Haiti senz’acqua, poco cibo e nella trappola delle bande armate
Le ultime notizie che arrivano da Haiti raccontano di un Paese nel caos. A testimonianza di una situazione in netto peggioramento, venerdì 5 novembre una nota dell’Ambasciata USA nella nazione caraibica ha sconsigliato vivamente di raggiungere il piccolo Stato, aumentando l’allerta sicurezza. Gli operatori umanitari americani che si trovano nel territorio haitiano sono stati avvisati di tornare al più presto in patria, mentre la carenza di carburante e l’incredibile numero di rapimenti da parte di numerose bande di criminali stanno esacerbando lo stato di emergenza che si vive nel Paese da mesi.
La cronaca delle prime settimane di novembre hanno riportato almeno due gravi problemi per la nazione: la mancanza di benzina e il crescente potere di gang di criminali sul territorio, che ormai comandano al posto delle istituzioni statali. I residenti della capitale Port-au-Prince hanno affermato di non avere accesso all’acqua potabile poiché le pompe hanno smesso di funzionare senza carburante.
Il capo della polizia nazionale Frantz Elbé ha dichiarato il 9 novembre che le misure adottate finora per consentire la distribuzione sicura della benzina non hanno funzionato, perché i camion cisterna sono stati bloccati in strada da membri delle bande armate, ormai padrone incontrastate della città. Anche le consegne di acqua in bottiglia sono state interrotte, il che significa che molti residenti devono fare affidamento sull’acqua piovana.
Le bande haitiane hanno estorto a lungo i conducenti di veicoli per le consegne, ma la situazione è peggiorata dopo l’assassinio, lo scorso luglio, del presidente Jovenel Moïse da parte di mercenari. Nel vuoto di potere seguito all’uccisione del capo di Stato, i capi delle bande sono diventati più forti e senza scrupoli e hanno intensificato le loro attività criminali, che includono rapimenti a scopo di estorsioni. In mano alla gang di Wilson Joseph, la banda chiamata 400 Mawozo, ci sono ancora 16 americani e un canadese di un ente missionario statunitense che saranno liberati – dicono i rapitori – solo previo il pagamento di un riscatto da 17 milioni di dollari.
E poi c’è Jimmy Chérizier, meglio conosciuto con lo pseudonimo di “Barbecue“, a capo delle altre bande più importanti e temute del momento. Ex ufficiale di polizia, è adesso alla guida di un’alleanza che riunisce nove delle gang più potenti di Port-au-Prince. Il mese scorso ha dimostrato tutto il suo potere, quando i suoi seguaci hanno aperto il fuoco contro un monumento proprio mentre il Primo ministro Ariel Henry stava per deporre una corona di fiori.
In una conferenza stampa, il mese scorso, Chérizier ha confessato che la sua alleanza criminale, G9 Family and Allies era dietro i blocchi al terminal del carburante. Ha anche aggiunto che non avrebbe permesso la consegna di benzina fino a quando il Primo ministro Ariel Henry non si fosse dimesso. La carenza di carburante nel frattempo è diventata gravissima, tanto da mettere in pericolo la vita dei pazienti negli ospedali, che si affidano a generatori per far funzionare apparecchiature salvavita.
In un recente discorso pubblico in uno dei quartieri più poveri di Port-au-Prince, “Barbecue” si è addirittura rivolto alle Nazioni Unite e a Washington affinché aiutino la popolazione rompendo ogni legame con il Governo. Intanto, però, la sua alleanza di bande ha diffuso il terrore nella città, con uccisioni di massa, compreso l’omicidio di bambini, saccheggi di interi quartieri, costringendo migliaia di persone a fuggire e richieste di estorsioni alle imprese.
Tutti questi eventi hanno fatto sprofondare la già fragile nazione haitiana nella disperazione, tanto che l’emigrazione dal piccolo Stato dei Caraibi sta diventando un fenomeno sempre più forte. La domanda sul perché si scappa da Haiti trova risposta non solo nelle scene appena descritte. Uno sguardo generale sulla storia politica, economica e sociale del Paese offre spiegazioni più complete.
Haiti è il più povero Stato dei Caraibi, afflitto da un’insicurezza alimentare tra le maggiori al mondo. Circa il 60% della popolazione vive in povertà e 4,4 milioni di haitiani, quasi la metà della di tutti gli abitanti, hanno sofferto la fame, per mancanza del cibo minimo per la sussistenza, tra marzo e giugno 2021.
Lo sviluppo economico e sociale continua a essere ostacolato da instabilità politica, violenza diffusa, problemi di governance e fragilità. Con un prodotto interno lordo (PIL) pro capite di 1.149,50 dollari e un indice di sviluppo umano che classifica il Paese al 170° posto su 189 nel 2020, Haiti rimane la nazione con maggiore povertà dell’America Latina.
Circa due terzi dei poveri vivono in zone rurali. Il divario di benessere tra le aree urbane e di campagna è in gran parte dovuto alle condizioni avverse per lo sviluppo dell’agricoltura. Il terremoto dell’agosto scorso ha distrutto mercati, strade, impianti di stoccaggio e lavorazione, caseifici e sistemi di irrigazione. La tempesta tropicale Grace, arrivata subito dopo l’evento sismico, ha causato ulteriori danni.
Circa il 60% degli haitiani delle zone rurali fa affidamento sull’agricoltura per il proprio sostentamento. Per le famiglie con meno risorse, la produzione di cibo nel proprio terreno o cortile è fondamentale. Dopo i disastri naturali, molti hanno perso tutto, non hanno più animali domestici, attrezzi, strutture, semi, terre per le colture di stagione e per l’allevamento.
Haiti risulta anche tra i Paesi più diseguali della regione caraibica. Il coefficiente di Gini (che misura la disuguaglianza da 0 a 1) era 0,61 nel 2012, con il 20% più ricco della popolazione che detiene più del 64% del reddito totale del Paese, rispetto a meno del 2% detenuto dal 20% più povero (secondo stime della Banca Mondiale).
Non solo, la mortalità infantile e materna rimane a livelli elevati e la copertura delle misure di prevenzione (tra cui la vaccinazione e l’integrazione di vitamina A) è scarsa o assente, soprattutto per le famiglie più povere. Secondo l’Indice del Capitale Umano, un bambino nato oggi ad Haiti crescerà fino a raggiungere solo il 45% di produttività rispetto a quanto potrebbe essere se avesse goduto di un’istruzione e di una salute complete.
Secondo i dati di Human Rights Watch del 2020, oltre un terzo della popolazione non ha accesso all’acqua pulita e due terzi ha un servizio sanitario limitato o assente, lasciando Haiti vulnerabile a una recrudescenza del colera, e ora al Covid-19. In più, poco meno della metà degli haitiani di età pari o superiore a 15 anni è analfabeta. La qualità dell’istruzione è generalmente bassa e l’85% delle scuole sono private, con tasse spesso troppo alte per le famiglie a basso reddito.
Negli ultimi anni, la situazione generale, sia economica che politica e di stabilità sociale, è rapidamente peggiorata. Disastri naturali, malattie, instabilità politica, cattiva gestione degli aiuti umanitari, corruzione politica hanno messo a dura prova il sistema Paese – estremamente debole – dal 2010 in poi.
Situata su una linea di faglia geologica in una regione soggetta a forti tempeste, Haiti ha subito più disastri naturali della maggior parte delle nazioni caraibiche. La diffusa deforestazione ha inoltre reso il Paese soggetto a inondazioni e frane, che si verificano a una velocità doppia rispetto, per esempio, alla Repubblica Dominicana. Inoltre, una serie di fattori amplificano l’impatto dei violenti fenomeni naturali, tra cui la mancanza di pianificazione urbana, infrastrutture e alloggi scadenti, densità abitativa costiera e una diffusa dipendenza dall’agricoltura di sussistenza.
Il violento terremoto vicino alla capitale del 2010 uccise 220.000 haitiani e ne lasciò altri 1,5 milioni sfollati. Con 8 miliardi di dollari, i costi di ricostruzione di base hanno superato il PIL annuale del Paese. Tra il 2015 e il 2017, la siccità ha portato a perdite di raccolto del 70% e nel 2016 l’uragano Matthew ha decimato le abitazioni, il bestiame e le infrastrutture.
Haiti è stata poi colpita da due disastri consecutivi nell’agosto 2021, quando un terremoto di magnitudo 7,2 ha scosso la penisola meridionale, distruggendo il 30% delle case, uccidendo oltre 2.000 persone e sfollandone altre decine di migliaia. Giorni dopo, la tempesta tropicale Grace ha esacerbato la distruzione, con inondazioni improvvise e frane.
Il piccolo Stato ha anche affrontato un’epidemia di colera che sarebbe stata introdotta dalle forze di pace delle Nazioni Unite nel 2010, che ha contagiato più di 820.000 abitanti facendo almeno 10.000 vittime nel corso di un decennio. Il Paese ha visto crescere la violenza di bande e gang di criminali nelle città, con rapimenti e guerre per il territorio sempre più diffuse.
A questa instabilità, si è aggiunta la pandemia di Covid-19 che ha avuto effetti devastanti, spingendo i prezzi del cibo più in alto e mettendo i prodotti di base fuori dalla portata di molti. Secondo uno studio del World Food Programme del 2020, un pasto costa a una persona che lavora ad Haiti il 35% del suo reddito.
La carenza di carburante è un altro dei grandi problemi di Haiti, non solo per la violenza delle bande criminali prima raccontata. Il grave disagio dell’energia carente ha radici più lontane, legate al crollo di Petrocaribe, un programma attraverso il quale il Venezuela ha fornito alla nazione caraibica petrolio sovvenzionato come parte di uno sforzo per rafforzare l’influenza diplomatica di Caracas nei Caraibi. L’aggravarsi della crisi economica e il calo della produzione di petrolio venezuelano hanno messo fine all’accordo nel 2018, costringendo Haiti a cercare petrolio a prezzi più elevati sul mercato aperto.
Ciò ha drammaticamente peggiorato i problemi di bilancio. Costretto a chiedere assistenza finanziaria al Fondo Monetario Internazionale nel 2018, il Governo haitiano ha accettato di attuare le riforme dell’FMI che includevano la fine dei sussidi energetici e l’aumento dei prezzi del carburante del 50%. Così, nel 2019, sono scoppiate violente proteste. Tuttavia, l’endemica debolezza politica haitiana ha reso assai difficile trovare una risposta per migliorare la situazione della popolazione.
Un altro dei fattori che più ha lacerato la nazione è la profonda instabilità governativa, culminata nell’assassinio del presidente Moïse il 7 luglio 2021. Un evento che svela la corruzione, l’inconsistenza e il generale fallimento dello stato di diritto ad Haiti, che trova radici lontane. Come spiegano gli antropologi Toni Cela e Louis Herns Marcelin:
Per comprendere e affrontare le attuali tendenze migratorie di Haiti… bisogna tener conto dell’influenza… corrosiva della politica estera statunitense nei confronti del Paese per decenni, compreso il sostegno degli Stati Uniti alla sua oligarchia e ai suoi uomini politici corrotti. E si deve anche comprendere l’impatto inefficace e debilitante di un sistema di aiuti umanitari che non è responsabile nei confronti del Governo haitiano (né del suo popolo) e che aggira la società civile locale, trasformando il Paese in una repubblica di ONG.
A questo si aggiunge l’eredità coloniale lasciata dalla Francia. I francesi riconobbero l’indipendenza di Haiti nel 1825, ma in cambio chiesero una pesante indennità di 100 milioni di franchi, circa 21 miliardi di dollari (USD). Gli haitiani hanno impiegato più di un secolo per ripagare questa somma, utilizzando circa l’80% delle entrate per soddisfare tale compensazione. E togliendo, così, risorse preziose per creare istituzioni, infrastrutture, servizi efficienti.
Tutti i fattori sommati insieme hanno contributo a costruire una nazione che a volte viene considerata senza futuro o, comunque, con un orizzonte davvero buio. Per questo motivo, da Haiti si scappa.