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Seychelles, quando un paradiso tropicale nasconde l’inferno

"Vengo qui ogni mattina a vendere noci di cocco."

Il nome Seychelles richiama inevitabilmente immagini di resort a picco sul mare, SPA, campi da golf, cocktail a bordo piscina. E naturalmente fitte distese di palme e acque turchesi.

Sono circa 350.000 i turisti d’élite che ogni anno atterrano a Mahé – perlopiù francesi, tedeschi, italiani e russi – pronti a crogiolarsi nel torpore tropicale, lontano dai doveri e dal grigiore della città.

Una remota spiaggia di Praslin dove i Seychellois sono soliti riunirsi

Ma come vivono i 95.000 abitanti delle Seychelles, quelli che rimangono qui 365 giorni all’anno? Lo scintillio dei resort finisce spesso per distogliere l’attenzione da ciò che c’è sullo sfondo, lasciando nell’ombra i veri custodi di queste isole. E così di loro si finisce per sapere molto poco.

Sono una Seychellois, nata e cresciuta a La Digue“, spiega con orgoglio la donna in foto.

Non lasciate nessuna finestra aperta durante la notte: chiudetevi bene in casa.

Questa è la prima cosa che ci viene detta all’arrivo a Mahé, in una zona dell’isola lontana dai resort, dove vivono i Seychellois. Alla domanda “perché?”, la risposta arriva come una doccia fredda.

La notte i giovani dell’isola rubano dalle case per comprarsi un’altra dose di eroina.

Negli ultimi anni, questa piaga ha colpito le isole, arrivando via mare e immobilizzando un’intera generazione di giovani.

“Ormai per noi non è più un segreto“, racconta Roy, taxista nato e cresciuto sull’isola di Praslin.
Alcuni dei nostri figli sono diventati piccoli spacciatori. O, nel migliore dei casi, solo consumatori. Molti sono morti. La notte si intrufolano nelle case della loro stessa gente per rubare telefoni e tablet. Se non riescono a entrare, si accontentano di rubare la frutta dai giardini: il giorno dopo rivendono le noci di cocco a prezzi folli vicino alle spiagge. I turisti, ignari di tutto, comprano. E loro si sono assicurati un’altra dose. Siamo di fronte a una vera e propria generazione-fantasma: non studiano, non lavorano, non sono interessati a niente.”

Musica Reggae, Bob Marley, cultura rastafari: è tutto ciò di cui viviamo“, ci dice Roy, presentandoci gli amici del suo quartiere.

Il Governo del Paese è allarmato da questa escalation, e negli ultimi anni ha lanciato una serie di programmi di disintossicazione, inclusa la distribuzione di metadone. Alcuni medici suggeriscono addirittura di cominciare a vendere eroina negli ospedali per scoraggiare i piccoli trafficanti e monitorarne l’uso, con l’obiettivo di far poi lentamente sparire questa piaga.

La situazione della droga nelle Seychelles è chiaramente una minaccia all’esistenza stessa del Paese. La nostra forza lavoro non è in grado di lavorare per abuso di droghe, e molti di loro sono stati colpiti da altre malattie, come l’HIV e l’epatite C.

Queste sono le parole di Patrick Herminie, politico del People’s Party, su un articolo apparso sulla Seychelles News Agency.

Vendo cocco su questa spiaggia ogni mattina, dalle dieci alle due. Poi torno a casa“, racconta l’uomo nello scatto.

Ma è Scott, un ragazzo di ventinove anni, a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle. Seychellois da molte generazioni, laureato in fisica ed ingegneria civile, la gente di Mahé lo vorrebbe in politica, perché pochi come lui hanno ben chiare tutte le dinamiche del Paese.

Alcuni anni fa è stato realizzato uno studio sulla dipendenza dalle droghe : dei topi da laboratorio vennero rinchiusi in una gabbia, e davanti a loro vennero messe due ciotole – una con dell’acqua pura, l’altra con dell’acqua mescolata con cocaina ed eroina. I topi scelsero la seconda, fino a morire di overdose. Poi, lo psicologo statunitense Bruce Alexander contestò l’esperimento, dicendo che era stato fatto nel modo sbagliato. Prese una gabbia più grande, mettendo le cavie tutte insieme e creando una sorta di parco divertimenti per topi, con tutti gli intrattenimenti che un topo possa desiderare. Il risultato fu rivoluzionario: i topi consumavano solo acqua pura. Il paragone potrà sembrare esagerato, ma non lo è: alle Seychelles dobbiamo fare quello che Bruce Alexander ha fatto con i suoi topi da laboratorio.”

Qui sopra, tre amiche a Praslin si arrampicano sugli scogli durante il picnic della domenica

Questo è il problema principale” continua Scott, “i nostri giovani si annoiano, sono apatici, non vogliono istruirsi né avere sogni. Negli ultimi anni abbiamo bisogno sempre più di gente che venga a lavorare da fuori, perché qui nessuno vuole lavorare. Perché? Perché il turismo è la linfa che mantiene in vita queste isole, ma che le uccide allo stesso tempo. I Seychellois hanno presto imparato che possono improvvisarsi taxisti o venditori ambulanti: i turisti pagano sessanta euro per 15 chilometri di corsa, così come otto euro per una noce di cocco che hanno raccolto nel loro giardino“.

Sono soldi facili” continua il giovane isolano, “e allora perché studiare, perché avere un sogno, perché trovare un lavoro vero, quando ci sono i turisti stressati in cerca di relax disposti a pagare tanto per così poco? È un problema molto serio. Dobbiamo insegnare a questi giovani che si devono istruire, dobbiamo insegnargli a contare sulle proprie forze, invece di spegnersi lentamente e appoggiarsi ai turisti. Dobbiamo insegnargli a camminare con le proprie gambe, non a mettersi comodi. O finiranno proprio come i topi che, chiusi in gabbia senza nessuno stimolo, sceglievano l’acqua mista a eroina. Sta già succedendo.”

Uno dei venditori del colorato e caotico mercato di Victoria, tra banchi di frutta, verdura e pesce

La gente si lamenta” racconta ancora Scott, “ma la verità è che alle Seychelles non manca il denaro: i soldi arrivano dai turisti, ma anche dalle società offshore, dagli stranieri che vengono qui a comprare case e terreni e dalla pesca. L’istruzione e le cure mediche sono gratuite. Quasi tutti possiedono terre e case di proprietà, grazie alla politica senza scrupoli di Albert René, che nel 1977 prese le terre e le case dei ricchi proprietari terrieri per distribuirle ai suoi abitanti. Oggi quei beni hanno acquisito un valore immenso, che i Seychellois possono vendere agli stranieri a cifre stellari.”

Seychellois a Praslin una domenica pomeriggio: prima si va in chiesa, poi ci si riunisce sulle spiagge

I Seychellois sono figli della tratta degli schiavi iniziata da inglesi e francesi: nelle loro rotte tra l’Africa orientale, le Mauritius, l’India e la Cina, i marinai si fermavano su queste isole per rifornirsi di cibo e commerciare schiavi. Qui esiliavano anche tutti i loro nemici politici: capi di tribù somale che si opposero all’occupazione inglese, pasha egiziani, arcivescovi greci, sultani malesiani.

Ed è come se ancora oggi quella schiavitù non se ne sia andata del tutto: una schiavitù astratta, impercettibile, non più fatta di catene e lavori forzati, ma di inerzia. Come se il turismo li tenesse in vita, ma in una sorta di stato letargico che li spersonalizza, che non li smuove dal loro ruolo di custodi di una meta per vacanze. Un diversivo che pare allontanarli dal miglioramento personale, dallo sviluppo delle proprie forze, passioni, capacità.

Mio nonno era un marinaio inglese“, ricorda Bernard, ritratto nella foto qui sopra. “Il resto della mia famiglia arriva dall’Africa. Io vengo qui ogni giorno per vendere olio di vaniglia e olio di cocco ai turisti. Le piantagioni sono proprio laggiù.”

[Tutte le foto sono state scattate dall’autrice dell’articolo]

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