29 Marzo 2024

Sahara Occidentale, la lotta contro l’occupazione marocchina

[Traduzione a cura di Marika Giacometti, dall’articolo originale di Malainin Mohamed pubblicato su Pambazuka.]

Nel Sahara Occidentale, ultima colonia africana occupata illegalmente e con la forza dal Marocco, con l’appoggio della Francia, il 27 febbraio è stata Festa nazionale. In quest’intervista Malainin Mohamed Lakhal, giornalista e traduttore saharawi membro del Saharawi Natural Resource Watch (un’organizzazione che monitora la situazione delle risorse naturali nel Sahara Occidentale), riflette sulla lotta del suo popolo per la libertà e sul ruolo che gli Africani e le altre popolazioni mondiali possono assumere per solidarietà. Intervista a cura dell’African Democratic Institute.

Malainin Mohamed Lakhal

Cosa significa crescere nel Sahara Occidentale?

Crescere nel Sahara Occidentale occupato è come crescere in un enorme campo di detenzione a cielo aperto. L’occupazione militare marocchina, sin dal primo giorno dell’invasione mise sotto violento assedio varie città dei territori. L’invasione ebbe iniziò il 31 dicembre 1975 con una grossa operazione militare che travolse centinaia di villaggi nomadi saharawi, uccidendo migliaia di persone; altre migliaia scomparvero, e di oltre 600 non si hanno notizie.

Da bambino saharawi, crescere nelle scuole marocchine ed essere controllato da insegnanti marocchini è stata un’esperienza molto difficile, perché venivamo trattati diversamente, come accade a qualsiasi popolo colonizzato. In classe, nelle strade, al parco giochi venivamo trattati dalla polizia come sospetti, spesso arrestati ogni volta che accadeva qualcosa. Eravamo gli “sporchi Saharawi” o i “Pastori dei cammelli”, come erano soliti chiamarci. Tutta la mia generazione e quella successiva era abituata a essere arrestata nelle strade anche senza motivo, essere portata alle centrali di polizia, picchiata e torturata dai poliziotti marocchini per divertimento o per l’estorsione di informazioni specifiche, magari restare una o due notti in cella prima di essere rilasciata. Alcuni di noi sono restati in prigione per più tempo, oppure sono scomparsi per lunghi periodi o per sempre.

Eravamo discriminati anche nella carriera scolastica. In quei tempi era difficile che un Saharawi terminasse la scuola. Le autorità coloniali facevano di tutto per dissuaderci dal proseguire gli studi. E per molti di noi raggiungere l’università era un miracolo. Da bambini, a causa di questo trattamento siamo diventati politicamente consapevoli già dalla più tenera età, e ovviamente eravamo politicamente attivi cercando di fare tutto ciò che era in nostro potere per rendere la vita difficile alle autorità coloniali nelle strade, soprattutto di notte. Per farla breve: la vita nelle zone occupate del Sahara Occidentale è la vita di un popolo colonizzato che lotta per la propria libertà ed è oppresso dai colonizzatori a causa di questa lotta. Qui l’unica differenza è che il colonizzatore è un altro Paese africano.

Cosa significa per lei la festa dell’Indipendenza del suo Paese?

Significa molte cose contraddittorie tra loro. Innanzitutto, sono molto orgoglioso che il mio popolo sia riuscito in un momento molto difficile della sua Storia a dichiarare la propria volontà politica e a tradurla nella Costituzione e nella proclamazione della Repubblica Democratica Araba dei Saharawi [27 febbraio 1976, NdR]. Ma, ancora oggi, il mio Paese non è completamente libero né totalmente indipendente. Ancora due terzi del Paese sono sotto il giogo dell’occupazione coloniale marocchina. Quindi, per esempio, non possiamo festeggiare la nostra indipendenza come vorremmo.

Ma, dall’altro lato, la nostra festa dell’Indipendenza ricorda a noi e al mondo che qualcosa non va nel Sahara Occidentale. È un messaggio da parte del mio popolo alla Comunità Internazionale, che noi, i Saharawi, abbiamo già deciso il nostro futuro e siamo pronti per confermarlo in un referendum di autodeterminazione se ce lo permetteranno. Altrimenti, la nostra scelta è chiara. Vogliamo essere liberi! Non c’è un’alternativa alla nostra libertà. È una condizione imprescindibile. Vogliamo costruire il nostro Stato e la nostra Nazione e siamo pronti per farlo, perché abbiamo già fondato le nostre istituzioni e il nostro Governo che è riuscito per più di 40 anni a governare l’unico campo profughi al mondo gestito, amministrato e organizzato dai profughi stessi. Abbiamo solo bisogno che la Francia e il suo protettorato, la monarchia marocchina, ci lascino da soli e smettano di sostenere il neo-colonialismo nel nostro Paese.

Il conflitto territoriale tra il Fronte Polisario Saharawi e il Marocco è in corso dal 1975 e il Marocco rifiuta di riconoscere l’indipendenza del Paese. Cosa ne pensa di questo conflitto, quali sono i problemi e in che modo colpisce il suo Paese?

Il conflitto nel Sahara Occidentale è chiaramente un problema della decolonizzazione. Non è un’opinione, ma un’affermazione sancita e confermata da più di 110 risoluzioni delle Nazioni Unite e da molte altre risoluzioni dell’Unione Africana, dell’Unione Europa e di altri organismi. Nel 1975 la Corte Internazionale di Giustizia ha anche espresso un chiaro parere consultivo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dichiarando che il Sahara Occidentale è un territorio non autonomo, che il Marocco non ne ha la sovranità e che questo territorio ha un popolo ben determinato, denominato Saharawi, il quale secondo le regole della Corte Internazionale di Giustizia ha il diritto inalienabile all’autodeterminazione che dovrebbe esercitare nell’ambito della Risoluzione dell’integrità territoriale 1514, grazie a cui molte nazioni africane hanno ottenuto la loro indipendenza negli anni Sessanta. Quindi legalmente parlando la questione è chiara al punto che nessun Paese al mondo riconosce la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale.

Ma, ovviamente, il Sahara Occidentale è un territorio molto ricco di ogni tipo di risorsa rinnovabile o non. Questo è uno dei motivi principali per cui il Marocco, sostenuto dalla Francia, rifiuta, come ha già affermato lei nella domanda, di riconoscere non solo la nostra indipendenza ma ogni nostro diritto all’esistenza, alla libertà e all’autodeterminazione.

Come un tempo i Sudafricani soffrivano sotto l’Apartheid, noi stiamo ancora soffrendo, nelle zone occupate del Sahara Occidentale, di detenzioni arbitrarie, le dimostrazioni pacifiche sono vietate e se organizzate vengono represse violentemente. A oggi abbiamo circa 50 prigionieri politici detenuti nelle prigioni marocchine, molti dei quali sono stati giudicati prima dalle corti militari marocchine nonostante fossero civili e soprattutto studenti. Il regime marocchino ha commesso crimini contro l’umanità atroci e ben documentati negli anni Settanta e Ottanta e commette tuttora violazioni che sono considerate crimini contro l’umanità come sparizioni forzate, torture ed esecuzioni sommarie.

Quindi, per riassumere, il Sahara Occidentale è un problema della decolonizzazione, in cui il popolo colonizzato combatte un violento regime militare coloniale che rifiuta di riconoscere e di permettere alle persone di decidere sul proprio futuro e sul proprio territorio.

La resistenza del Fronte Polisario alle Forze del Marocco è militante per natura o il Fronte pratica la resistenza passiva? In altre parole, si verificano scontri violenti?

Bisogna ricordare che il Fronte Polisario è stato creato nel 1973 da un gruppo di giovani combattenti liberi saharawi per guidare una lotta armata contro la colonizzazione spagnola presente in quel momento. Quando il Marocco cospirò con la Spagna per sostituirla illegalmente, il Fronte Polisario intraprese 16 anni di guerriglia contro il nuovo potere coloniale e riuscì a provocare seri danni alla monarchia e al suo esercito. Questo evidente successo del Fronte Polisario costrinse il re marocchino Hassan II ad accettare il piano di pace dell’Unione Africana e delle Nazioni Unite del 1991 che doveva portare all’organizzazione da parte delle Nazioni Unite di un referendum sull’autodeterminazione con tre opzioni: indipendenza, annessione al Marocco, o un’altra forma di associazione con un’altra entità.

Perciò, durante gli anni della guerra, la resistenza dei civili saharawi ha continuato a esistere sotto forma di organizzazioni segrete con lo scopo di aumentare la consapevolezza tra le persone, dare sostegno al Fronte Polisario e a volte compiere operazioni di sabotaggio contro le istituzioni marocchine e le forze militari e di polizia.

Dopo che le Nazioni Unite hanno approvato la missione MINURSO, la resistenza Saharawi nelle zone occupate ha optato per l’organizzazione di manifestazioni pacifiche e ha diretto la sua lotta verso l’attivismo della società civile in difesa dei diritti umani, delle risorse naturali, e delle richieste di carattere sociale. Questa resistenza pacifica continua da allora, guidata da una società civile saharawi attiva, parallelamente alle azioni ufficiali politiche e diplomatiche.

Il Marocco è diventato recentemente il 55° Stato membro dell’Unione Africana, qual è la sua reazione?

Si è trattato di un giorno triste per l’Africa. Il Marocco è certamente un Paese africano, ma il suo regime è un regime coloniale venduto alla Francia; non si merita di far parte di un’organizzazione che sta combattendo dalla sua nascita contro i poteri coloniali. Quindi, per me, l’aver accettato la candidatura del Marocco per l’ingresso nell’Unione Africana è analogo all’aver accettato di principio che l’Apartheid negli anni Sessanta e Settanta avesse fatto parte delle Nazioni Africane ora Organizzazione dell’Unità Africana.

Molti sostenitori della lotta Saharawi nell’Unione Africana hanno accettato la candidatura del Marocco perché affermano di voler affrontare il problema dall’interno, con il Marocco seduto insieme a loro sotto lo stesso tetto, invece che escludere Rabat, come erano soliti fare, e affrontare il suo continuo rifiuto di permettere all’Unione Africana di intervenire nel conflitto. Bene, è un’ipotesi da verificare. Vedremo se funzionerà o no. Ma sono sicuro che il Marocco è entrato nell’Unione Africana solo per due ragioni. Primo, è voluto diventare membro per moderare le posizioni dell’Unione Africana in merito al conflitto o addirittura per bloccare la sua decisione dissuadendo gli organi dal prendere posizioni forti su di esso. Secondo, se Rabat non dovesse riuscire a raggiungere il primo obiettivo, allora cercherà di creare divisioni e magari distruggere l’organizzazione dall’interno. Il Marocco è uno Stato canaglia abituato a utilizzare tutte le forme di corruzione e tutti i metodi di intelligence per raggiungere i suoi scopi nelle organizzazioni internazionali. Per esempio, dovremmo ricordare i documenti di WikiLeaks che pochi anni fa hanno svelato come l’ambasciatore marocchino a Ginevra abbia comprato diplomatici delle Nazioni Unite e spiato gli alti ufficiali delle Nazioni Unite tra cui Ban Ki-Moon e Christopher Ross. Questi metodi vengono utilizzati ancora dal Marocco nei confronti di molti Stati africani.

Detto ciò, mi aspetto che le autorità marocchine inizino, se non l’hanno già fatto, a cercare ufficiali e diplomatici africani corrotti per comprare i loro servizi in modo da controllare o distruggere l’Unione Africana. In futuro lo vedremo accadere senz’altro, e a proposito ci sono già delle voci e degli indizi di corruzione su molti politici africani, soprattutto in quei Paesi storicamente sotto l’influenza francese.

Come sa, la presidentessa uscente H.E. Nkosazana Dlamini-Zuma ha nominato nel 2014 il primo Inviato Speciale per il Sahara Occidentale nel tentativo di risolvere la situazione. Cosa ne pensa del ruolo/influenza dell’Unione Africana nel trovare una soluzione pacifica per la questione del suo Paese?

Devo sottolineare che H.E. Dlamini Zuma ha fatto molto per il continente africano, non solo per il Sahara Occidentale, durante il suo mandato. Gli storici risultati ottenuti da questa grande donna panafricanista non sono nulla di più di un’elaborazione e dell’adozione chiara e geniale dell’Agenda 2063 insieme ad altri importanti documenti politici e strategici che definiscono in che direzione sta andando l’Africa e in che modo essa raggiungerà i suoi obiettivi e le sue aspirazioni.

Anche sulla problematica del Sahara Occidentale, Zuma ha ottenuto molto. Come ha evidenziato lei, è riuscita a nominare il primo Inviato Speciale per il Sahara Occidentale, e inoltre ha ridato voce all’Unione Africana all’interno delle Nazioni Unite, tra cui prima all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. È stata forse il primo presidente della Commissione dell’Unione Africana a imporre la presenza e la voce dell’Africa nel Consiglio di Sicurezza dei Cinque Stati Permanenti, anche sulla questione del Sahara Occidentale. Negli ultimi quattro anni, questa questione è diventata popolare a vari livelli decisionali degli organi dell’Unione Africana. Molte decisioni, risoluzioni e dichiarazioni sono state perciò adottate e se ne è parlato come mai dagli anni Ottanta a oggi.

Dobbiamo anche riconoscere che l’Organizzazione dell’Unità Africana/Unione Africana ha fatto molto per i Saharawi. La cosa principale che è stata realizzata è stata quella di riconoscere semplicemente e chiaramente la Repubblica Saharawi come membro a pieno titolo dell’organizzazione. Ciò è in sé stessa una decisione e una posizione epocale dell’Unione Africana e un chiaro rifiuto alle rivendicazioni coloniali marocchine.

Ma i Saharawi credono che l’Unione Africana sia completamente autorizzata a guidare i tentativi per una soluzione al conflitto nel Sahara Occidentale, perché si tratta di una questione africana. Le Nazioni Unite non sono riuscite a fare passi avanti, perché la Francia ha sempre cospirato con i suoi alleati e con gli Stati fantoccio per mettere a rischio gli sforzi delle Nazioni Uniti nel risolvere quest’ultimo caso di decolonizzazione in Africa. Quindi, crediamo che l’Unione Africana debba assumersi le proprie responsabilità in merito, soprattutto ora che il Marocco ne è diventato uno Stato membro.

Rabat non può più rifiutare che l’Unione Africana si occupi di questa questione affermando di non riconoscere l’organizzazione. Vedremo cosa accadrà.

Crede che il suo Paese conquisterà la totale indipendenza dal Marocco? 

Certamente sì, perché ho imparato dalla Storia che nessun potere coloniale è riuscito a controllare per sempre i territori colonizzati. Un giorno o l’altro la volontà dei popoli prevarrà.

Nel nostro caso sono sicuro che conquisteremo la nostra indipendenza, perché il mio popolo non smetterà di combattere. Hanno deciso di riprendere il proprio futuro dalle mani degli usurpatori della nostra terra. Le nuove generazioni che non hanno vissuto i primi giorni dell’invasione e dell’oppressione sono i leader della resistenza. Secondo me, la nostra lotta è una lotta di generazioni e non importa quale vedrà e assisterà al grande giorno della liberazione, la cosa più importante è che ognuno di noi mantenga viva questa lotta e ne stabilisca obbiettivi chiari in modo che le future generazioni possano in seguito condurre e portare a termine la missione.

D’altro canto il Marocco ha sempre avuto una posizione instabile sulla questione, il che riflette il fatto che è un potere coloniale rivolto solo alle nostre risorse. Per esempio, negli anni Sessanta il re marocchino sosteneva la lotta dei Saharawi per l’indipendenza e rivendicava il loro diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza. Poi, negli anni Settanta, iniziò a cospirare con la Spagna rivendicando la propria sovranità sul territorio. Alla fine lo invase militarmente considerando la questione un “file archiviato”, affermando che il Marocco aveva liberato quest’area. Poi, dopo 16 anni di guerra con l’Esercito di Liberazione Saharawi (Polisario) e dopo aver compreso che non avrebbe potuto vincere né i cuori dei Saharawi né il conflitto, chiese di nuovo un arbitrato internazionale e accettò il principio di autodeterminazione, ovvero riconobbe apertamente che il suo Paese non aveva la sovranità sul territorio.

Nel 2000 il nuovo re, Mohamed VI, respinse il referendum affermando che offriva soltanto l’autonomia ai Saharawi, che è anche un esplicito riconoscimento che il Sahara Occidentale non gli appartiene. Ora, il Marocco e la Repubblica Saharawi siedono fianco a fianco sotto l’ombrello dell’Unione Africana, che ai miei occhi significa il riconoscimento legale della Repubblica Democratica Araba dei Saharawi e non importa ciò che i politici marocchini provano a fare o dire. A mio avviso questa posizione instabile del Marocco sulla questione è un forte indizio che un giorno dovrà riconoscere i propri errori e permettere ai Saharawi di costruire liberamente il proprio Stato. Alla fine il colonizzatore straniero dovrà andarsene.

Quali pensa che siano le sfide chiave di sviluppo del suo Paese?

Ho già accennato precedentemente all’Agenda 2063 dell’Unione Africana e ritengo che come molte Nazioni africane abbiamo molte sfide, molti obiettivi e molte aspirazioni sul piatto. Ma, come Saharawi, abbiamo una priorità che è la liberazione del nostro Paese, in seguito dovremo ricostruire tutto, perché la colonizzazione marocchina non ha costruito niente nelle nostre città occupate. Le infrastrutture nel territorio sono quasi inesistenti; non c’è un’università in tutta l’area del Sahara Occidentale, che è grande quanto l’Inghilterra. Non ci sono ospedali, teatri, cinema, centri culturali, fabbriche, niente. Le sole cose che il potere coloniale ha costruito sono i porti e alcune strade specifiche che gli permettevano di depredare le nostre risorse naturali, soprattutto il fosfato e il pesce, e ovviamente prigioni, commissariati di polizia e amministrazioni coloniali.

E quali pensa che siano le opportunità chiave del Paese?

Come molti Paesi africani, il Sahara Occidentale è ricchissimo di risorse rinnovabili e non-rinnovabili: gas, petrolio, fosfato, pesce, oro, diamanti, ferro, sabbia, sole e vento forti e molti altri minerali. Per questo motivo il Marocco insiste nel mantenere il suo controllo su di esso. E, certamente anche la Francia punta su di noi per mantenere il Marocco uno Stato abbastanza forte da conservare un qualche equilibrio e non permettere all’Algeria di diventare il potere principale nel Nord Africa.

Dall’altro lato, il nostro popolo, benché piccolo nel numero, è ben preparato e istruito. Sarà un fattore aggiuntivo e una forza trainante della rinascita e del progresso africano. Il nostro governo, nonostante non abbia un accesso completo alle nostre risorse, ha un’ottima esperienza nel gestire i problemi del nostro Paese con istituzioni democratiche e molto stabili. Abbiamo uno tra i governi più stabili dell’Africa e da più di 40 anni non si è mai verificata nessuna grave crisi politica. E il regime medievale marocchino è spaventato anche dal trovarsi accanto una repubblica democratica funzionante che potrebbe far luce sulla dittatura della monarchia e i suoi fallimenti nel dare ai Marocchini ciò che vogliono: democrazia, dignità e libertà.

Se potesse dire una cosa alle persone sul Sahara Occidentale che magari non conoscono, quale sarebbe?

Credo che molti popoli africani non sappiano che c’è una colonia africana e una nazione che sta ancora lottando per la libertà in Africa. Molti Africani, tra cui i Sudafricani, pensano forse che la gloriosa lotta contro l’Apartheid fu l’ultima lotta e l’ultima resistenza che l’Africa affrontò contro l’oppressione, il colonialismo e la segregazione. Ebbene non è così. I Saharawi stanno conducendo proprio ora una battaglia simile contro un regime coloniale africano che sta usando le stesse strategie e la stessa violenza utilizzate una volta dal regime dell’Apartheid contro un popolo.

Ora vorrei che tutti gli Africani capissero bene che noi stiamo combattendo in loro nome, perché la battaglia per la libertà e l’autodeterminazione nel Sahara Occidentale non è compito solo dei Saharawi. No, è e deve essere anche la battaglia di tutti gli amanti della libertà nel continente e all’estero. Non stiamo combattendo soltanto il regime coloniale marocchino, stiamo combattendo l’autentico potere coloniale che si nasconde dietro questo regime fantoccio, la Francia. Questo Paese europeo sta facendo tutto ciò che è in suo potere per impedire al nostro Paese, alla nostra regione e al nostro continente, la prosperità, l’unità e la libertà. E il regime marocchino sta facendo il suo gioco per mantenere l’Africa o almeno il Nordafrica diviso e incapace di integrarsi.

Vorrei incitare tutti gli Africani a tenere d’occhio questa parte del nostro amato continente, perché il Marocco e la Francia vogliono trascinarlo di nuovo nella guerra, nel caos e nella sofferenza. Già i vostri fratelli e le vostre sorelle Saharawi stanno resistendo a questo complotto e combatteranno fino all’ultimo respiro. Siccome siamo Africani liberi, abbiamo sempre amato la libertà e l’indipendenza e moriremo liberi se questo è il prezzo da pagare per la libertà e la dignità di tutti gli Africani.

Marika Giacometti

Laurea in “Scienze della Mediazione Linguistica”. Dopo due corsi di traduzione letteraria alla FUSP di Misano Adriatico, ha iniziato la carriera di traduttrice dal francese e dall’inglese in ambito economico, medico, ambientale, turistico, letterario.

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