24 Aprile 2024

Grecia, Piazza Victoria e il doloroso fallimento del diritto di asilo

Fortress Europe. È questo il termine che da ormai svariati anni viene utilizzato per indicare la policy europea in fatto di gestione dei flussi migratori. Tale espressione suggerisce un’immagine ben precisa: una roccaforte inespugnabile, circondata da alte mura sormontate da chilometri e chilometri di filo spinato. Ed effettivamente il paragone è calzante se si pensa ai quotidiani respingimenti che avvengono lungo tutti i confini europei – interni ed esterni, marittimi e terrestri – in piena violazione del diritto internazionale.

Ma non si tratta solo di mura difensive, non è una mera questione di attraversamento dei confini. Fortress Europe è molto di più. È un’attitudine, che investe e schiaccia con violenza i miracolati che quel filo spinato riescono a scavalcarlo. È la stella polare che guida i policy makers nella progettazione e implementazione dei sistemi d’asilo europei, complicate e inumane macchine burocratiche il cui unico scopo sembra essere quello di marginalizzare il più possibile richiedenti asilo e rifugiati.

Se è vero che quella della Fortress Europe è una pratica diffusa a vari livelli in tutti i Paesi UE, è anche vero che la Grecia è di sicuro il luogo in cui tutte le storture del sistema si svelano in maniera dolorosamente lampante.

Basti pensare che la legge 4375/2016 – approvata dall’allora Governo di Syriza guidato da Alexis Tsipras a seguito della cosiddetta crisi migratoria del 2015 – ha introdotto un discutibile meccanismo procedurale che si differenzia sulla base del luogo di approdo del potenziale richiedente asilo. Ancora oggi, infatti, la posizione giuridica di chi chiede asilo in un qualsiasi luogo della Grecia continentale e chi invece avanza la medesima richiesta sulle isole risulta molto diversa.

Chi oltrepassa il confine Greco-Turco in corrispondenza di Lesvos, Samos o Chios riceve un permesso di soggiorno che non consente di raggiungere la terraferma. Ciò significa che approdare sulle isole del Mar Egeo equivale a una condanna: i richiedenti asilo sono costretti ad attendere la definizione del proprio status nel luogo di sbarco, con tempi di attesa che spesso e volentieri superano l’anno.

Tale meccanismo porta con sé numerosi risvolti negativi. Primo fra tutti, il sovraffollamento dei campi destinati alla prima accoglienza.

È ormai risaputo che Moria, l’hotspot collocato sull’isola di Lesvos, ha una capacità massima che si aggira attorno alle 3000 unità; oggi le persone presenti nel campo sono oltre 20.000, per lo più dislocate in quella che viene definita la jungle – un accampamento informale privo di servizi igienici e di elettricità, dove le persone vivono in ripari di fortuna circondate da cumuli di spazzatura ed esposte a violenze di ogni tipo. Stessa situazione nel campo di Vial, a Chios, inizialmente pensato per accogliere circa 800 richiedenti asilo e attualmente abitato da quasi 6000 persone.

Nel luglio 2019, con la salita al potere del Governo di ultradestra guidato da Kyriakos Mitsotakis, la situazione è decisamente peggiorata. La linea politica adottata dal Premier conservatore si è infatti sin da subito contraddistinta per un approccio fortemente coercitivo e penalizzante, che si è tradotto nell’approvazione di una riforma del sistema d’asilo che ha suscitato non poche preoccupazioni sia fra gli osservatori internazionali che fra la società civile.

La legge 4636/2019 entrata in vigore lo scorso ottobre prevede infatti una drastica stretta sulle garanzie procedurali e i diritti riconosciuti in fase di richiesta asilo, nonché un allarmante ampliamento dei casi e delle misure di detenzione amministrativa. L’obiettivo è quello di imporre un regime maggiormente controllante nei confronti dei richiedenti asilo e dei rifugiati presenti sul territorio nazionale, accelerando le procedure e facilitando così l’espulsione arbitraria di un numero crescente di persone.

L’8 maggio 2020, a pochi mesi di distanza dalla promulgazione della riforma, il Parlamento greco ha approvato una nuova serie di modifiche che vanno ad incidere in senso nettamente peggiorativo sul già traballante quadro normativo in materia di protezione internazionale. Il pacchetto prevede infatti ulteriori limitazioni ai diritti dei richiedenti asilo nelle varie fasi della procedura e la trasformazione degli hotspot già esistenti sulle isole dell’Egeo in centri chiusi, la cui gestione sarà probabilmente affidata in via esclusiva alle forze dell’ordine.

Contestualmente all’approvazione dei nuovi emendamenti, il Governo greco ha annunciato di voler procedere con l’applicazione di nuove linee guida riguardanti l’accoglienza delle persone a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato.

Se prima, a partire dal momento della notifica dell’esito positivo della procedura, la normativa concedeva sei mesi di tempo prima della revoca di tutte le misure di sostegno – quali accoglienza in centri governativi o in progetti abitativi gestiti da organizzazioni internazionali e un piccolo ammontare di denaro mensile erogato da UNHCR – ora tale lasso di tempo è stato ridotto ad un solo mese.

Si tratta di una misura che, secondo quanto dichiarato dal Governo, sarebbe funzionale a innescare uno snello e più sostenibile avvicendamento in accoglienza fra chi si trova nella fase finale della procedura e i nuovi arrivati. In concreto, già immediatamente dopo l’annuncio le stime parlavano di circa 11.000 rifugiati che si sarebbero ritrovati senza alcun mezzo di sussistenza nel giro di pochi mesi.

Ed effettivamente ciò che sta succedendo ad Atene, ad un paio di chilometri scarsi dall’Acropoli, dimostra che le stime erano corrette.

Piazza Victoria si trova in un quartiere centrale della città. La fermata della metropolitana che spicca nel mezzo della piazza consente di raggiungere il centro storico in una manciata di minuti. Bar, ristoranti, supermercati e negozi di ogni genere popolano l’intera area, attirando sia i residenti delle zone limitrofe che i turisti in cerca di una bibita fresca e qualche ora di relax che non implichi storia antica e rovine archeologiche.

Qui, fra tavolini di legno, ombrelloni bianchi e cocktail ghiacciati, il 14 giugno si sono riuniti gli sfollati di Moria. A seguito dell’entrata in vigore delle nuove linee guida, circa 800 persone hanno dovuto abbandonare l’hotspot dell’isola entro i primi giorni di giugno. Di queste, 200 non hanno avuto altra scelta che accamparsi in questa piazza di Atene, creando giacigli di fortuna con coperte stese sul cemento rovente e raccogliendo i pochi averi in sacchi di plastica neri ammonticchiati nelle aiuole. Fra loro, molte famiglie con bambini al seguito.

19 agosto 2020, i rifugiati accampati a Piazza Victoria si preparano ad affrontare un’altra notte all’aperto

Per giorni organizzazioni non governative, collettivi politici o semplici attivisti si sono avvicendati a Piazza Victoria, non solo fornendo pasti e beni di prima necessità ma cercando anche di raccogliere le istanze degli sfollati e creare un canale di mediazione con le istituzioni.

Ma la situazione è ben più complicata di quanto già appaia. In Grecia sono infatti attivi soltanto due programmi abitativi: ESTIA, gestito da UNHCR e finanziato dal Governo greco, ed HELIOS, gestito da IOM e finanziato dalla Commissione Europea.

Per quanto riguarda il primo programma, il Governo greco ha recentemente annunciato l’avvio di ESTIA II, che prevede un taglio pari a circa il 30% dei fondi precedentemente stanziati. Ciò si traduce ovviamente in una scarsa disponibilità di alloggi e una conseguente ridottissima possibilità di rientrare nel programma.

Per quanto riguarda invece HELIOS, secondo quanto riportato da Refugee Support Aegean la procedura di accesso sarebbe a dir poco labirintica. Affinché la richiesta sia ammissibile occorre infatti essere già titolari sia di un contratto di affitto che di un conto corrente bancario. Entrambe le cose sono però dipendenti dal possesso dell’AFM, una sorta di codice fiscale il cui rilascio è vincolato alla presentazione di un certificato di residenza.

Nel tentativo di porre rimedio a questa situazione senza uscita, il ministero della Migrazione e dell’Asilo ha consegnato degli appositi certificati agli sfollati di Piazza Victoria; gli uffici competenti al rilascio dell’AFM hanno tuttavia rifiutato di accettare tale dichiarazione, sostenendo di non poter allegare alla pratica un documento in cui non viene indicato un indirizzo.

Un vicolo cieco, dunque. Una trappola burocratica che trascende carte e uffici governativi, costringendo intere famiglie a vivere in una piazza nel centro di Atene. Sotto agli occhi più o meno ignari di residenti, pendolari e turisti.

Ma quella che le autorità devono aver concepito come “la soluzione definitiva” non è tardata ad arrivare. La sera del 4 luglio la polizia in tenuta antisommossa ha circondato Piazza Victoria, con l’intento di sgomberarla e trasferire le persone lì presenti nei centri governativi. Due le opzioni possibili: Amygdaleza, un centro di detenzione in cui vengono rinchiuse le persone in attesa di espulsione, ed Eleonas, un campo collocato ad Atene che risaputamente ospita già ben più persone di quante la sua capienza consentirebbe.

Questi due nomi, tristemente noti fra i rifugiati di Piazza Victoria, non hanno fatto altro che alimentare la rabbia e la frustrazione di persone già duramente provate. Il prevedibile esito di questa inaccettabile proposta è stato lo scoppio di  scontri fra rifugiati, attivisti e polizia, cui hanno fatto seguito svariate denunce pubbliche di abuso della violenza da parte delle forze dell’ordine.

A seguito di quanto accaduto negli ultimi mesi Piazza Victoria è stata ribattezzata “Azadi Square”, termine curdo che significa “libertà”

Sempre secondo quanto riportato da Refugee Support Aegean, le persone trasferite ad Amygdaleza ed Eleonas hanno raccontato di essere state sistemate in condizioni aberranti, in tende o container bruciati, con un solo pasto al giorno garantito e senza la possibilità di accedere ad assistenza medica.

Come se non bastasse, a seguito delle lamentele pervenute al Comune di Atene da parte di alcuni abitanti del quartiere, l’8 luglio sono state rimosse tutte le panchine presenti a Piazza Victoria, in modo da rendere ancora più ostile l’ambiente e scoraggiare così l’espansione dell’accampamento. Qualche settimana dopo, Viktoria Solidarity lanciava la campagna “Benches for Viktoria”, coinvolgendo attivisti, rifugiati e semplici residenti del quartiere nella realizzazione di nuove panchine da installare nella piazza.

Anche iniziative solidali, dunque, che però appaiono come una minuscola goccia nel mare di inazione delle autorità greche, che si ostinano ad imporre soluzioni coercitive prive di qualsivoglia logica a lungo termine.

Fra luglio e agosto si sono infatti succeduti ulteriori tentativi di sgombero e di trasferimento forzato, e nell’ultima nota di aggiornamento pubblicata da Medici Senza Frontiere veniva segnalata la presenza di casi vulnerabili (persone affette da gravi patologie croniche, donne in stato di gravidanza, sopravvissuti a torture) letteralmente abbandonati a Piazza Victoria senza alcun tipo di assistenza medica e psicologica. Segno che una vera, dignitosa soluzione è ancora ben lontana.

19 agosto 2020, il lento scorrere del tempo a Piazza Victoria

Oggi, fare una passeggiata nei pressi di Piazza Victoria significa imbattersi in cumuli di sacchi neri malamente sistemati negli angoli e sotto ai pochi, piccoli alberi che punteggiano il quadrante di cemento. Qua e là, facce stravolte su cui è possibile leggere tutto lo sfinimento dell’ennesima notte passata con la schiena sull’asfalto. Volti sospesi in un limbo, incastrati in un’attesa di cui a stento si vede la fine. L’attesa in quella Fortress Europe che non è soltanto appena al di là dei nostri confini, ma anche e soprattutto nelle strade delle nostre città.

[Tutte le foto sono dell’autrice dell’articolo]

Camilla Donzelli

Laureata in Scienze Politiche per la Cooperazione e lo Sviluppo, si forma poi come consulente legale professionale con ASGI - Associazione Studi Giuridici Immigrazione e lavora per diversi anni nel sistema di accoglienza italiano. Appassionata di antropologia politica e da tempo impegnata nella diffusione di buona informazione circa i fenomeni migratori, nel 2020 si trasferisce ad Atene per studiare da vicino gli effetti delle politiche europee sulle popolazioni in movimento. Attualmente collabora con Jafra Foundation Greece.

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