1 Maggio 2024

Frontiere USA, quella trappola mortale per migliaia di migranti

Si sono abbattute sulla Casa Bianca con la potenza di un tornado, le immagini che negli scorsi giorni hanno dato volti e voci al dramma umanitario che ormai da mesi va in scena sulla frontiera tra Messico e Stati Uniti.

A placare la tempesta di polemiche che piovono bipartisan sulla politica migratoria dell’amministrazione Biden, non bastano imbarazzate dichiarazioni di sconcerto, e annunci di indagini per l’accertamento delle responsabilità. Né tantomeno la riuscita dell’operazione di sgombero ed espulsione di massa tra le più rapide e imponenti che gli States abbiano concluso negli ultimi decenni (a detta dei media americani).

I migranti impegnati nella traversata del Rio Grande con l’acqua alle ginocchia, i figli sulle spalle, e le scatole di cartone tra le braccia. Gli agenti cowboy di confine schierati a cavallo lungo la sponda texana del fiume, pronti ad “accoglierli” fruste alla mano.

Sono ritratti capaci di marchiare la coscienza civile dell’intera comunità internazionale. Sarebbe stato sufficiente molto meno a rovinare la fotografia del Paese dei diritti umani e delle libertà ritrovate dopo l’epoca Trump.

Agenti di frontiera a cavallo usano corde simili a fruste contro i migranti per impedirne l’ingresso in territorio americano [screenshot dal video pubblicato da Al Jazeera, disponibile qui]
Washington incassa il colpo, e tenta di ricucire quella che, benché ci si affanni a negarlo, è la prima grande crisi politica sul fronte interno della nuova stagione a guida democratica.

La prima voce a sollevarsi in tal senso è quella della vice presidente Kamala Harris, che raccomanda un’inchiesta chiedendo conto al Dipartimento per la sicurezza interna: “Quello che ho visto era orribile. [..] Gli esseri umani non dovrebbero mai essere trattati in quel modo. Sono profondamente turbata”.

A farle eco, il capo di Stato in carica, che in conferenza stampa promette conseguenze sugli agenti coinvolti e, dicendosi pronto ad assumersi le responsabilità per quanto di “scandaloso” accaduto, tiene a sottolineare che “È pericoloso. È sbagliato. Manda il messaggio sbagliato in tutto il mondo e in casa. Semplicemente, non è quello che siamo”.

Era appena lo scorso febbraio quando il Democratico firmava l’ordine per la nascita di una task force per il ricongiungimento dei bambini migranti alle loro famiglie a voler cancellare quella etichettata come una “vergogna morale e nazionale”. Sospendeva la costruzione del muro di Trump. E presentava la riforma completa delle politiche migratoriedannose e controproducenti della precedente amministrazione, sostanzialmente su tutta la linea”.

Oggi, sul Leader che si è fatto strada verso lo Studio Ovale sulle proclamate intenzioni di segnare un cambio di rotta radicale nel senso dell’umanità e del rispetto dei diritti umani, pesa anche la faccenda dello sgombero dei richiedenti asilo haitiani rimasti accampati per giorni, in uno stato di detenzione di fatto, sotto al ponte di frontiera che collega la città messicana di Ciudad Acuna al sud del Texas.

Già le deplorevoli condizioni di sopravvivenza nel campo improvvisato sotto alle campate del Rio Grande Bridge, dove si era fermata la marcia di oltre una decina di migliaia di latini decisi a bussare alle porte dell’altra America, avevano attirato critiche sull’operato del governo Biden in fatto di immigrazione. Troppo in linea con le politiche di Trump, per i progressisti. Fuori fuoco e incapace di mantenere il controllo dei confini, per l’ala conservatrice del Congresso.

A far saltare il banco, però, la soluzione allo stallo. Che è passata per quello che la Border Patrol ha chiamato “processo sicuro, umano, e ordinato”. Di espulsioni sommarie, e di negazione di fatto del diritto umano di chiedere asilo.

È partito lo scorso 19 settembre il primo dei voli che hanno riportato ad Haiti, nel mezzo di una crisi politica e sociale senza precedenti, migliaia dei fuggiti dall’insicurezza e dal conflitto armato che dall’assassinio del presidente Jovenel Moise sta dilaniando il Paese più povero delle Americhe.

Il venerdì successivo, meno di una settimana dopo, l’accampamento è vuoto. È il segretario americano per la Sicurezza interna Alejandro Mayorkas a fornire i dettagli dell’operazione. Ottomila degli haitiani che si erano affollati nell’ansa di quel fiume che è già cimitero per molti, sarebbero “volontariamente” rientrati in Messico. Cinquemila sarebbero stati rilasciati negli Stati Uniti con un avviso di comparizione agli uffici per l’immigrazione in attesa di una decisione sulla loro espulsione.

Per gli altri, lo dicevamo, il viaggio verso la bandiera a stelle e strisce si è concluso al punto di partenza. Ad Haiti. Per Filippo Grandi, Alto commissario UNHCR, il fatto “potrebbe costituire respingimento”.

A bollare il caso come “decisione disumana e controproducente” anche l’Inviato speciale ad Haiti Daniel Foote che, parlando di “un Paese in cui i funzionari americani sono confinati in compound sicuri a causa del pericolo posto nella vita quotidiana da gang armate” mentre alla Casa Bianca si decide per il rimpatrio dei richiedenti asilo, sceglie di lasciare sul tavolo del segretario di Stato Antony Blinken una lettera di dimissioni non poco ingombrante.

Approfittando del basso livello delle acque in questa stagione, centinaia dei migranti attraversano a piedi il Rio Grande per tentare di raggiungere il Texas [screenshot dal video pubblicato il 20 settembre 2021 da Al Jazeera, disponibile qui]
Washington, dal canto suo, fornisce copertura legale al piano di deportazione di massa invocando quel Titolo 42 che è lascito del securitarismo repubblicano, e che aveva già acceso le preoccupazioni delle organizzazioni umanitarie e persino delle Nazioni Unite per l’aver utilizzato la pandemia da Covid-19 a pretesto per stabilire un generale divieto di ingresso ai migranti sul suolo americano e per giustificare espulsioni fuori dalle procedure di vaglio delle esigenze di protezione richieste dalle norme internazionali.

La politica in questione, che si traduce in concreto nel sigillo dei valichi di confine, ha già colpito più di un milione di richiedenti asilo negli USA tra il marzo 2020 e l’agosto 2021. Se non con riguardo all’esenzione concessa ai minori soli, la nuova amministrazione continua ad utilizzarla nel contesto della c.d. “strategia della prevenzione attraverso la deterrenza” che i fatti provano essere fallimentare.

Abbiamo più volte ribadito che i nostri confini non sono aperti e che le persone non dovrebbero intraprendere questo viaggio pericoloso. Le persone e le famiglie sono soggette a restrizioni ai confini, inclusa l’ espulsione. [..] Se vieni negli Stati Uniti illegalmente, verrai rimandato indietro. Il tuo viaggio non avrà successo e metterai in pericolo la tua vita e quella della tua famiglia”, ha dichiarato Mayorkas proprio in occasione dell’emergenza che ha interessato l’area della città di Rio Grande, dove sarebbero stati intercettati oltre 30 mila migranti solo nelle ultime due settimane.

Eppure, in quanto a crescita dei flussi migratori, è un’annata senza precedenti per gli Stati Uniti. Stando ai dati rilasciati dalla U.S. Customs and Border Protection, solo nel mese di luglio sono stati oltre 211 mila i fermati nel tentativo di varcare il passo dal Messico, numeri quasi replicati ad agosto. Poco meno della metà erano minori non accompagnati e famiglie. Mai così tanti da 21 anni.

E il sistema di accoglienza della Presidenza che all’inizio fu per lo stop al trumpiano modello del “Remain in Mexico” (in via di ripristino a seguito della sentenza della Corte Suprema sul tema), non regge. Il sovraffollamento dei centri di detenzione e il sovraccarico dei tribunali che non riescono ad evadere l’esame dei singoli casi con la rapidità dovuta, sono causa di una catastrofe umanitaria oltre le linee di confine.

Perché la scelta che rimane a chi non riesce ad accedere al sistema per richiedere protezione e non può nemmeno tornare indietro, è quella di accamparsi su quei confini, in attesa di una nuova politica, una nuova decisione o un nuovo tentativo d’ingresso su percorsi non regolamentati e più pericolosi. I resti di 127 persone sono stati ritrovati sugli attraversamenti di frontiera solo nella prima metà del 2021. Giusto per dare l’idea delle proporzioni di un disastro che forse troppo a lungo è rimasto sotto silenzio.

Clara Geraci

Siciliana, classe 1993. Laureata in Giurisprudenza, ha recentemente conseguito il Diploma LL.M. in Transnational Crime and Justice all’Istituto di Ricerca delle Nazioni Unite. Si occupa di diritto internazionale, diritti umani, e migrazioni. Riassume le ragioni del suo impegno richiamando Angela Davis: “Devi comportarti come se fosse possibile cambiare radicalmente il mondo, e devi farlo costantemente”.

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