Guerre, sparatorie, bullismo tra pari e atteggiamenti violenti degli insegnanti: nel mondo l’allarme sulla violenza nella scuola è reale. A livello internazionale, per esempio, circa 130 milioni di studenti tra 13 e 15 anni, 1 su 3, sono vittime di bullismo in classe. Proprio la scuola, luogo eletto come il più importante dopo l’ambito familiare per crescita e protezione dei ragazzi, diventa spesso il posto meno sicuro e più violento.
Nelle strutture scolastiche, infatti, non di rado anche insegnanti e personale scolastico si esprimono con gesti violenti. Inoltre, nei Paesi coinvolti in situazioni politico-sociali difficili, con scontri e guerre in atto, troppo spesso le scuole diventano bersagli con i quali perpetuare le battaglie tra gruppi militari.
I circa 158 milioni di ragazzi in età scolare che vivono nei 24 Stati del mondo con conflitti in corso, non possono frequentare la scuola in modo regolare. Gli edifici adibiti alle lezioni, infatti, sono presi di mira dalle fazioni in lotta con bombardamenti e vengono spesso utilizzati dagli eserciti a scopo logistico. A volte, inoltre, gli sfollati creati dalle guerre e dalle distruzioni di villaggi e abitazioni sono costrette a rifugiarsi in strutture di fortuna, come le scuole. Che non possono più, quindi, esercitare la loro funzione educativa.
Nonostante gli attacchi alle scuole siano stati considerati dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu come una delle sei violazioni più gravi dei diritti dei bambini, nel 2016 si sono registrati 400 attacchi alle scuole.
L’impatto sui bambini e sui ragazzi è drastico poiché li costringe il più delle volte ad abbandonare la frequentazione dei corsi. Nel 2017, per esempio, nella Repubblica Democratica del Congo sono aumentati gli attacchi alle scuole di circa 8 volte rispetto all’anno precedente, registrando 396 casi. In Mali 657 edifici scolastici sono stati chiusi e in Iraq 2 scuole sono state completamente distrutte, altre 8 colpite da mortai dello Stato Islamico e alcuni dispositivi esplosivi sono stati trovati nei pressi di 5 scuole. Attacchi aerei di diverse appartenenze, sia governative che dell’esercito islamico, hanno colpito 67 scuole siriane e decine di edifici scolastici sono stati utilizzati da forze in lotta in Siria come basi militari, di detenzione, di deposito di munizioni.
Dove non ci sono guerre interne, la violenza si manifesta anche con sparatorie in classe e all’interno degli edifici scolastici. Sono 14 i Paesi dove sono stati documentati episodi mortali causati dall’uso di armi a scuola tra il 1999 e il 2015. Solo negli Stati Uniti sono accaduti 3 incidenti su 4 a livello mondiale.
Molto allarmanti sono i dati relativi alle punizioni corporali ancora in uso nelle scuole di alcuni Paesi. È la Convenzione dei diritti del Fanciullo a ribadire nell’art.28 che: “Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento per vigilare affinché la disciplina scolastica sia applicata in maniera compatibile con la dignità del fanciullo in quanto essere umano e in conformità con la presente Convenzione“.
Nonostante questa evoluzione legislativa e culturale, nel mondo circa 732 milioni di minori tra 6 e 17 anni non hanno una tutela legale adeguata contro la violenza degli insegnanti. Le punizioni corporali non sono proibite in 17 Paesi africani, in alcuni Stati del Medio Oriente, in qualche nazione centroamericana.
Anche negli Stati Uniti, la legge non è affatto uniforme e in alcuni Stati degli USA le punizioni corporali sono soltanto parzialmente proibite. Un’inchiesta in 63 Stati, tra i quali 29 con legge che bandisce le punizioni violente a scuola, rivela che il 90% degli studenti in 9 Paesi, il 70-89% di alunni in 11 Stati e il 13-69% in 43 Nazioni sono stati vittime di atteggiamenti violenti da parte dei professori.
Alcuni dati raccolti nel 2009 testimoniano questi numeri. In Etiopia, per esempio, il 38% di bambini di 8 anni e il 12% di ragazzi di 15 anni hanno raccontato di aver subito violenze fisiche da parte degli insegnanti a scuola. In Vietnam la percentuale dei più piccoli puniti con violenza è il 20% e in India, negli Stati Andhra Pradesh e Telangana il 78% di alunni di 8 anni e il 34% degli adolescenti ammettono di aver subito gesti violenti da parte degli insegnanti anche più volte in pochi giorni. Una ricerca svolta in Cambogia nel 2013 ha fatto emergere un elevato livello di violenza a scuola, causata spesso proprio dai professori. Più della metà dei ragazzi intervistati, tra i 18 e i 24 anni, ha ammesso di essere stato vittima di un gesto fisico violento da parte dell’insegnante.
La violenza a scuola, infine, può assumere la veste di bullismo tra pari. Il fenomeno è comune in tutto il mondo. In generale, esso si manifesta come un sopruso di diverso tipo: fisico, psicologico, sessuale e attraverso insulti sui social (cyberbullismo). Ciò che contraddistingue ogni tipologia di aggressione sono intenzionalità, persistenza nel tempo e asimmetria nelle relazioni.
Le percentuali di ragazzi vittime di bullismo a scuola variano in base all’appartenenza geografica: 25% in Europa, 31,7% in Nord America, 22,8% In Centro America, 30,2% in Sud America, 41,1% nel Medio Oriente, 30,3% in Asia, 42,7% in Nord Africa e 48,2% nell’Africa subsahariana.
Il bullismo di tipo fisico, caratterizzato da calci, pugni, spinte, è il più frequente in tutto il mondo. Il 16,1% di studenti a livello internazionale dichiara di aver subito queste aggressioni. A seguire, ci sono i soprusi di tipo sessuale, spesso espressi con scherzi e gesti, che coinvolgono circa l’11% degli adolescenti. Il 5,5% dei ragazzi in età scolare afferma di aver subito l’esclusione da giochi e attività, vivendo in una solitudine causata proprio dalla volontà dei coetanei.
Quali sono i motivi scatenanti l’atto di bullismo? Sicuramente ciò che è percepito come diverso. A livello mondiale, al primo posto c’è l’aspetto fisico. Il 15,3% dei ragazzi che hanno subito violenze da coetanei ammettono di essere stati presi in giro per il proprio look. Molto spesso gli studenti presi di mira sono in sovrappeso o presentano elementi fisici di disabilità.
La diversità di razza e di colore della pelle è il secondo motivo che fa scattare un atteggiamento da “bullo”. L’8,2% degli studenti europei, per esempio, dichiara di essere stato vittima di aggressioni per ragioni razziali. In America Centrale la percentuale sale al 10,8% e nei Paesi del Pacifico al 14,2%.
Inoltre, essere più svantaggiati a livello sociale ed economico diventa un motivo di presa in giro e bullismo soprattutto in Europa e in Nord America. Qui lo status familiare influenza l’inclusione tra pari. Se, infatti, i ragazzi vittime di bullismo che appartengono ad un’elevata classe sociale sono il 27,4%, quelli che vivono in famiglie considerate povere, salgono al 40,4%.
Quali conseguenze? Il bullismo segna i ragazzi da più punti di vista. Innanzitutto a livello psicologico ed emozionale. Sentirsi solo, non riuscire a dormire, meditare il suicidio, usare droghe e alcol, sentire un’insoddisfazione generale della propria vita: questi comportamenti e sentimenti sono molto più frequenti tra chi ha subito bullismo.
In ambito scolastico, essere vittima di violenza da parte di pari diminuisce il senso di appartenenza alla scuola, favorendo un numero elevato di assenze e, a volte, l’abbandono della frequenza. In El Salvador, nel 2015, il 23% di studenti tra 13 e 15 anni ha affermato di non essere andato a scuola per più giorni perché si sentiva insicuro. In Etiopia, India, Perù e Vietnam, per esempio, la percezione della violenza da parte degli studenti presi di mira è il motivo principale del loro basso rendimento in matematica e della loro mancanza di autostima.
E l’Italia? Il nostro Paese non è un’isola felice per quanto riguarda il bullismo. Gli ultimi dati, relativi al 2014, rivelano che più del 50% dei ragazzi tra 11 e 17 anni ha subito almeno un episodio offensivo o violento da parte di coetanei. Brutti soprannomi (12,1%), derisione per l’aspetto fisico (6,3%), diffamazione (5,1%), esclusione (4,7%) e gesti fisici violenti (3,8%) sono le ingiurie più frequenti. Nella scuola superiore di secondo grado, sono soprattutto i liceali le vittime di bullismo (19,4%), seguiti da chi frequenta istituti professionali (18,1%) e tecnici (16%).
La soluzione, paradossalmente, può darla proprio la scuola. Solo un ambiente scolastico sano, accogliente ed educativo sulla socialità farà crescere generazioni non violente.