26 Aprile 2024

Algeria, Hirak non demorde. Il suo obiettivo resta la democrazia

[Agenda 20 febbraio – 4 marzo 2020. Tenere una finestra aperta sul mondo. In questa prospettiva, la nostra rubrica quindicinale racconta, attraverso cinque notizie, quanto accade nel panorama internazionale, in linea con le tematiche di Voci Globali.]

Manifestazione Algeri - Foto tratta da Wikimedia Commons in Licenza CC
Manifestazione Algeri – Foto tratta da Wikimedia Commons in Licenza CC

Africa – Primo anniversario della “rivoluzione del sorriso” in Algeria

Il presidente Abdelmadjid Tebboune, ha omaggiato il movimento pro-democrazia Hirak proclamando in suo onore il “22 febbraio” festa nazionale. L’annuncio ha preceduto di soli due giorni le consuete proteste del venerdì, che da oltre 53 settimane scandiscono il calendario degli algerini. La decisione presidenziale è sembrata più un modo per accaparrarsi le simpatie dei manifestanti che un reale riconoscimento al ruolo politico e sociale svolto dalla cosiddetta “rivoluzione del sorriso”. Il tentativo non ha però sortito l’effetto sperato. Nel giorno delle celebrazioni, migliaia di persone sono scese in piazza per ribadire l’immutata intenzione di proseguire la lotta pacifica fino a quando non saranno realizzate concrete riforme istituzionali e sociali. “Vogliamo uno Stato civile, non militare” è il mantra dell’Hirak e dei suoi sostenitori. Le elezioni di dicembre scorso – caratterizzate da un bassissima affluenza alle urne – non hanno di fatto determinato un reale rinnovamento della classe dirigente. L’apparato militare continua ad avere un ruolo centrale nella gestione degli affari di Stato, mescolando qualche apertura democratica con i soliti strumenti repressivi del dissenso. Da settembre a oggi, ci sono stati 142 arresti arbitrari di attivisti e giornalisti, “rei” di aver documentato quanto avviene nel Paese.

Giustizia sociale – Canada, le ostetriche “vincono” la parità salariale

L’Association of Ontario Midwives (AOM), nella conferenza stampa del 24 febbraio, ha esortato il Governo provinciale ad aumentare i salari delle 963 ostetriche iscritte nell’apposito registro, come stabilito dal Tribunale per i diritti umani. In due distinti provvedimenti, il Foro amministrativo dell’Ontario, ha rilevato un elemento discriminatorio – basato sul genere – nel trattamento economico della categoria professionale internamente costituita da donne. Inoltre, ha individuato gli aggiustamenti che dovranno essere fatti per colmare il “gender pay gap” creato dal ministero della Salute, sia per gli arretrati che pro futuro. È un enorme successo per una battaglia che va avanti ormai da un decennio. “[Questo] contribuirà a far venir meno il pregiudizio e gli stereotipi che ruotano intorno al nostro lavoro”, ha dichiarato Elizabeth Brandeis, presidente dell’AOM. Un portavoce del ministero, invece, ha fatto sapere che entrambe le pronunce verranno impugnate nelle opportune sedi giudiziarie. Il Canada è uno dei Paesi con gli stipendi più alti al mondo. Le ostetriche hanno però le paghe più basse dell’intero settore sanitario specializzato. E questo nonostante la rilevanza sociale del loro lavoro e l’alto livello di istruzione richiesto per poter esercitare la professione.

Ambiente – Scampato pericolo per la Great Australian Bight

L’Equinor non inizierà le trivellazioni per la ricerca di petrolio nella Grande Baia Australiana. In un comunicato – pubblicato sul proprio sito il 25 febbraio – la multinazionale norvegese dell’energia ha spiegato che il progetto non è competitivo sotto il profilo commerciale”. Ci sarebbero migliori opportunità di esplorazione in altre aree del mondo, come il Delta del Niger o il Golfo del Messico. Il Governo di Canberra ha accolto la notizia con delusione. Il ministro delle Risorse, Keith Pitt, ha però precisato che “qualsiasi nuova proposta sarà valutata con interesse”. Resta quindi in piedi l’idea di verificare l’esistenza di giacimenti di greggio e gas nel bacino. I gruppi ambientalisti impegnati nella difesa del golfo hanno, intanto, tirato un sospiro di sollievo. Le operazioni per l’estrazione di eventuali risorse petrolifere avrebbero avuto un impatto devastante sulla biodiversità di uno degli ambienti marini più incontaminati del Pianeta. La barriera corallina australiana ospita infatti specie animali e vegetali uniche. “È una grande conquista per le comunità locali, gli indigeni, l’industria ittica, i surfisti e gli operatori turistici”, ha twittato Greenpeace Australia. L’ONG chiede alle istituzioni di vietare in via permanente le attività di perforazione in questa area, definita il “paese delle meraviglie marine”.

Diritti Umani – L’inferno dei profughi siriani al confine turco-greco

Il 2 marzo, un gommone di migranti si è rovesciato al largo dell’isola di Lesbo. Un bambino è morto. Mentre 47 persone sono state “tratte in salvo” dalla guardia costiera greca. L’episodio si colloca all’interno di un’intricata situazione andata completamente fuori controllo dopo la decisione della Turchia, il 28 febbraio, di aprire le sue frontiere. “Non siamo più in grado di trattenere i profughi, è la versione ufficiale annunciata da Ankara. La reazione dei greci non è stata delle migliori. Si sono verificate aggressioni contri i migranti giunti sull’isola via mare. Ronde per strada e atti di violenza gratuiti da parte della popolazione locale anche nei confronti di giornalisti e attivisti. Mentre lungo i confini terresti venivano lanciati lacrimogeni e granate stordenti. L’attivista Nawal Soufi ha denunciato da subito quanto stava accadendo, attraverso il suo profilo Facebook. Intervistata da Radio1, ha detto Moria è un lager (…) ci sono state spedizioni punitive di gruppi fascisti e la polizia in qualche modo ha lasciato fare”. Maria Alverti (Caritas Grecia) ha evidenziato un “clima molto teso”. Le ONG presenti sul posto hanno sospeso temporaneamente le attività. Per Medici senza Frontiere, la vera emergenza è ora “evacuare le persone dalle isole verso i paesi dell’UEe “fornire un sistema di asilo funzionante“. (Ha collaborato Daniele Bisesti)

Politica Internazionale – Fine della guerra in Afghanistan?

A distanza di pochi giorni dalla firma dello storico accordo di pace con gli USA – siglato nella capitale del Qatar – i talebani tornano a usare la forza. Il 4 marzo, i miliziani hanno attaccato tre avamposti nel distretto di Imam Sahib, uccidendo una decina di soldati e 4 poliziotti afghani. Sono seguiti bombardamenti aerei “difensivi” statunitensi sulle aree sottoposte al controllo del movimento. Tecnicamente, i Taleban non hanno rotto alcuna tregua. La sospensione delle ostilità era stata richiesta dagli Stati Uniti come prova di buona volontà per soli 7 giorni a decorrere dal 22 febbraio. L’impegno è stato mantenuto dalle parti tanto che si è arrivati allo storico accordo del 29, in virtù del quale è stato previsto il ritiro delle truppe straniere dal Paese “entro 14 mesi” e l’avvio del dialogo intra-afghano. Gli analisti, avevano espresso già nell’immediato forti dubbi circa la genuinità delle motivazioni di entrambi gli attori coinvolti. L’intesa, infatti, sembrerebbe essere servita a Trump per fare bella figura con il suo elettorato in vista delle presidenziali di novembre. Mentre, ai talebani per intraprendere da una posizione di forza i negoziati con il Governo di Kabul, al via martedì prossimo. In altre parole, né l’uno né gli altri sarebbero stati mossi dalla reale volontà di pacificare l’Afghanistan.

Tiziana Carmelitano

Autrice freelance, si occupa in particolare di temi globali nonché di violazioni dei diritti umani in contesti conflittuali, post-conflittuali e in situazioni di "Failed States". Con un occhio di riguardo per donne, bambini e giustizia transitoria. Il tutto in chiave prevalentemente giuridica. Convinta che la buona informazione abbia un ruolo decisivo nell'educazione al rispetto dei diritti fondamentali e delle diversità.

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