Emergenza sanitaria ma anche dei diritti umani. Ed è su quest’ultimo punto che si sta giocando la sicurezza degli Stati, la democrazia, la vera faccia delle istituzioni. “La minaccia è il virus, non le persone” ha detto qualche giorno fa il segretario generale dell’ONU, António Guterres, che ha ritenuto opportuno elaborare un report relativo all’impatto del Covid-19 sui diritti umani.
Se i cittadini di tutto il mondo hanno ormai capito che bisogna fare i conti con la sospensione di diritti fondamentali come quello all’istruzione e alla libertà di movimento, incomprensibili – e al di là di ogni giustificazione – sono gli abusi che si registrano in moltissimi Paesi e che stanno letteralmente cancellando i diritti dei singoli e di intere comunità.
In ogni angolo del mondo si stanno registrando violazioni di ogni sorta lasciando emergere il volto dittatoriale e autocratico di certi Governi. Insomma la pandemia si sta dimostrando un’ “opportunità” per quei leader che usano la paura del contagio, la quarantena e il fatto che tutta l’attenzione del mondo sia puntata sul Covid-19 per liberarsi di dissidenti e attivisti o di imporre il pugno di ferro nella gestione dello Stato.
Cina, India e Turchia (dove Erdogan riesce a portare avanti la repressione nei confronti dei Curdi persino in questo periodo e a cancellare di fatto qualunque voce di protesta interna, anche quella di “semplici”, ma critici, musicisti) sono tra quelli su cui pendono le maggiori accuse di violazioni.
Ma anche Arabia Saudita, Iran, Russia e Paesi europei come l’Ungheria sono da settimane ormai sotto osservazione delle Organizzazioni dei diritti umani e della stampa (quella a cui è consentito fare il proprio lavoro). Per questi Stati, i loro Governi, ma soprattutto i loro leader l’accusa è di pesanti violazioni dei diritti fondamentali.
Sono molte le analisi che mostrano come il Governo di Beijing stia usando la pandemia per imporsi nella politica di Hong Kong, atteggiamento che si è già risolto in arresti di massa di dissidenti mentre la polizia del Paese ha arrestato 15 noti attivisti legati alle proteste del giugno scorso – ma anche per rivendicazioni territoriali, come le isole nel Mar Cinese meridionale.
L’esempio cinese – semmai alcuni avessero avuto bisogno di un portabandiera per seguirne la scia – si sta moltiplicando in altre regioni del mondo. Lo ricorda Human Rights Watch che si sofferma anche sulla difficoltà della stampa di operare in certe condizioni. “In Tailandia, Cambogia, Venezuela, Bangladesh, Turchia, i Governi stanno arrestando giornalisti, attivisti dell’opposizione, operatori sanitari e chiunque osi criticare la risposta ufficiale al coronavirus“.
Mentre Paesi come Giordania, Oman, Yemen e Emirati Arabi Uniti hanno vietato la stampa di giornali, sostenendo che potrebbero trasmettere il virus. Senza contare il caso di India, Myanmar e Bangladesh, dove è quasi impossibile ricevere notizie sull’andamento della pandemia e su come comportarsi a causa del quasi totale shutdown di Internet da parte dei Governi.
Ci sono luoghi dove la pandemia amplifica e nello stesso tempo copre tragedie già in corso. In Libia, per esempio, dove 700.000 rifugiati e migranti sono già sotto il giogo dei loro torturatori e trafficanti, dove non c’è accesso all’informazione e dove non esiste certezza di lasciare l’inferno. Un Paese da anni piegato da un conflitto che non trova soluzione, e certo senza le strutture sanitarie necessarie per affrontare l’emergenza.
E bisogna probabilmente preoccuparsi della “nuova amicizia” tra Trump e Putin, che pare si stiano regolarmente sentendo al telefono dall’inizio della pandemia. Poche certezze e molte supposizioni su quanto si dicono, visto che le conversazioni vengono tenute private.
In Brasile, il presidente Bolsonaro è apertamente accusato di sabotare gli sforzi per arginare la pandemia: dal definire il virus una “fantasia” al dichiarare chiese, ma anche sale dove si gioca alla lotteria “servizi essenziali”, dall’esortare i cittadini a partecipare a raduni a favore del Governo e lì stringersi la mano al dichiarare la fine della quarantena. Mentre su tutto questo fanno da sfondo le fosse comuni del cimitero di Manaus nello Stato dell’Amazzonia.
In Azerbaijan, per citare un altro Paese che non eccelle in democrazia, il Governo sta usando la quarantena per scatenarsi contro l’opposizione. Mentre in Iran decine di detenuti sono state uccisi perché protestavano contro la mancanza di sicurezza nelle carceri.
In Israele, invece, Netanyahu “passerà alla storia come il primo leader che deve il suo posto a un virus“, tra il controllo sistematico dei cittadini e l’accordo per formare un nuovo Governo con il rivale Benny Gantz, che lo terrà in carica almeno per altri 18 mesi, con annesso rinvio di tre processi per corruzione.
C’è poi chi sta di fatto militarizzando il Covid. In molti Paesi africani sono stati segnalati e denunciati casi di abusi da parte delle forze dell’ordine, che spesso non hanno esitato a sparare sulle persone accusate di violare la quarantena. Attacchi sui civili sono stati registrati in Kenya, Uganda, Burundi, Togo, Chad, Etiopia, Nigeria, Sudafrica. Qui, inoltre, il presidente Ramaphosa ha ordinato il dispiegamento di 73.000 soldati al fine, ha detto, di garantire il rispetto del lockdown. E in Egitto lo stato di emergenza ha dato alla polizia ampi poteri di arresto e detenzione di figure “scomode” al regime di Abdel Fattah al-Sisi che ha esteso la misura per altri tre mesi anche adducendo l’insorgenza terroristica.
E l’Europa? L’Italia? Abbiamo accennato a Viktor Orban, primo ministro ungherese che ha assunto pieni poteri a tempo indeterminato. E che praticamente può governare a forza di decreti. Un pò, in sostanza, quanto sta accadendo in Italia dove le forze politiche (sia di un campo che dell’altro) cominciano a lamentare il mancato coinvolgimento delle Camere in decisioni di fondamentale importanza per il Paese.
Attenzione, avverte lo storico Yuval Noah Harari, perché è facile che la direzione autoritaria presa in alcune parti del mondo, possa addirittura trasformarsi in totalitarismo.
Monitoraggio senza limiti di privacy, sorveglianza (anche affidata ai servizi segreti dello Stato), un uso esagerato dei decreti, opacità nelle informazioni concesse ai cittadini e alla stampa, sono alcuni dei segnali che devono fare accendere un campanello di allarme.
Questi sono solo alcuni esempi di violazioni e abusi in questo periodo di pandemia. Molti altri se ne possono trovare nell’archivio dell’ACLED, Armed Conflict Location & Event Data Project che contiene anche dati relativi a proteste messe in atto da cittadini e organizzazioni e le reazioni a queste ultime da parte dei Governi.
Come contrastare tutto questo? E cosa afferma il diritto internazionale?
La normativa sui diritti umani permette agli Stati – in situazioni emergenziali – di adottare misure per limitare alcune libertà individuali e collettive. I provvedimenti nazionali in nessun caso però possono avere carattere discriminatorio. Il loro contenuto deve essere chiaro, la durata specifica e non devono comportare la soppressione della libertà di stampa e/o di espressione. La migliore risposta alle emergenze deve essere dunque proporzionale alla minaccia in corso. Solo così può essere garantito il pieno rispetto dei diritti fondamentali e del principio di legalità.
Così come, per esempio, stabiliscono i Principi di Siracusa, adottati dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite e dal Comitato per i diritti umani nel 1984. Mentre il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici all’articolo 12 si sofferma sulla libertà di movimento. La decisione di restringerla, anche in questo caso, deve essere proporzionata all'”interesse supremo” da tutelare, basata su esigenze scientifiche per raggiungere l’obiettivo e, tra le altre cose, a tempo determinato.
Human Rights Watch offre un‘analisi dettagliata di normative che sono applicate (o violate per causa di forza maggiore) in questo periodo.
Anche la CEDU (Corte Europea dei Diritti Umani), codificando i sacrosanti diritti dell’uomo considera “un certo margine d’apprezzamento nel decidere che tipo di limitazioni introdurre a protezione di interessi generali“.
Per introdurre restrizioni straordinarie la CEDU prevede una clausola di deroga alla garanzia del rispetto di alcuni dei diritti garantiti dalla stessa.
È il motivo per cui alcuni Paesi – l’Italia non lo ha fatto – hanno presentato istanza di deroga alla CEDU. Si tratta di Armenia, Estonia, Georgia, Lettonia, Moldova e Romania. I diritti sospesi includono la libertà personale, la libertà di circolazione, la libertà di riunione, il diritto all’istruzione, il pieno godimento del diritto di proprietà (rendendosi necessaria la requisizione di strutture o beni necessari per il trattamento dei malati) e il diritto allo sciopero. Il periodo fissato va dalle quattro alle otto settimane, ma è possibile una proroga se l’emergenza sanitaria non sarà cessata.
Perché l’Italia (e altri) non hanno ritenuto di chiedere deroghe alla CEDU? Forse ritengono di non incorrere in violazioni di diritti in relazione al periodo eccezionale in cui questi sono stati sospesi.
Se però le misure, ugualmente eccezionali, prese dai Governi – compreso quello italiano – dovessero essere estese, a questo punto forse si renderà necessario l’intervento delle Corti (nazionali e internazionali) per stabilire se non siano in atto abusi e violazioni che troppo a lungo stanno minando i diritti fondamentali dei cittadini.
[The Lancet ha appena pubblicato una raccolta di riflessioni, studi e analisi che evidenziano casi di sospensione dei diritti in periodi di emergenza e le sue implicazioni legali e sociali.]