25 Aprile 2024

Cina, la pesca illegale minaccia la biodiversità delle Galapagos

[Traduzione a cura di Gaia Resta dall’articolo originale di Alessandro Ford pubblicato su Open Democracy]

Secondo quanto riportato da un recente report, la flotta di pescherecci cinesi che ha pescato con la sciabica al largo dell’arcipelago ecuadoregno delle Galapagos nei mesi scorsi, stava pescando illegalmente nelle acque territoriali dell’Ecuador. L’accaduto ha imposto la ricerca di soluzioni regionali per scoraggiare l’impiego di tale pratiche illegali.

In quest’articolo, InSight Crime analizza gli elementi chiave di questa complessa vicenda.

Cosa ha fatto la flotta?

Il 16 luglio la Marina ecuadoregna ha emesso un avviso circa una flotta composta da circa 260 imbarcazioni da pesca che stazionavano appena fuori dalla Zona Economica Esclusiva dell’Ecuador (EEZ) intorno alle Isole Galapagos, specificando che il personale a bordo era pronto a intercettare qualsiasi natante fosse entrato illegalmente.

Alla fine di luglio la flotta contava un totale di oltre 342 imbarcazioni, la maggior parte con bandiera cinese o di proprietà cinese. La flotta, composta soprattutto da pescherecci con reti a strascico, che sono banditi nelle acque cinesi, si è avvicinata al limite della EEZ impiegando fari e attrezzature meccanizzate per la tecnica nota come “jigging” per pescare legalmente grandi quantità di pesce. Questa battuta di pesca collettiva, che ha concentrato complessivamente 73.000 ore di attività in un solo mese, si è svolta vicino a una delle aree marine con maggior biodiversità del mondo.

Il 25 luglio il ministro degli Esteri ecuadoregno, su disposizione del Presidente Lenín Moreno, ha informato la Cina che avrebbe fatto valere i diritti marittimi nazionali. Ad agosto il ministro della Difesa Oswaldo Jarrín ha rivelato che circa la metà della flotta cinese aveva spento i sistemi di identificazione e tracciamento — una strategia nota come “going dark at sea” (navigazione al buio, NdT), spesso utilizzata nella pesca illegale.

Una nuova indagine condotta dall’azienda di analisi dati HawkEye 360 ha evidenziato due problemi fondamentali che riguardano la flotta.

Decine di navi cinesi, alcune con precedenti di pesca illegale, sono sparite dai radar fino a 17 giorni per volta, un’azione che è fuori legge se messa in atto deliberatamente.

Nello stesso periodo, alcune imbarcazioni non identificate e invisibili ai radar, tra cui alcune vicine alla flotta cinese, sono state avvistate nella EEZ ecuadoregna.

Un problema sempre più grave

La pesca illegale rappresenta la sesta attività economica e criminale più lucrativa del mondo, con ricavi stimati tra i 15 e i 36 miliardi di dollari, secondo un report del 2017 di Global Financial Integrity. La flotta da pesca cinese, di gran lunga la più grande del mondo con circa 17.000 imbarcazioni, contribuisce largamente all’entità di questo problema; in un report del 2019 di Global Initiative, la Cina si è distinta come la peggior nazione rispetto alla pesca illegale.

La flotta da pesca cinese ha rappresentato un problema a lungo, ma solo dopo il 2016 ha destato gravi preoccupazioni. Da allora ha provocato ogni anno degli allerta molto seri in Ecuador, Perù, Cile, e Argentina. Solo in Cile la pesca illegale costa ogni anno al Paese una cifra stimata intorno ai 300 milioni di dollari, come segnalato in un nuovo report di AthenaLab. Le preoccupazioni per l’ambiente incombono minacciose sull’Ecuador da quando nel 2017 la Fu Yuan Yu Leng 999 fu intercettata all’interno della riserva marina delle Galapagos, patrimonio dell’UNESCO, con a bordo 300 tonnellate di squali e pesci martello, quest’ultima una specie classificata a rischio.

Quest’anno secondo i report e la mappa resa pubblica da Global Fishing Watch, una parte della flotta cinese è rimasta a est delle Galapagos da gennaio ad aprile, mentre l’altra parte si è spostata verso le acque argentine. A maggio le due sezioni si sono riunite al largo del Perù meridionale prima di navigare tra l’EEZ delle Galapagos e dell’Ecuador continentale tra maggio e settembre, provocando le proteste internazionali. Da allora la flotta si è spostata verso sud e si trova attualmente in prossimità delle acque del Perù meridionale, dove le imbarcazioni tuttora pescano.

Se quanto accaduto negli anni precedenti può essere d’insegnamento, è probabile che la maggior parte delle navi si spostino verso l’Argentina nei prossimi mesi, prima di ripercorrere la stessa rotta a ritroso l’anno prossimo. La pratica dello “transshipping — trasferire carburante, provviste, equipaggio o pesce da una nave a un’altra – consente a un’imbarcazione di rimanere in mare per un periodo di tempo indefinito. E consente anche di facilitare il riciclaggio del pescato illegale.

Pesca eccessiva e specie a rischio

La Cina, con i suoi pescherecci che lavorano in tutto il mondo, è il maggior esportatore di pesce, ed è responsabile di circa il 15 percento del pescato mondiale del 2018 secondi i dati ufficiali (più del doppio delle nazioni al secondo e terzo posto). Tuttavia, nel Pacifico latinoamericano la flotta cinese pesca soprattutto calamari; sul totale di tutti calamari catturati nelle acque internazionali, i pescherecci cinesi ne pescano tra il 50 e il 70 percento.

Eppure, già soltanto il numero di imbarcazioni è motivo di preoccupazione, in quanto si teme che la flotta non solo stia pescando calamari in quantità eccessiva ma stia catturando inavvertitamente anche altre specie, tra cui alcune a rischio quali le razze e gli squali martello.

Data l’enorme quantità di pescato della flotta cinese, i pescatori locali sono stati obbligati a trovare nuove zone per pescare, aggravando sia lo sfruttamento eccessivo delle riserve ittiche sia la possibilità di catturare specie a rischio. In altri luoghi, come la riserva naturale colombiana di Isola Malpelo, la pesca illegale ha avuto un boom per via della crescente richiesta di pescato da parte della Cina, soprattutto di numerose specie a rischio.

La reazione a livello regionale

Data la natura intrinsecamente transnazionale della pesca, effettuata dalla flotta a ridosso dei confini marittimi di numerose nazioni, soltanto una reazione regionale coordinata potrebbe essere efficace.

Però, tale coordinazione è stata spesso latente. A luglio, con la firma della Costa Rica è salito a sei il numero dei Paesi latinoamericani che ha acconsentito a rendere pubblici i dati per il tracciamento delle loro imbarcazioni tramite Global Fishing Watch (GFW), una mossa tesa a ridurre la pesca illegale. L’Ecuador non è tra questi Paesi ed ha, invece, annunciato una collaborazione privata con Kleos Space, un provider di dati spaziali che amplierà le sue attività per monitorare in Ecuador casi sospetti di pesca illegale, non segnalata e non regolamentata (INN in italiano, NdT). Quest’azione potrebbe rientrare nella “strategia per la protezione” delle Isole Galapagos annunciata a luglio via Twitter dal Presidente ecuadoregno Lenín Moreno.

Per quanto riguarda il Perù e il Cile, entrambi i Paesi hanno reso pubblici e disponibili i loro dati tramite GFW e hanno messo in atto un monitoraggio via aerea e navale per seguire le mosse della flotta cinese. Il Perù sta perseguendo legalmente un capitano cinese per pesca illegale nella acque peruviane nel 2018; si tratta della prima azione penale contro un’imbarcazione straniera nella storia del Perù. Sebbene ciascuna azione costituisca un passo nella giusta direzione, nessuna di queste misure sembra poter realmente placare l’ondata della pesca illegale. In passato l’Ecuador ha perseguito legalmente capitani cinesi e ha monitorato navi cinesi anche quando erano soltanto sospettate di entrare nel EEZ.

Senz’altro più promettente è la dichiarazione congiunta pubblicata dal ministro cileno degli Esteri insieme ai suoi omologhi di Ecuador, Perù e Colombia a proposito della “grande flotta di navi battenti bandiera straniera” che hanno pescato al largo delle loro EEZ. La dichiarazione condanna la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN) e ribadisce l’impegno a collaborare per scambiare più efficacemente informazioni e per rinsaldare le organizzazioni regionali per la gestione della pesca (RFMO). Soprattutto, il testo mette in evidenza la decisione della Commissione Permanente del Sud Pacifico (CPPS), un ente governativo per il settore marittimo costituito da queste quattro nazioni, di condannare ogni azione assimilabile alle pesca INN, anche qualora accada in un’area adiacente alla EEZ di uno dei Paesi.

In altre parole, quando una flotta straniera peschi a strascico in maniera massiva nelle acque di uno di questi quattro Paesi, le nazioni in questione classificheranno congiuntamente l’azione di pesca come INN.  Infine, la dichiarazione è stata pubblicata il giorno successivo all’inizio della 61esima edizione di Unitas maneuvers, una serie di esercitazioni navali su base annua – e che per la prima volta in 11 anni si sono svolte in Ecuador. L’edizione di quest’anno ha visto coinvolti il Perù, il Cile e la Colombia, con la partecipazione degli Stati Uniti e di numerosi altri Stati latinoamericani.

La reazione degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti sono intervenuti nella disputa con durezza. L’allora presidente Donald Trump ha denunciato le operazioni di pesca della Cina durante il suo discorso alle Nazioni Unite lo scorso 22 settembre. Il 2 agosto il Segretario di Stato Mike Pompeo aveva rilasciato un comunicato stampa intitolato “Sui metodi di pesca predatori della Cina nelle Galapagos”. Le ambasciate statunitensi in Ecuador e Perù hanno denunciato su Twitter il comportamento della flotta.

Intanto, verso la fine di agosto, la guardia costiera statunitense ha inviato la USCGC Bertholf ad affiancare la Marina ecuadoregna nelle operazioni di pattuglia intorno alla EEZ, settimane prima che venisse rivelata la nuova strategia incentrata sulla Cina contro la pesca INN. Tale strategia si propone di promuovere operazioni di controllo mirate e basate sull’intelligence, di contrastare “la pesca predatoria” finanziata dagli Stati di provenienza e di incrementare la cooperazione multilaterale.

In modo simile, l’ammiraglio statunitense Karl Schultz, comandante della guardia costiera degli USA, ha dichiarato in un discorso tenutosi di recente che la pesca INN ha superato il traffico di droga e la pirateria nella scala delle priorità per la sicurezza marittima globale. L’ammiraglio ha rimarcato la necessità che la Cina si impegni a contrastare questo problema internazionale, e ha dichiarato che il pescato illegale costituisce il 20 percento del pescato a livello globale.

La reazione della Cina

Per quanto riguarda la Cina, da una parte le ambasciate cinesi in Colombia, Perù ed Ecuador hanno negato le accuse secondo le quali la flotta praticasse la pesca INN, dall’altra il governo ha reagito, per la prima volta in 17 anni, inasprendo le norme a cui deve attenersi la flotta da pesca. Secondo il sito di notizie Mongabay queste misure “includono pene più severe per chiunque venga colto nell’infrazione delle regole, un giro di vite sul monitoraggio delle imbarcazioni, nuove procedure nella gestione dei porti, requisiti più restrittivi per i certificati e chiarimenti sulle penali”.

In particolare, secondo un funzionario dell’ambasciata cinese in Ecuador intervistato dal quotidiano El Universo, il Governo cinese intende eliminare il sussidio annuale per il carburante di circa 400 milioni di dollari che per lungo tempo ha tenuto in attività la flotta. In questo modo, il Governo annullerebbe la capacità della flotta di operare tutto l’anno così lontano dalla Cina. Inoltre, la Cina ha proposto di ratificare finalmente il Port State Measures Agreement del 2016, il primo accordo vincolante a livello internazionale per “prevenire, impedire ed eliminare la pesca INN impedendo alle navi impegnate nella pesca INN di utilizzare i porti e di scaricare il pescato”. Ciononostante non è stata fissata alcuna data per la ratifica.

Sebbene questo potrebbe essere considerato un grande passo verso la riduzione della pesca INN, bisogna ricordare che la Cina ha già firmato un certo numero di trattati simili in passato, senza mai ratificarli o applicarli, su tutti il fondamentale trattato ONU del 1996. La Cina è uno Stato membro di sette RFMO, eppure la sua flotta regolarmente ne ignora le disposizioni.

Articolo originariamente pubblicato su InSightCrime.

Gaia Resta

Traduttrice, editor e sottotitolista dall'inglese e dallo spagnolo in ambito culturale, in particolare il cinema e il teatro. L'interesse per un'analisi critica dell'attualità e per i diritti umani l'ha avvicinata al giornalismo di approfondimento e partecipativo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *