l’avanzata dell’estremismo islamico in Africa

[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Paul Rogers pubblicato su openDemocracy]

Attacco mortale a un hotel noto di Mogadiscio da parte dei combattenti di Al Qaeda legati al gruppo di Al Sahabab. Immagine ripresa da Flickr/Hiiraan Online in licenza CC
Attacco mortale in un noto hotel di Mogadiscio da parte dei combattenti di Al Qaeda legati al gruppo Al Shabaab. Immagine da Flickr/Hiiraan Online su licenza CC

Alla fine della caotica e violenta ritirata delle forze armate americane da Kabul avvenuta lo scorso anno, gli esperti occidentali di difesa hanno iniziato a domandarsi se la partenza avrebbe portato a un ritorno del ramo afghano dell’ISIS, il cosiddetto Stato Islamico dell’Iraq e del Levante – Provincia di Khorasan (ISKP).

Quest’interrogativo ha acquisito maggiore rilevanza quando l’ISKP ha affermato di aver compiuto lo scorso agosto un terribile attentato suicida all’aeroporto internazionale Hamid Karzai di Kabul, durante il quale 90 persone hanno perso la vita e oltre 150 sono rimaste ferite.

Tra le vittime vi erano anche 13 soldati americani, e sebbene si pensasse che fossero loro i bersagli da colpire, l’attacco ha comunque sollevato la questione della profonda ostilità da parte dell’ISKP nei confronti del regime talebano che in quel periodo si apprestava a conquistare l’intero Paese. L’aspetto meno chiaro allora era se quell’antipatia sarebbe perdurata e soprattutto se Al Qaeda in Afghanistan avrebbe mantenuto i suoi legami con i talebani.

Insieme, tali domande hanno alimentato la paura che il Paese avrebbe fatto da base per le future operazioni internazionali da parte di questi gruppi.

Inoltre, hanno posto un problema più ampio: quello della sfida rappresentata dall’ISIS, Al Qaeda e altri gruppi paramilitari di estremisti islamici nel resto del mondo, una questione che ho analizzato negli ultimi articoli. Quello pubblicato lo scorso dicembre, metteva in evidenza la maggiore influenza di tali gruppi nella regione del Sahel e in Africa orientale mentre il secondo, pubblicato due mesi dopo, si concentrava in particolare sugli attacchi legati all’ISIS nel Nord dell’Iraq e in Siria, teatro quest’ultima di un’evasione di massa da una prigione.

In pochi giorni, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, la copertura mediatica di questi movimenti è scomparsa, per riapparire poi solo in rare eccezioni come nella pubblicazione dei rapporti sull’uccisione del leader di Al Qaeda, Ayman al-Zawahiri avvenuta a fine luglio a Kabul da parte di un drone americano.

L’emiro di Al Qaeda era stato ospitato dalla leadership talebana per diversi mesi, ma il suo rifugio era noto alle agenzie di intelligence americane, ed è stato poi Biden a dare l’ordine finale per la sua uccisione. Sebbene quest’azione abbia dimostrato l’abilità delle forze di sicurezza statunitensi a guidare attacchi da remoto, ha anche rivelato quanto la relazione tra i talebani e Al Qaeda fosse ancora forte e destinata a continuare.

Tuttavia, resta ancora aperta la questione dello status dei paramilitari estremisti islamici nel mondo. Si tratta infatti di un problema importante, nonostante sia passato in secondo piano a causa dell’attacco di Vladimir Putin all’Ucraina.

Sia in Siria che in Iraq, dominano tuttora altre tendenze violente. Sono circa 2.500 i soldati americani rimasti in Iraq, Paese in cui si è registrato un notevole incremento nel numero di combattimenti tra le milizie sciite sostenute dall’Iran e i sostenitori iracheni più nazionalisti di Muqtada al-Sadr. Nel frattempo, l’azione del Governo siriano nei confronti dell’opposizione locale si è intensificata, con la Russia che continua a offrire il suo sostegno.

Data l’attuale instabilità politica dell’Iraq, probabilmente si potrà contare ancora sul sostegno sunnita ai paramilitari radicali (non solo all’ISIS) in quanto il dominio politico sciita è destinato a durare. Gli sciiti mantengono una maggioranza elettorale complessiva, chiaramente a spese dalla minoranza sunnita, nonostante gli attuali scontri e violenze interni alla comunità sciita.

Intanto, i gruppi islamici stanno mantenendo e persino incrementando la loro influenza in tutto il Sahel così come lungo tutta la costa dell’Africa orientale, dalla Somalia fino al Mozambico.

In Mali, l’operazione militare francese Barkhane durata nove anni e finalizzata a contrastare l’ISIL, affiliato dell’ISIS, e altre milizie islamiche, si è conclusa senza successo, con la Francia che ad agosto ha definitivamente ritirato tutte le sue truppe. Il Governo maliano sta finanziando ulteriori operazioni con il supporto dei mercenari del Wagner, un gruppo paramilitare russo che si ritiene abbia legami con lo Stato.

Negli ultimi sei mesi, in Mali si sono registrate numerosi morti di civili, e in tal senso i commentatori esterni sono stati profondamente critici nei confronti dell’esercito maliano e del gruppo Wagner. Finora, le intense operazioni antisommossa in Mali e in tutto il Sahel hanno fatto poco o niente per frenare il potere degli esponenti islamici mentre in Somalia un recente attacco di matrice islamista all’Hotel Hayat a Mogadiscio, rivendicato da Al-Shabaab, potente gruppo legato ad Al Qaeda, ha provocato almeno 21 morti e numerosi feriti.

A oltre 1.000 km a Sud, nella provincia di Cabo Delgado, ricca di combustibili fossili nel Nord del Mozambico, per due mesi c’è stato un incremento dell’attività paramilitare islamica in parte collegata all’ISIS che ha messo in crisi la sicurezza di milioni di individui e ha significato l’evacuazione di 80.000 persone.

Nonostante gli aiuti militari da parte degli Stati vicini nel corso dell’ultimo anno, una precedente affermazione del comandante generale della polizia nazionale del Mozambico circa il fatto che “la guerra contro il terrorismo sia quasi alla fine” si è rivelata falsa, così come quelle dichiarazioni che addebitano le insurrezioni ad attori esterni.

Sebbene i gruppi legati all’ISIS possano aver avuto una certa influenza, FOMICRES [La Forza del Mozambico per le indagini sulla criminalità e l’inserimento sociale, NdT], un gruppo indipendente che opera per la costruzione della pace in Mozambico, in un articolo ha concluso che:

“la verità risiede nel fatto che il conflitto ha origini interne dovute al malgoverno e al pessimo rapporto tra lo Stato e la popolazione locale. Fintanto che il Governo continuerà a ignorare quest’aspetto, gli attacchi non si fermeranno.”

Associated Press ha riferito che anche se l’esercito del Mozambico e le truppe straniere alleate erano riuscite ad allontanare i ribelli dalle città di Cabo Delgado e a spingerli nelle foreste:

“Quest’azione ha messo in realtà le popolazioni rurali in prima linea. Da giugno, la rivolta è stata caratterizzata da inarrestabili attacchi a sorpresa a villaggi indifesi, costringendo così l’esercito e la polizia a sbilanciarsi nell’accorrere da uno scontro all’altro.”

I recenti sviluppi in Mali, Mozambico e Somalia smentiscono la convinzione secondo cui l’ISIS, Al Qaeda e altri gruppi paramilitari siano poco più che fantasmi del passato. Al contrario, sono esempi di una tendenza che non accenna a concludersi ma che è stata nascosta in tutto il mondo occidentale dapprima dall’impatto della pandemia e ora dalla guerra in Ucraina.

Quella guerra sta inoltre danneggiando le economie in tutto il Sud del mondo, portando a una maggiore emarginazione socio-economica e a un numero più importante di giovani disponibili a essere reclutati dai gruppi paramilitari estremisti. Questo fa parte della difficile situazione della sicurezza globale che ora viene ripetutamente ignorata.

Luciana Buttini

Laureata in Scienze della Mediazione Linguistica e Specializzata in Lingue per la cooperazione e la collaborazione internazionale, lavora come traduttrice freelance dal francese e dall'inglese in vari ambiti.

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