[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Timothy P. Longman pubblicato su The Conversation]
Paul Rusesabagina, l’imprenditore ruandese che ha salvato, nascondendoli nel suo albergo, centinaia di vite umane durante il genocidio del 1994 e ha visto la sua storia raccontata nel film hollywoodiano “Hotel Rwanda” è stato arrestato ai primi di settembre dalle autorità del Paese con l’accusa di “reati legati al terrorismo“.
L’intervista di Moina Spooner, giornalista di The Conversation Africa al politologo Timothy Longman, esperto del genocidio del Ruanda e delle sue conseguenze, fornisce ulteriori informazioni su chi sia realmente Rusesabagina e su come sia stato costruito il suo arresto.
Chi è Paul Rusesabagina e che ruolo ha avuto durante il genocidio dei tutsi in Ruanda?
All’inizio degli anni Novanta, Rusesabagina gestiva un hotel a Kigali, la capitale ruandese, l’Hotel des Diplomats. A poche ore dal disastro aereo del 6 aprile 1994, in cui perse la vita il presidente Juvenal Habyarimana, i suoi sostenitori si riversarono nella capitale uccidendo gli oppositori politici, gli attivisti della società civile e i membri della minoranza etnica dei tutsi.
Molte persone prese di mira si rifugiarono nell’hotel più prestigioso del Paese, l’Hotel des Mille Collines. Approfittando del fatto che il direttore fosse fuori, Rusesabagina intervenne per gestire la situazione nell’albergo. Quest’ultimo, membro della maggioranza hutu, riuscì a tenere lontano dall’hotel gli squadroni della morte. Alla fine, oltre 1.000 persone furono evacuate in sicurezza.
All’indomani del genocidio, fu riconosciuto l’atto di generosità di Rusesabagina di aver salvato i cittadini tutsi. Così la sua storia divenne la base del film proiettato sul grande schermo nel 2004 “Hotel Rwanda” con Don Cheadle nei panni di Paul. Nel 2006, in collaborazione con il giornalista americano Tom Zoellner pubblicò un’autobiografia, Hotel Rwanda. La vera storia.
Rusesabagina divenne in seguito uno dei più noti ruandesi al mondo: ha viaggiato e parlato a livello internazionale e ha ricevuto dei riconoscimenti per il suo lavoro umanitario.
Eppure, infine, dovette subìre una forte reazione collettiva in quanto alcuni sopravvissuti sostenevano che avesse ingigantito il suo eroismo. Inoltre, furono messi in dubbio i motivi delle sue azioni durante il genocidio e fu criticato per aver tratto vantaggio dalle sofferenze dei cittadini tutsi attraverso le sue manie di protagonismo.
Perché Rusesabagina fu arrestato?
Dopo il genocidio, Rusesabagina è tornato a gestire l’Hôtel des Diplomats. Fu lì che lo incontrai nel 1995 e sentii raccontare dagli altri, tra cui diversi sopravvissuti al Mille Collines, la sua storia di aver salvato tante vite.
Rusesabagina era un politico moderato, un hutu sposato con una donna di etnia tutsi. Eppure, parlandoci in privato mi disse che era sempre più preoccupato da quello che vedeva: la presenza durante il regime del post-genocidio di un crescente autoritarismo e dello sciovinismo etnico contro gli hutu. Nel 1995, il Governo ruandese ricorse alla violenza per chiudere i campi dei rifugiati. Inoltre, nel 1996 i soldati del Paese bombardarono i campi profughi ruandesi oltre i confini della Repubblica Democratica del Congo (un tempo nota come Zaire) e rimandarono i rifugiati in Ruanda.
Rusesabagina lasciò il suo Paese nello stesso anno ricevendo asilo in Belgio. Ma lì sentendosi minacciato si trasferì con la sua famiglia in Texas, dove si stabilì.
Tra Rusesabagina e il Governo di Paul Kagame ci fu un fortissimo attrito. Nella sua autobiografia, Rusesabagina ha espresso forti critiche nei confronti del Governo formatosi dopo il genocidio. Di conseguenza il regime, guidato dal Fronte Patriottico Ruandese (RPF), diede vita a una campagna diffamatoria collettiva che attaccava la sua reputazione.
I sopravvissuti del Mille Collines iniziarono a contestare con più forza le sue azioni durante il genocidio. Ad esempio, si sono chiesti perché Rusesabagina abbia addebitato i costi delle camere alle persone che si erano rifugiate nell’hotel durante il genocidio. Il gruppo di sopravvissuti al genocidio del Ruanda, costituitisi in un’associazione, Ibuka, ha affermato che Rusesabagina fingeva nel suo ruolo di salvare le persone e per questo doveva essere arrestato. Inoltre, Kagame ha persino sostenuto pubblicamente che le dichiarazioni di Rusesabagina sul suo eroismo fossero false.
Di fronte a queste forti critiche, il comportamento di Rusesabagina è diventato sempre più duro nei confronti della condanna di Kagame e del Governo formatosi dopo il genocidio.
Ha spesso parlato dell’uccisione degli hutu da parte del Fronte Patriottico Ruandese e le sue posizioni a riguardo sembravano diventare più estremiste. Ha anche sostenuto la presenza di un genocidio contro gli intellettuali hutu, posizione questa che assomiglia alla teoria, ampiamente rigettata dagli studiosi, detta del doppio genocidio.
Negli ultimi anni quando viveva in Texas, ha sostenuto pubblicamente i gruppi di opposizione quali il Movimento Ruandese per il Cambiamento Democratico (MRCD), di cui è cofondatore. Il suo arresto ha avuto origine dalle accuse mosse nei suoi confronti per aver supportato il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), considerato il braccio armato del MRCD, e il Raggruppamento per l’Unità e la Democrazia-Urunana (RUD-Uranana), un gruppo armato che ha sferrato un attacco mortale in Ruanda nel 2018.
L’arresto di Rusesabagina cosa rappresenta per le forze di opposizione ruandesi? E che aspetto ha l’attuale opposizione politica nel Paese?
I dettagli della detenzione di Rusesabagina restano poco chiari. Sebbene il suo arresto è stato annunciato a Kigali, sembra che sia avvenuto fuori dal Ruanda. Stando alle parole della famiglia è stato è stato catturato a Dubai ma non si sa bene se sia stato arrestato con un mandato di cattura internazionale negli Emirati Arabi Uniti e poi sia stato consegnato alle autorità ruandesi oppure se sia stato semplicemente fermato dagli agenti del Paese.
Molti osservatori della politica locale non si fidano delle accuse mosse contro Rusesabagina in quanto si sa che il Fronte Patriottico Ruandese fa un uso smodato delle accuse per intimidire gli oppositori.
Come ho scritto nel mio libro “Memory and Justice in Post-Genocide Rwanda“ (Memoria e Giustizia nel Ruanda del Post-Genocidio), i principali rivali del presidente Kagame sono stati arrestati in ogni elezione presidenziale e processati con accuse false. Nel 2002, l’ex presidente del Paese Pasteur Bizimungu e nel 2010 la leader del partito di opposizione, Victoire Ingabire sono stati processati e arrestati per un reato che è stato vagamente definito come “divisionismo”. Entrambe le sentenze sono state poi commutate dal presidente Kagame.
Nel 2017, l’imprenditrice Diane Rwigara, sopravvissuta al genocidio e attivista per i diritti delle donne che ha cercato di presentarsi come candidata indipendente alle elezioni presidenziali del Paese, è stata accusata di corruzione. È stata assolta in appello solo dopo aver trascorso un anno dietro le sbarre. Intanto il patrimonio familiare era stato confiscato e venduto all’asta dallo Stato.
Il regime ha anche cercato di ottenere l’estradizione per gli oppositori che vivono all’estero e in alcuni casi li ha anche catturati e rimpatriati. Ad esempio, Patrick Karageye, ex membro del Fronte Patriottico Ruandese, diventato oppositore di Kagame, è stato assassinato in Sudafrica nel 2014 mentre il suo collega Kayumba Nyamwasa è riuscito a scampare ad almeno due tentativi di assassinio.
Non possiamo sapere con certezza se l’accusa di Rusesabagina di aver fornito supporto materiale ai gruppi armati, sostenendo il terrorismo, sia giusta.
Dal mio punto di vista, la tragedia di questa storia è che qualcuno, intraprendendo azioni eroiche per difendere la vita degli altri, sia diventato più radicale a causa degli attacchi spietati alla sua persona.
Purtroppo, in un ambiente politico così diviso come quello del Ruanda non c’è posto per i moderati né per le voci critiche.