1 Maggio 2024

Africa, quando l’arte esprime disagio, denuncia e impegno sociale

La pandemia ha sconvolto le vite di milioni di persone in tutto il pianeta cambiando radicalmente i ritmi e gli stili di vita di molti di noi. Nonostante ciò, il 2020 è stato un anno particolarmente importante per le battaglie a favore dei diritti civili e della giustizia sociale. Questi ultimi mesi hanno visto intensificarsi proteste e ribellioni su scala globale.

L’Africa non ha fatto eccezione e recentemente gran parte del Continente è stato investito da un’ondata di rivolte popolari. Dalla Nigeria allo Zimbabwe, passando per il Senegal e la Repubblica Democratica del Congo, migliaia di cittadini si sono uniti far sentire la loro voce. I medium attraverso i quali si è diffuso questo messaggio di dissenso sono stati molti e diverse forme artistiche sono state impiegate per promuovere il cambiamento verso società più giuste.

L’arte è intrinsecamente sociale e spesso nasce proprio in risposta a situazioni politiche, storiche ed economiche complesse in quanto è in grado di produrre un’interpretazione critica di queste dimensioni. L’aspetto sovversivo dell’arte africana moderna e contemporanea è intrinseco alla sua stessa natura ma sta cominciando ad emergere con forza sempre più potente unendo il passato all’attualità e contribuendo al dibattito globale su temi più disparati.

Questo articolo individua tre delle battaglie sociali che hanno segnato quest’ultimo anno presentando l’interpretazione e le sfumature che di queste hanno fornito alcuni degli artisti di origine africana più di rilievo nella scena artistica attuale.

Homnem Novo“, installazione di Kiluanji Kia Henda. Foto dell’utente Flickr Michael Dr Gumtau .Licenza CC con attribuzione.

Razzismo e discriminazione

Quando le proteste portate avanti dal movimento Black Lives Matter hanno cominciato a intensificarsi dopo l’assassinio di George Floyd nell’aprile del 2020, il demone del razzismo istituzionalizzato negli Stati Uniti è riemerso dall’ombra sconvolgendo la comunità internazionale. Ci volevano proteste in strada, scontri armati con la polizia e almeno venticinque morti per ricordare al mondo quanto poco le vite dei neri contino in America. Questi avvenimenti hanno avuto un forte risonanza anche all’estero e migliaia di persone in tutto il pianeta si sono radunate per supportare e richiamare l’attenzione sulla questione della discriminazione razziale.

Se si guarda alle produzioni artistiche contemporanee è facile notare come questa tematica sia da lungo tempo oggetto di indagine da parte di molti artisti africani che utilizzano la loro arte come tramite per riposizionarsi all’interno di una società che li relega ai margini. La riconsiderazione del ruolo avuto dalle “persone di colore” nella Storia moderna e l’analisi del concetto stesso di “identità nera” sembrano essere particolarmente ricorrenti. Una delle immagini più evocative delle proteste antirazziste di questi mesi sono sicuramente quelle di manifestanti radunati per abbattere statue e monumenti storici associati all’oppressione, alla schiavitù e al colonialismo.

Kiluanji Kia Henda, artista angolano classe 1979, è famoso per il suo intenso lavoro di riflessione sul rapporto fra spazio urbano e memoria collettiva. Il suo progetto “Homnem Novo”, iniziato nel 2010 e ancora in corso, mira a donare agli angolani nuovi idoli.

Questa serie si compone di svariate fotografie scattate nelle piazze di Luanda usando come soggetti persone reali, molti dei quali creativi locali, invitate da Henda a posare sopra i pilastri ormai vuoti di vecchie statue di militari e governatori portoghesi. L’artista punta a celebrare la nuova generazione angolana fiorita dopo la guerra civile, terminata ufficialmente il 4 aprile 2002, sostituendo le figure coloniali con quelli che lui chiama “eroi culturali”.

Opera dell’artista Yinka Shonibare. Foto dell’utente Flickr libby rosof. Licenza CC con attribuzione.

Yinka Shonibare, ad oggi forse l’artista africano più famoso al mondo, ha fatto della critica alla discriminazione e alla subordinazione dei neri il suo marchio di fabbrica. Di origine nigeriana, ma nato e cresciuto a Londra, ha concentrato la sua ricerca artistica sugli stereotipi e le idee preconcette perpetuate dall’Europa nei confronti dell’Africa e degli africani. Una delle creazioni più note di Shonibare, che ama anche firmarsi “CBE (Commander of the Order of the British Empire)”, è senza dubbio Diary of a Victorian Dandy.

La produzione è una commistione di performance e fotografia messa in scena in costumi storici nell’ambiente opulento e sontuoso di una casa signorile nell’Hertfordshire. L’opera è da un lato una parodia della vita dell’artista stesso in quanto creativo nero affetto da una grave disabilità costretto a dover affrontare e smantellare ogni giorno i limiti a lui imposti dalla Gran Bretagna contemporanea. Da un altro lato è invece il tentativo di reintrodurre e normalizzare la presenza di persone nere nella Storia inglese: il periodo vittoriano è particolarmente evocativo essendo questa l’epoca delle grandi esplorazioni coloniali. Egli si identifica e autoritrae come figura del dandy, dell’”outcaster”, che tenta di integrarsi in una società che in fondo non lo accetta e lo percepisce come un individuo estraneo alla norma.

“Sophie”, Opera dell’artista Mary Sibande dalla serie Long Live the Dead Queen. Foto dell’utente Flickr elierrevillard. Licenza CC con attribuzione.

Il rapporto con le narrative denigratorie protrattesi durante la Storia e i limitanti archetipi ormai calcificati nella cultura di massa sulle persone nere sono particolarmente importanti anche per l’artista sudafricana Mary Sibande. Sibande, nata a Barberton in Sudafrica nel 1982, ha esposto le sue opere in tutto il mondo inclusa la Biennale di Venezia nel 2011 con il progetto Long Live the Dead Queen. Il suo lavoro esplora la connessione fra etnia, sesso e status socioeconomico nel suo Paese.

In particolare, essa si scaglia contro quella che lei ritiene essere stata per secoli l’unica rappresentazione delle donne nere, ovvero quella delle “mammy”: serve nelle case di ricche famiglie bianche che si occupavano dei bambini. L’artista vuole rievocare con le sue opere l’eredità della sua famiglia e del lavoro domestico forzato imposto ai suoi antenati durante l’apartheid. Sibande, impersonando l’alter ego di “Sophie”, si autoritrae nelle stesse vesti di domestica, impiegando la forma umana come veicolo attraverso cui la fotografia e la scultura si fondono per smascherare le idee preconcette di genere e razza.

Al personaggio di “Sophie” vengono così donate delle alternative alla sua condizione di serva. Diviene soldato, papessa, aristocratica, o supereroe a seconda degli oggetti e gli accessori con cui è adorna. Essa ripercorre il passato creando così una contro-realtà e riappropriandosi del diritto di scegliere lei stessa chi vuole essere.

Ambiente e crisi climatica

I lunghi lockdown messi in atto per limitare la diffusione del virus hanno riacceso l’attenzione sulla questione ambientale e sulla necessità di agire tempestivamente per riparare ai danni fatti al nostro ecosistema. Mente passavamo lunghe giornate in casa la natura ricominciava lentamente a riappropriandosi di tutti quegli spazi precedentemente occupati dall’uomo. Alcuni degli effetti benefici indirettamente associati alle misure di contenimento e al blocco dei trasporti è stata la riduzione di emissione di anidride carbonica e biossido di azoto, due dei principali inquinanti atmosferici. Immagini e video di animali che esploravano nuovi habitat e aumentavano la loro attività diurna sono diventati virali.

Il distanziamento sociale e altre misure di controllo del Covid-19 hanno reso le manifestazioni a favore della salvaguardia dell’ambiente difficili, ma questo non ha fermato migliaia di attivisti che tramite social media, eventi online e sit-in hanno espresso il loro dissenso contro la mancanza di azione concrete da parte dei leader mondiali. Il 25 settembre 2020 almeno 3500 scioperi e proteste si sono tenute simultaneamente in molti Paesi del mondo.

Acid Rain” installazione di Bright Ugochukwu Eke. Foto dell’utente Flickr fuoriscala. Licenza CC con attribuzione.

La questione ambientale non è una tematica sconosciuta agli artisti provenienti dall’Africa, tutt’altro. Il Continente è una delle regioni più affette dal cambiamento climatico. La desertificazione e l’accesso sempre più limitato alle risorse idriche producono migliaia di rifugiati ambientali ogni anno. Inoltre, il disboscamento per lasciare spazio a monocolture intensive, gli alti livelli di inquinamento e assenza di un sistema efficace di smaltimento dei rifuti sono, fra gli altri, fonte di grande preoccupazione.

Gli artisti nigeriani sembrano essere particolarmente impegnati nella sensibiliazazione riguardo questi temi. Il Paese riscontra una considerevole mancanza di politiche verdi e interventi di conservazione per salvaguardare la biodiversità e promuovere la sostenibilità. La regione del Delta del Niger, dove lo sfruttamento incontrollato delle risorse petrolifere ha causato una vera e propria catastrofe ambientale e umanitaria, è tristemente nota per essere una dei fallimenti ecologici del secolo.

Il fotografo George Osodi, originario proprio di quelle aree, è riuscito a cogliere nei suoi scatti la devastazione della sua terra e la lotta quotidiana per la sopravvivenza dei suoi abitanti. Nella sua serie più celebre Oil Rich Niger Delta, lavoro sviluppatosi fra il 2003 ed il 2007, intraprende un viaggio nello Stato del Delta per immortalare nella sua crudezza questa tragedia.

Il lavoro di Osodi porta avanti la causa dell’autore, attivista e membro del popolo Ogoni, Ken Saro-Wiwa, che a lungo ha combattuto contro i giganti del petrolio. In molti degli scatti del fotografo, anche in quelli piu recenti come Lake Rose, Waterfront e De Money Ghana Gold, si ritrova questa volontà di denunciare attraverso immagini esplicite e senza filto l’impatto che le scarse politiche del Governo nigeriano stanno avendo sull’ambiente e sulla popolazione più disagiata.

Della stessa regione è un altro noto artista, Bright Ugochukwu Eke, il quale si occupa di un fenomeno assai peculiare – quello delle frequenti piogge acide che investono la zona rendono la vita e l’ambiente ancora piu ostile. La sua serie di installazioni create con materiali di scarto e intitolate Acid Rains, riproducono in maniera astratta ed esteticamente stimolante questo fenomento, facendolo conoscere al mondo. Eke fa leva su un macabro aspetto di queste precipitazioni: le piogge, che dovrebbero essere fonte di sollievo per la terra e favorire il raccolto, diventano un killer silenzioso e inarrestabile a causa della noncuranza degli uomini.

Pillar and Shroud, installazione di Nnenna Okore in collaborazione con il pittore Tim Lowly. Foto dell’utente Fliker tim lowly. Licenza CC con attribuzione.

Di origine nigeriana è anche Nnenna Okore, professore di Arte alla North Park University di Chicago. Il suo lavoro si trova oggi in molte gallerie, fiere e collezioni internazionali, tra cui la World Bank di Washington DC, la Fondazione Blachere in Francia e la 1:54 di Londra. Nel 2018, la sua grande installazione Sheer Audacity è stata esposta al Memphis Brooks Museum of Art negli Stati Uniti.

Le intricate opere di Okore – ottenute tramite l’intreccio, l’annodamento e l’assemblamento di diversi materiali come garze, carta riciclata e tessuti naturali – formano trame complesse e straordinarie combinazioni di colore che rimandano a elementi organici come radici, fiori e piante morenti.

L’artista punta a sottolineare la fragilità e la vulnerabilità della Terra. Le sue sculture emergono come fragili anemoni dai muri bianchi delle gallerie. Esse ci rammentano lo scorrere del tempo e il rapporto simbiotico che l’uomo ha con la natura in quanto dipendenti da essa per il nostro sostentamento e sopravvivenza. L’artista vuole richiamare l’attenzione su un processo, quello del degrado ambientale, che è già entrato nella sua fase più critica invitando ad agire prima che sia troppo tardi.

The Wishing Well” di Dr. Serge Attukwei Clottey. Foto dell’utente Flickr Hailey Annette Clark. Licenza CC con attribuzione.

La volontà di agire in maniera concreta servendosi dell’arte come un’opportunità per sensibilizzare le comunità è ciò a cui si dedica il ghanese Dr. Serge Attukwei Clottey. Inventore dell’”Afrogallonism”, ha fatto delle taniche gialle – utilizzate per trasportare prima olio alimentare, poi acqua o benzina e infine generalmente abbandonate ai lati delle strade del Continente – il suo contrassegno.

Clottey riutilizza e riassembla questi oggetti in installazioni e maschere per sottolineare le preoccupazioni ambientali della Nazione, discutendo gli effetti ambientali del commercio globale e del consumo di massa. Le sue frequenti performance denominate Go Lokal hanno lo scopo di provare a ridurre il problema raccogliendo i galloni e invitando le persone a depositarli nel suo atelier in modo che possano essere “smaltiti” trasformandosi in opera d’arte. Durante questi eventi Clottey invita i partecipanti a esprimersi apertamente su questioni riguardanti i problemi del Paese, innescando la conversazione e consentendo alla gente comune di scambiare opinioni senza timore.

Performance di Dr. Serge Attukwei Clottey. Foto dell’utente Flickr Regula Tschumi. Licenza CC con attribuzione.

Parità di genere e violenza sulle donne

In molti dei ritratti dell’artista tanzaniana Sungi Mlengeya sono rappresentate donne dalla carnagione scura in abiti bianchi in modo da esaltare ulteriormente il tono della pelle. Lo sfondo vuoto che vediamo in tutte le sue opere simboleggia il desiderio di libertà dei soggetti che dipinge e la loro volontà di esprimere appieno il loro potenziale senza le limitazioni imposte da tossiche norme culturali e sociali.

I dati dimostrano come, dall’inizio dell’epidemia i casi di abusi contro donne e ragazze si sono intensificati. A causa del confinamento e dei lockdown gli episodi di violenza domestica sono cresciuti in maniera esponenziale. Dall’altro lato il 2020 ha visto il diffondersi di scioperi e ribellioni a favore della parità di genere. In Sudafrica, Namibia, Malawi, Nigeria, Kenya e molte altre Nazioni le donne hanno protestato contro femminicidi e stupri scegliendo di dire basta.

Billie Zangewa ha dichiaro a Studio International che, nella sua arte, ha deliberatamente deciso di incarnare la forma umana più vulnerabile che esista: la donna nera. Zanegwa originaria del Botswana, ritrae immagini di vita domestica – create attraverso un patchwork di tessuti di diverso colore e texture – attraverso le quali punta a demistificare l’immagine della donna nella società.

L’appartenenza al sesso femminile porta spesso con sé una serie di aspettative implicite, come l’essere amorevoli, dolci, gentili, servizievoli e capaci di prendersi cura del prossimo prima che di sé stesse. Nei suoi quadri vediamo giovani intente a compiere azioni quotidiane per la cura di loro stesse e del loro corpo come lavarsi, pettinarsi, riposare o truccarsi.

L’ambiente domestico in cui esistono i personaggi dei suoi quadri riflette il peso della gestione della casa che spesso grava sulle donne e lo stereotipo ancora molto diffuso che il lavoro domestico vada di pari passo con la femminilità. Le opere A Fresh Start, Self-Care Sunday e An Angel at My Bedside parti della serie Wings of Change alludono proprio all’esaurimento emotivo e fisico causato dalla domesticità e dagli obblighi familiari.

Opera dell’artista Billie Zangewa. Foto dell’utente Flickr Maaike Lauwaert. Licenza CC con attribuzione.

L’esplorazione dei ruoli di genere e di come questi si intrecciano con l’identità, la mitologia e la cultura popolare nigeriana è centrale nel lavoro di Ayobola Kekere-Ekun. La tecnica da lei utilizzata, nota come “quilling“, comprende il formare immagini in rilievo con l’utilizzo di striscioline di carta. La serie The Real Housewives of Old Ọ̀yọ́ è un commentario che riflette sulla scarsità di attenzione e sulla disinformazione riguardo le figure femminili nel pantheon spirituale Yorùbá.

L’artista ritiene che nell’identificare e presentare le divinità maschili attraverso i loro poteri e abilità, mentre le divinità femminili sono spesso ridotte a manifestazioni di meschinità e litigi domestici, la religiosità locale abbia contribuito a limitare l’agency sociale della donna. Kekere-Ekun nelle sue opere unisce la cosmogonia nigeriana alle storie dei supereroi dei fumetti per ritrarre dee immaginarie incredibilmente potenti e protestare contro le narrative che descrivono il sesso femminile come passsivo e frivolo.

Opera dell’artista Aïda Muluneh. Foto dell’utente Flickr Gianna Giacometti. Licenza CC con attribuzione.

Il lavoro di Aida Muluneh si concentra invece su un aspetto molto particolare, ossia quanto la mancanza all’accesso all’acqua pulita influisca sul benessere fisico e mentale delle donne in molte parti del mondo. La serie Water Life tratta proprio di questo. A livello globale, una persona su dieci non ha acqua pulita vicino a casa.

In Etiopia, le cifre sono ancora piu preoccupanti e a quasi quattro persone su dieci è negato l’accesso all’acqua potabile, nonostante i significativi progressi che il Paese ha compiuto negli ultimi 20 anni. Aida ricorda come, mentre viveva in Etiopia, osservava tutti i giorni file di donne che viaggiavano per ore a piedi trasportando pesanti carichi d’acqua.

Muluneh sottolinea come questo compito gravi principalmente sulle giovani ragazze legandole così ai lavori quotidiani per la gestione della casa e influendo sulla loro possibilità di studiare e progredire a livello personale. Attraverso immagini surrealiste dall’aspetto onirico, spesso ispirate agli ornamenti tradizionali e alle pitture corporee, l’artista ha provato il ruolo vitale dell’arte nella sensibilizazione e nella difesa per i diritti civili e umani portando l’attenzione su delle dinamiche e delle realtà così lontane da venire troppo spesso dimenticate.

A come arte e attivismo

L’anno appena trascorso è stato caratterizzato da un’alta dose di precarietà e insicurezza, elementi che risultano spesso complessi da esprimere in senso verbale, e le forme artistiche rappresentano una valida alternativa di comunicazione. Allo stesso tempo ha confermato quanto sia centrale continuare a combattere e richiamare l’attenzione su ingiustizie e disuguaglianze.

L’impegno sociale dimostrato da molti artisti contemporanei africani e la volontà di trattare attraverso casi specifici le grandi tematiche globali si inserisce in quella corrente che vuole riportare l’arte al suo aspetto più pratico. L’analisi sociale e politica delle produzioni artistiche recenti aiutano a confrontarci in maniera intima e profonda provocando un cambiamento concreto dei modi di pensare e di agire nei riguardi delle sfide contemporanee che interessano la nostra società.

Unendo esplorazione creativa e attivismo le opere qui esposte stimolano il dialogo attraverso le immagini e la diffusione di informazioni riguardanti cause spesso ignorate perchè percepite come distanti dalla nostra realtà quotidiana. Forse il modo migliore per riflettere su uno degli anni piu incerti della storia moderna è proprio guardarlo attraverso il filtro emotivo dell’arte e il suo immenso potere di spingerci fuori dalla nostra zona di comfort per cambiare le nostre prospettive.

Vittoria Paolino

Antropologa e analista con una specializzazione nella regione dell'Africa Sub-Sahariana ha lavorato con diverse organizzazioni internazionali e locali in progetti di sviluppo in Sudafrica, Kenya e Camerun. Appassionata di arte e cultura contemporanea le piace esplorare come questi elementi contribuiscano a favorire il cambiamento sociale e la resistenza politica.

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