Energie rinnovabili alimentano conflitto nell’ultima colonia d’Africa

[Traduzione a cura di Gaia Resta dell’articolo originale di Joanna Allan pubblicato su The Conversation]

Il Marocco si è imposto come leader a livello globale nella lotta al cambiamento climatico, grazie a uno dei più apprezzati piani d’azione nazionale. Sebbene si proponga di generare metà dell’elettricità tramite fonti rinnovabili entro il 2030, i piani del Paese nordafricano dimostrano che gran parte di questa energia giungerà da impianti eolici e solari situati nelle terre occupate nel confinante Sahara occidentale. La mia ricerca si concentra proprio su come il Marocco abbia sfruttato lo sviluppo dell’energia rinnovabile per consolidare l’occupazione di quell’area.

Il Sahara occidentale, territorio desertico scarsamente popolato e lambito dall’Oceano Atlantico, è l’ultima colonia d’Africa. Nel 1975 la Spagna la vendette al Marocco e alla Mauritania in cambio di un accesso garantito e continuativo alle ricche riserve di pesca di quella zona dell’Atlantico e di una parte dei profitti ricavati da una redditizia miniera di fosfati.

Il Marocco sostiene che il Sahara occidentale facesse parte del sultanato del Marocco prima della colonizzazione spagnola avvenuta negli anni ’80 del 1800. Tuttavia, nel 1975 la Corte internazionale di giustizia si dichiarò in disaccordo e sollecitò un referendum per l’auto-determinazione sull’indipendenza degli indigeni saharawi. Ciononostante, il Marocco invase la regione e utilizzò il napalm contro i rifugiati saharawi in fuga.

Il Sahara occidentale ha circa la stessa superficie del Regno Unito, con l'1% della popolazione. I territori a Est della linea rossa sono controllati dal Polisario, quelli a Ovest dal Marocco. Il Governo in esilio si trova a Tindouf, nel Sud-Est dell'Algeria. Da Wikipedia con licenza CC BY-SA
Il Sahara occidentale ha circa la stessa superficie del Regno Unito, con l’1% della popolazione. I territori a Est della linea rossa sono controllati dal Polisario, quelli a Ovest dal Marocco. Il Governo in esilio si trova a Tindouf, nel Sud-Est dell’Algeria. Da Wikipedia su licenza CC BY-SA

Decine di migliaia di persone fuggirono nella vicina Algeria dove il Fronte di Liberazione Saharawi, il Polisario, aveva stabilito la sede del Governo in esilio: la Repubblica Democratica Saharawi Araba (SADR). Molti altri rimasero nei loro territori, occupati dal Marocco.

A oggi un muro di sabbia, o berma, attraversa il Paese per tutta la lunghezza; tutto ciò che si trova a est del berma è sotto il controllo del Polisario. La presenza di numerose mine impedisce il ritorno in massa dei rifugiati, sebbene alcuni nomadi saharawi vivano proprio lì.

Il Marocco e il Fronte Polisario sono stati in guerra fino al 1991, quando l’ONU trattò il cessate il fuoco promettendo lo svolgimento di un referendum per l’independenza del popolo saharawi. Referendum sempre impedito dal Marocco che include il Sahara occidentale tra le sue “province meridionali”.

Negli anni ’40 la Commissione speciale sulla decolonizzazione dell’ONU ha iniziato a stilare un elenco dei territori non autonomi. Quelli che hanno conquistato l’indipendenza sono stati man mano eliminati dalla lista, quelli che sono rimasti corrispondono principalmente a piccoli Stati insulari dei Caraibi o del Pacifico.

A ciascun caso viene ufficialmente associato una “potenza amministrativa” (solitamente il Regno Unito). Il Sahara occidentale è l’unico territorio africano attualmente nell’elenco. Ed è anche l’unico territorio a cui non è associata alcuna potenza amministrativa; in una nota a margine si spiega che l’ONU considera la vicenda “una questione di decolonizzazione che deve essere portata a termine dalle popolazioni autoctone”. Tuttavia, il Marocco non ritiene di essere “un occupante” né la potenza amministrativa di riferimento, ma asserisce che il Sahara occidentale fa semplicemente parte del territorio nazionale.

Nel novembre 2020 sono però ricominciati gli scontri armati tra le due fazioni. In un recente articolo scritto con i colleghi Mahmoud Lemaadel e Hamza Lakhal, ho affermato che lo sfruttamento delle risorse naturali, incluse le energie rinnovabili, ha avuto un ruolo tutt’altro che minore nello scatenare nuovamente la guerra.

Energie rinnovabili in una terra occupata

Il Sahara occidentale è molto assolato e sorprendentemente ventoso: una centrale elettrica naturale alimentata da energie rinnovabili. Il Marocco ha sfruttato queste risorse costruendo tre grandi impianti eolici (ne sono previsti altri cinque) e due impianti fotovoltaici con un altro di prossima costruzione.

Mappa delle risorse di energia eolica in Africa. Il rosso e il viola indicano le zone più ventose. L'area viola a Nord-Ovest comprende il Sahara occidentale e la Mauritania. Da Global Wind Atlas con licenza CC BY-SA
Mappa delle risorse di energia eolica in Africa. Il rosso e il viola indicano le zone più ventose. L’area viola a Nord-Ovest comprende il Sahara occidentale e la Mauritania. Da Global Wind Atlas su licenza CC BY-SA

Queste attività di sviluppo hanno però reso il Marocco in parte dipendente dal Sahara occidentale per la fornitura di energia. Attualmente il Paese nordafricano ottiene il 18% della sua capacità eolica e il 15% di quella solare dai territori occupati, percentuali che entro il 2030 potrebbero aumentare rispettivamente fino al 50% e al 30%. Sono dati estrapolati da una recente inchiesta intitolata “Greenwashing the Occupation” a cura di Western Sahara Resource Watch, organizzazione con sede a Bruxelles a cui sono associata.

Nel documento relativo al contributo determinato a livello nazionale (NDC) nel quadro dell’accordo di Parigi sul clima, il Marocco riferisce delle attività nel Sahara occidentale occupato (che chiama “province meridionali”) come se fossero localizzate nel territorio nazionale. Questa dipendenza energetica non fa che consolidare l’occupazione e indebolire il processo di pace delle Nazioni Unite.

Secondo i ricercatori saharawi, numerose famiglie autoctone sono state sfrattate con la forza dalle loro case per fare spazio agli impianti fotovoltaici. Inoltre, i miei colleghi hanno documentato l’attuazione di sfratti forzati associati allo sviluppo di un sistema energetico sempre più ampio nel Sahara occidentale.

I rifugiati saharawi usano i pannelli solari per l’energia domestica sin dalla fine degli anni ’80. Il Governo in esilio vorrebbe installare piccoli impianti solari ed eolici nell’area di sua pertinenza del Sahara occidentale, in modo da fornire energia ai pozzi comunali, alle farmacie e agli altri servizi utilizzati dai nomadi.

Di recente ho fatto parte del team che ha aiutato il SADR a sviluppare un contributo indicativo determinato a livello nazionale (iNDC) – in sostanza una versione informale dei piani d’azione per il clima che a ciascun Paese è stato richiesto di presentare in occasione della recente COP26 svoltasi a Glasgow.

Il SADR spera che questo possa attrarre finanziamenti per il clima. L’iNDC può d’altro canto essere interpretato come un atto di sfida verso l’ingiustizia climatica. Anche se la loro responsabilità per la crisi climatica è di fatto quasi nulla, il popolo saharawi deve affrontarne le conseguenza peggiori: tempeste di sabbia continue, allagamenti e temperature estive oltre i 50°C.

Il procedimento formale degli NDC esclude dalla conversazione globale sull’emergenza climatica le popolazioni occupate e sfollate come i saharawi. Così, l’iNDC rappresenta un passo deciso perché il popolo sarahawi venga ascoltato.

Gaia Resta

Traduttrice, editor e sottotitolista dall'inglese e dallo spagnolo in ambito culturale, in particolare il cinema e il teatro. L'interesse per un'analisi critica dell'attualità e per i diritti umani l'ha avvicinata al giornalismo di approfondimento e partecipativo.

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