[Traduzione a cura di Luciana Buttini dell’articolo originale di Afolasade A. Adewumi pubblicato su The Conversation]
Attualmente, nel Continente africano vi sono diversi Paesi coinvolti in conflitti e quelli più colpiti sono il Sud Sudan, l’Etiopia, il Sudan, la Repubblica Democratica del Congo, la Somalia, la Repubblica Centrafricana e il Burkina Faso. Le cause scatenanti di questi conflitti armati sono da ricercarsi in una serie di fattori tra cui la presenza di una cattiva governance ma anche di corruzione, povertà, violazione dei diritti e intolleranza religiosa.
Nel corso dei decenni, le guerre hanno portato alla perdita di milioni di vite oltre ad aver avuto ripercussioni negative sullo sviluppo nazionale e ad aver causato enormi danni al patrimonio culturale.
In qualità di studiosa di diritto internazionale, con particolare attenzione al diritto dei beni culturali, nelle mie ricerche e nei miei policy brief ho analizzato politiche e normative già vigenti che tutelerebbero i patrimoni culturali durante i conflitti.
Le collaborazioni tra gli Stati africani, i soggetti interessati del settore del patrimonio culturale e le organizzazioni regionali e internazionali sono elementi essenziali per costituire una solida base per la tutela del settore.
Distruzione generalizzata
Sono molteplici le testimonianze di distruzione del patrimonio africano nelle situazioni conflittuali.
Ad esempio, la guerra tra Eritrea ed Etiopia, iniziata nel 1998 e conclusasi con un accordo di pace nel 2000, ha visto l’esercito etiope abbattere la Stele di Matara, un’importante scultura antica di 2.500 anni.
In Mali nel 2012, un gruppo di ribelli islamici prese il controllo di Timbuktu distruggendo moschee, mausolei e tombe sufi risalenti al XV secolo.
In Costa d’Avorio, le sacre maschere circolari vennero rubate e alcune bruciate durante un conflitto iniziato nel 2002. Il Klin Kpli, il sacro tamburo parlante del popolo Baulé venne rubato dalla corte reale di Sakassou.
In Senegal tra il 1990 e il 2011, furono distrutte chiese, moschee e foreste sacre in quanto venivano usate come rifugi dai civili e come nascondigli dai combattenti.
Durante la guerra civile nigeriana tra il 1967 e il 1970, il Museo di Oron, nella parte orientale del Paese, venne occupato dalle truppe. Le figure ancestrali di Oran Kepi, conservate al suo interno, furono trasferite nel Sud, nella città di Umuahia, per poter essere tenute al sicuro. Quando poi la guerra arrivò anche lì, i manufatti furono spostati a Orlu a circa 70 km di distanza. Ma purtroppo, a causa della scarsa conoscenza del loro valore, i residenti di Orlu iniziarono a usarli come legna da ardere.
In Sierra Leone, il museo della capitale Freetown fu gravemente danneggiato durante la guerra civile del 1991-2002 . Alcuni reperti vennero crivellati dai fori dei proiettili mentre altri furono distrutti dalle piogge a causa dei danni arrecati al tetto, alle finestre e alle porte del museo.
Di recente, l’Etiopia è diventata nuovamente l’esempio di come i conflitti armati possano distruggere i beni culturali di valore storico. Difatti la regione settentrionale del Paese, il Tigray, caratterizzata da un ricco patrimonio religioso e attrazioni turistiche, è dilaniata dalla guerra dal novembre 2020.
Gli antichi manoscritti e i ritrovamenti inestimabili presenti nella regione sono stati oggetto di distruzione e saccheggio da parte delle truppe etiopi ed eritree.
Trattati internazionali
Il diritto internazionale garantisce la tutela del patrimonio culturale durante la guerra. Tuttavia, affinché questi meccanismi legali abbiano effetto, devono venire attuati dai Governi già in tempo di pace.
Una di queste leggi è la Convenzione dell’Aia del 1954 per la Tutela dei Beni Culturali in caso di un conflitto armato, che si costituisce di un Primo e di un Secondo Protocollo.
Il Secondo Protocollo è il più efficace nella tutela del patrimonio durante i conflitti. Gli Stati firmatari del protocollo possono esercitare la giurisdizione universale per estradare o processare eventuali responsabili di reati contro il patrimonio presenti sul territorio.
Un’altra legge importante è la Convenzione dell’Unesco del 1970 riguardante le misure da adottare per interdire e impedire importazioni ed esportazioni illecite nonché il trasferimento del titolo di proprietà di beni culturali. Esiste anche la Convenzione Unidroit del 1995 sulla restituzione dei beni rubati o esportati illegalmente.
Le Convenzioni Unesco del 1970 e del 1995, se adeguatamente attuate dai vari Paesi, possono aiutare a prevenire il saccheggio e il traffico illecito dei beni culturali. Per applicare queste convenzioni, gli Stati membri devono, tra l’altro, disporre di una legislazione e di un inventario aggiornati sul patrimonio di questi oggetti.
Tuttavia, nessun Paese africano dispone di leggi particolarmente mirate a modificare tali convenzioni internazionali e questo rende in gran parte impossibile l’attuazione delle disposizioni.
L’Etiopia e i trattati
Il 31 agosto 2015, l’Etiopia è diventata uno Stato membro della Convenzione dell’Aia del 1954. Ciò nonostante, non ha aderito al Secondo Protocollo della Convenzione del 1999 e questo significa che il Paese non può beneficiare di queste norme.
Nel 2021, l’Etiopia ha presentato al comitato della Convenzione dell’Aia del 1954 un rapporto sulle attività svolte nel periodo compreso tra il 2017 e il 2020 nell’ambito del trattato, delineando la sua attuazione degli articoli 3, 25 e 28 della stessa Convenzione.
L’articolo 3 riguarda le misure messe in atto in tempi di pace al fine di tutelare i beni culturali dalle conseguenze immediate di un conflitto armato.
L’articolo 25 concerne le misure orientate alla divulgazione pubblica tra cui la formazione delle popolazioni civili e militari in tempo di pace sui principi atti ad assicurerebbero la tutela dei beni culturali.
L’articolo 28 si concentra sull’attuazione, a livello nazionale, di meccanismi volti a sanzionare i cittadini e gli stranieri che violano le disposizioni della Convenzione.
Inoltre, l’Etiopia a novembre del 2017 ha ratificato la Convenzione dell’Unesco del 1970. Gli articoli 7 e 9 della Convenzione prevedono la cooperazione internazionale tra gli Stati membri. Ciò garantisce che i reperti presi illegalmente dal territorio di uno Stato debbano essere restituiti.
L’Etiopia può fare affidamento su queste norme e, per mezzo delle sedi diplomatiche, garantire la restituzione dei beni saccheggiati durante la guerra.
Tuttavia, secondo alcuni rapporti, le forze etiopi sono responsabili della distruzione e del saccheggio di diversi oggetti appartenenti al patrimonio storico e culturale nel Tigray. Ciò svela le lacune nella volontà politica del Governo di salvaguardare il patrimonio culturale.
Invertire la tendenza
La disinformazione e la comprensione superficiale dell’importanza dei beni culturali sono alla base della violenza perpetrata contro di essi in molte parti dell’Africa e altrove. Per contrastare le possibilità di danneggiamento e distruzione, la tutela del patrimonio richiede quanto segue:
- Volontà politica;
- Istruzione civica sul valore del patrimonio;
- Partenariato tra gli Stati africani, i soggetti interessati nel patrimonio culturale e le organizzazioni regionali e internazionali;
- Rafforzamento della legislazione nazionale e adattamento alle migliori prassi internazionali.