Italia-Libia, gli accordi bilaterali che calpestano i diritti umani

Nell’ambito delle relazioni internazionali, quelle tra Italia e Libia sono ormai da anni ben consolidate.

Si sono susseguiti una serie di accordi che avevano come obiettivo, in primis, quello di gestire i flussi migratori provenienti dalle coste libiche. Da anni non facciamo che ascoltare delle stragi umanitarie provocate da tali accordi, che si manifestano anche con abusi (cosa ormai nota e più volte denunciata dalle Organizzazioni umanitarie), che vedono come attore principale la guardia costiera libica, e tragici naufragi di imbarcazioni piene di migranti presso le coste nordafricane.

Mediterraneo: dobbiamo agire sulle cause delle migrazioni, democrats.eu su licenza Creative Commons

Due Paesi: uno, l’Italia, che negli ultimi anni si è trovata ad affrontare crisi politiche e istituzionali, seguite da una forte crisi della gestione dei flussi migratori; l’altro, la Libia, che da molti anni vive in una sorta di guerra civile; è un paese diviso, in bilico tra due potenti figure, quella del primo ministro del Governo di unità nazionale libico Fayez al-Sarraj (riconosciuto dall’ONU) e quella del maresciallo della Cirenaica Khalifa Haftar.

La relazione bilaterale Italia-Libia ha inizio anni fa. Il contatto tra i due Paesi ha origini lontane, all’inizio del Novecento, quando la politica coloniale italiana si è interessata al territorio libico così da trasformarlo ufficialmente in colonia del Regno d’Italia dal 1912 al 1947.

Con la rinuncia dell’Italia ai suoi possedimenti coloniali in seguito ai Trattati di Parigi del 1947, le relazioni tra Italia e Libia cominceranno a farsi complicate. Il loro rapporto sarà infatti caratterizzato da lunghe controversie sulla compensazione dei danni procurati ai libici da parte dell’esercito e delle istituzioni italiane.

Questo clima conflittuale persisterà a lungo, anche dopo l’avvento di Mu’ammar Gheddafi con la rivoluzione del 1969.

Con gli anni però, in seguito a lunghe trattative, Italia e Libia si riavvicinano.

Tornando ad anni più recenti, ricordiamo infatti il Trattato di Bengasi del 2008il cosiddetto “trattato di amicizia e cooperazione”, firmato da Gheddafi e Roberto Maroni, l’allora ministro degli Interni. Con tale accordo l’Italia si prendeva l’onere di pagare 5 miliardi di dollari alla Libia, come forma di compensazione per la passata occupazione coloniale; mentre la Libia si impegnava a prendere misure per contrastare l’immigrazione clandestina dalle sue coste e in più a favorire gli investimenti delle aziende italiane.

Tale accordo serviva anche per preservare gli interessi energetici dell’Eni in Libia, che diventa un forte alleato e fornitore di gas e petrolio per l’Italia, almeno fino al 2011, anno dello scoppio della Guerra Civile.

Anche in seguito alla morte di Gheddafi, l’accordo tra Italia e Libia viene rinnovato nell’aprile del 2012, sotto il Governo Monti, dalla ministra degli Interni Annamaria Cancellieri. Tale rinnovo prevedeva il rafforzamento del controllo delle frontiere meridionali libiche e l’addestramento delle forze di polizia locali di frontiera. Il tema dei respingimenti in mare comincia a farsi sentire.

Molte associazioni che tutelano i diritti umani si sono lamentate in seguito a questo provvedimento, che non era molto chiaro e all’inizio ero stato tenuto “nascosto”. L’allora direttrice di Amnesty International Italia, Carlotta Sami, aveva inviato una lettera alla ministra degli Interni chiedendo trasparenza nelle negoziazioni, in quanto sul territorio libico si stavano verificando atti di tortura sui migranti.

Manifestazione per i diritti dei rifugiati libici, Flickr su licenza Creative Commons

L’apice dei rapporti bilaterali Italia-Libia viene però raggiunto nel 2017 con il Memorandum d’intesa firmato a febbraio dall’allora presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni e dal primo ministro del Governo di riconciliazione nazionale libico Fayez al-Sarraj. Il Memorandum ha durata triennale e viene automaticamente rinnovato tre mesi prima della scadenza in assenza di indicazioni diverse da parte dei due Paesi coinvolti.

L’obiettivo ufficiale di tale accordo era quello di disciplinare la cooperazione  nel campo dello sviluppo, il rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra Italia e Libia, e contrastare l’immigrazione illegale e il traffico di esseri umani.

L’allora ministro degli Interni, Marco Minniti, aveva infatti spinto per un’intesa con la Libia per il controllo dei flussi migratori, costituendo quest’ultima il principale punto di imbarco per i migranti che dall’Africa vogliono raggiungere l’Europa. L’obiettivo di Minniti era appunto quello di combattere i cosiddetti scafisti.

Con tale accordo però l’Italia non fa altro che attribuire maggiori responsabilità nella gestione dei migranti alla Libia, un Paese il cui Governo è sotto ricatto costante da parte di violente milizie; un Paese che ha deciso di non ratificare alcune delle principali convenzioni in materia d’asilo e rispetto dei diritti umani. Si sta  in sostanza dando spazio di manovra e libertà ad un Paese che da anni vive nel caos.

Così facendo si lascia campo libero a chi gli scafisti li conosce bene e li comanda: Abd al-Rahman al-Milad, meglio conosciuto come Bija. È proprio con lui, insieme ad altri rappresentanti libici, che il Governo italiano si trova a negoziare nel 2017.

Con il Memorandum di quell’anno diminuiscono gli arrivi degli immigrati illegali, i cosiddetti clandestini, ma a quale prezzo? Le condizioni di vita dei migranti infatti iniziano a peggiorare sul territorio nordafricano, che diventano protagonisti di atrocità nei famigerati centri di detenzione sparsi nel Paese, governativi e non. Sono ovunque e ormai costituiscono una grande fonte di guadagno.

Sul territorio libico, in tali centri, esseri umani vengono sottoposti a trattamenti disumani e degradanti. Sono molte le organizzazioni internazionali che hanno denunciato queste atrocità e soprusi, citiamo l’United Nations support mission in Libya (UNSMIL) e l’Office of the high commissioner for human rights (OHCHR).

È proprio un rapporto delle Nazioni Unite che nel 2018 denuncia il verificarsi di inimmaginabili orrori subiti da migranti e rifugiati nei centri di detenzione. Funzionari pubblici, esponenti delle milizie e trafficanti, in maniera arbitraria e senza controllo, si macchiano di gravi violazioni, atrocità e abusi.

La storia però non finisce qui. L’accordo bilaterale continua ad andare avanti con il rinnovo della nefasta intesa nel febbraio del 2020, poiché nessun politico ha prestato attenzione alla scadenza del Memorandum e alla necessità di intervenire sul testo per modificarlo.

La Libia si trova a vivere sempre più una situazione precaria e conflittuale. Non si contano ormai le crudeltà documentate da associazioni e  giornalisti, riguardanti le violazioni dei diritti umani perpetrate sul territorio nordafricano.

È infatti assurdo pensare che una Repubblica Democratica come l’Italia possa scendere a patti con un Paese che negli anni si è dimostrato poco incline alla cooperazione e a politiche trasparenti.

Sembra che l’interruzione di questa ormai “consolidata” collaborazione non sia però contemplata dai nostri politici e dunque la cosa migliore da fare in questo momento sarebbe almeno modificare il testo del Memorandum.

Negli ultimi mesi sembra essersi mosso qualcosa: la riapertura delle trattative per la modifica dell’accordo. Ci sono state riunioni al Viminale nel corso dell’estate in cui il comitato misto italo-libico si è riunito per rivedere il testo.

Alla luce delle crudeltà verificatesi a causa di questo rapporto bilaterale pericoloso, il nuovo accordo d’intesa dovrebbe andare a tutelare maggiormente tutte quelle donne, uomini e bambini che scappano da guerre e miseria per cercare di raggiungere un Paese che possa offrire loro speranza.

Antonella Di Matteo

Attivista per i diritti umani, Youth Worker, appassionata di Africa e migrazioni. Laureata alla magistrale in Diritti Umani e Cooperazione allo Sviluppo a Perugia. Si occupa di europrogettazione. Volontaria per SCI Catalunya grazie al programma degli European Solidarity Corps.

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