28 Marzo 2024

India e Pakistan, rapporti tesi all’ombra dalla crisi nucleare

[Traduzione a cura di Elena Intra dall’articolo originale di Annie Waqar pubblicato su The Conversation]

Tra le numerose aree di tensione al mondo, probabilmente la più pericolosa è quella tra India e Pakistan. E i recenti avvenimenti nel Kashmir hanno reso la situazione ancora più preoccupante. La ragione è semplice: da lungo tempo l’India e il Pakistan sono coinvolti in una disputa incendiaria, sono entrambe potenze nucleari e varcare la soglia conflittuale potrebbe innescare tra loro una guerra nucleare. In effetti, già da tempo gli addetti al controllo delle armi nucleari hanno identificato il subcontinente come una delle zone più a rischio.

L’India e il Pakistan condividono una lunga e complicata storia e dal 1947 sono in conflitto sul territorio conteso del Kashmir. La regione himalayana è una delle più militarizzate della Terra – l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton ha definito il Kashmir “il posto più pericoloso al mondo“.

Secondo il piano di spartizione previsto dall’Independence Act del 1947, il Kashmir, composto da una maggioranza musulmana, era libero di aderire all’India o al Pakistan. Ma l’allora Maharaja, Hari Singh, decise di non concedere scelta alla popolazione, lasciando la regione in un limbo geopolitico e con un confine conteso.

Nel 1947 tra l’India e il Pakistan scoppiò una guerra durata due anni  e un’altra esplose nel 1965. Nel 1999, quando i due Paesi arrivarono di nuovo a uno scontro nella cosiddetta guerra di Kargil, il mondo non era mai stato così vicino a una guerra nucleare dai tempi della fine della Seconda guerra mondiale.

In precedenza, gli interventi diplomatici hanno contribuito a disinnescare le tensioni militari, ma una pace duratura rimane elusiva. Entrambe le parti si sono trincerate lungo il confine conteso e le schermaglie militari sono all’ordine del giorno.

Territorio conteso: in verde la regione sotto il controllo del Pakistan. In marrone chiaro, Jammu e Kashmir, di competenza indiana e infine la zona a strisce è l’area di Aksai Chin, territorio controllato dalla Cina. CIA World Factbook/Wikipedia Commons

La questione nucleare

Nei circoli internazionali sulla sicurezza a lungo si è discusso sul fatto che possedere armi nucleari abbia un effetto “deterrente” nell’utilizzarle nei conflitti. Infatti, nell’era del secondo dopoguerra, nessuno Stato le ha usate – nonostante si contino circa 15.000 armi nucleari nel mondo. Ma la proliferazione nucleare orizzontale ha reso il mondo un posto pericoloso; più sono i Paesi che le hanno, più è probabile che verranno utilizzate in un determinato momento.

E se la presenza di armi può “scoraggiare” uno scambio nucleare, non impedisce comunque agli Stati di usare l’uno contro l’altro il potere militare tradizionale. E poiché i conflitti convenzionali possono rapidamente degenerare, la possibilità di uno scambio nucleare rimane una possibilità reale, seppur remota.

Quindi quali sono le possibilità che India e Pakistan (che possiedono entrambe tra le 130 e 150 testate) siano coinvolte in una guerra nucleare?

L’escalation più recente è solo un altro esempio delle tensioni in corso tra questi “vicini“.  È stata innescata a metà febbraio da un militante suicida del Kashmir che, facendo esplodere un’autobomba, ha colpito un convoglio paramilitare su cui viaggiavano indiani. Nell’attacco sono rimaste uccise più di 40 persone, per la maggior parte militari indiani, e Jaish-e-Mohammed, un gruppo terrorista islamico con base in Pakistan, ha rivendicato l’attacco.

Il Primo ministro indiano Narendra Modi, attualmente coinvolto nella corsa alle elezioni, ha messo in guardia su una “risposta schiacciante” e ha lanciato attacchi aerei contro obiettivi situati nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, controllata dal Pakistan. Non è passato molto tempo prima che le parti si scambiassero il fuoco dell’artiglieria attraverso la linea di controllo e il conflitto si intensificasse rapidamente.

Scontri per le strade possono rapidamente inasprirsi nel Kashmir. Shutterstock

Nel frattempo, in un discorso televisivo alla nazione, il Primo ministro pakistano, Imran Khan, ha dichiarato che qualsiasi ulteriore escalation tra le nazioni sarebbe andata oltre il controllo dei leader stessi, avvertendo:

Con le armi che possedete e quelle che possediamo noi, possiamo permetterci errori di calcolo? Non dovremmo pensare a cosa porterebbe tutto questo se si dovesse intensificare?

La palla passa ora all’India. Modi ha la possibilità di intensificare il conflitto dispiegando più jet nel territorio pakistano, il che potrebbe portare a una raffica di rappresaglie “tit-for-tat” [pan per focaccia]. Quindi cosa potrebbe accadere ora?

Dal 1974, quando l’India colse di sorpresa il mondo con il suo inatteso test nucleare noto con il nome di Buddha sorridente, l’Asia meridionale è stata vista come un problema nucleare globale.

Tuttavia, fino ad oggi, l’India, come la Cina, ha mantenuto una dottrina del “No First Use, secondo la quale il Paese utilizzerà le sue armi nucleari solo in risposta a un attacco nucleare. La politica è stata proclamata nel 1999, un anno dopo che il Pakistan di fatto aveva esploso cinque delle sue stesse armi nucleari. Dal canto suo, il Pakistan finora ha rifiutato di rilasciare qualsiasi chiara politica che regoli l’uso delle sue armi nucleari.

Il missile AGNI-III sfila lungo la strada Rajpath, a New Delhi, durante la parata per il Giorno dell’Indipendenza,  il 26 gennaio 2009. Foto di Michael Arthur

Una posta in gioco molto alta

Messi insieme, gli arsenali di Pakistan e India sono limitati rispetto a quelli di Stati Uniti, Russia o Cina. Tuttavia, sono più potenti di quelli lanciati in Giappone nel 1945 e potrebbero provocare una distruzione devastante se impiegati su obiettivi civili. In effetti, anche uno scambio limitato di testate tra le due nazioni sarebbe, in una frazione di secondo, tra gli eventi più disastrosi di sempre, per non parlare del rischio di conseguenze radioattive e l’impatto a lungo termine sull’ambiente.

Il sottomarino indiano dotato di missili balistici a propulsione nucleare, INS Arihant, è diventato operativo nel 2018, fornendo così al Paese una “triade nucleare” – ossia la capacità di lanciare attacchi nucleari via terra, aria e mare. L’altro missile balistico, Agni III, ha un raggio di circa 3.000 km.

Mentre il Pakistan ha un arsenale nucleare leggermente più grande – stimato tra le 140 e 150 testate nel 2017 – ha meno capacità di lancio sugli obiettivi. Sebbene infatti il Pakistan stia sviluppando nuovi missili balistici, il suo attuale raggio di missili balistici è di 2.000 km e il Paese non ha sottomarini muniti di armi nucleari. In ogni caso, al momento per un missile nucleare lanciato dal Pakistan sarebbero necessari meno di quattro minuti per raggiungere l’India, e viceversa.

Lo scenario peggiore è che, sia per incidente o per errore, ciò che è iniziato con un attacco terroristico si trasformi in uno scambio nucleare mirato alle popolazioni civili. I progressi tecnologici potrebbero anche esacerbare la situazione già incendiaria. L’arsenale indiano comprende ora BrahMos, un missile da crociera sviluppato in collaborazione con la Russia, che può essere lanciato da terra, mare o aria e utilizzato come “controforza“. La dottrina della counterforce, nella strategia nucleare, significa prendere di mira l’infrastruttura militare di un avversario con un attacco nucleare.

Anche il malcontento nella valle del Kashmir potrebbe intensificarsi e portare a ulteriori crisi. Nessun Governo indiano ha finora dimostrato la volontà politica di risolvere la crisi del Kashmir, demilitarizzare l’area o applicare la destrezza diplomatica necessaria per negoziare una soluzione con il Pakistan. Né Modi è stato in grado di controllare e impedire che gli indù più irremovibili formassero squadre di vigilanti nella regione minacciando e uccidendo coloro che ritengono stiano “contaminando” le loro convinzioni religiose. E così, giorno dopo giorno, la gente comune continua a soffrire.

In passato, durante i momenti di tensione globale, gli Stati Uniti hanno assunto un ruolo guida nella gestione delle crisi. Tuttavia, ora sembra improbabile che Islamabad o Nuova Delhi  si rivolgano all’amministrazione Trump per avere assistenza nel ridimensionare il conflitto. In effetti, i leader di entrambi i Paesi devono anche considerare la reazione della terza potenza nucleare dell’Asia, la Cina, che è sempre stata l’obiettivo principale del programma nucleare indiano.

Per ora, l’India e il Pakistan stanno dimostrando una certa moderazione. Ma devono lavorare per una soluzione a lungo termine. L’ultima cosa di cui hanno bisogno i loro Governi, o il mondo intero, è un fungo atomico.

Elena Intra

Laureata in Lingue e successivamente in Giurisprudenza, lavora come traduttrice freelance da dieci anni. Appassionata in particolare di diritti delle donne e tematiche ambientali, spera attraverso il suo lavoro di aiutare a diffondere conoscenza su questi argomenti.

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