27 Aprile 2024

Messico, le controverse strategie di Obrador contro il crimine

[Traduzione a cura di Elena Intra dall’articolo originale di Patricio R. Estévez-Soto pubblicato su The Conversation]

Quest’estate gli elettori messicani hanno sconvolto lo scenario politico del Paese eleggendo Andres Manuel López Obrador, l’ex sindaco di sinistra di Città del Messico, conosciuto anche come AMLO, con un margine schiacciante. La sua impressionante vittoria deve molto al suo carisma personale e alla retorica populista, ma riflette anche la stanchezza del pubblico nei confronti dell’attuale situazione del Messico e, in particolare, della violenza criminale.

Da lungo tempo un problema per il Messico, la violenza è ora al suo massimo apice. Nel 2017 sono stati oltre 31.000 gli omicidi, il numero più alto mai registrato e quest’anno si preannuncia ancora peggio.

Il mandato di López Obrador inizia il 1° dicembre, ma il suo Governo si è già impegnato a ridurre il crimine violento del 30-50% entro i prossimi tre anni e a portare i tassi di criminalità in linea con quelli dei Paesi dell’OCSE entro sei anni. Per raggiungere questo obiettivo, ha messo a punto tre strategie: affrontare le “cause profonde” della criminalità attraverso la politica sociale, porre fine alla guerra contro il crimine organizzato e riorganizzare le istituzioni di sicurezza.

Una delle idee centrali alla base dell’approccio alla sicurezza di López Obrador è che quando si tratta di combattere il crimine, la politica migliore è quella sociale. Ma mischiare la politica sociale con quella sul crimine è problematico; piuttosto che rimuovere effettivamente le persone da condizioni criminogene, si corre il rischio di generare semplicemente un ammasso di programmi sociali che nella pratica hanno poca influenza sulla criminalità.

Questo è quanto successo durante il mandato dell’amministrazione uscente, quando ogni proposta, dalle lezioni di cucina alla distribuzione di occhiali gratuiti agli studenti, veniva considerata un’iniziativa valida per la prevenzione della criminalità. Questo tipo di programmi politici trascura il fatto che invece la polizia potrebbe effettivamente essere molto efficace nel prevenire il crimine a breve termine.

Il nuovo presidente chiaramente vede le cose in modo diverso. Prevede di lanciare un ampio programma di borse di studio per impedire ai 7 milioni di giovani che non studiano, lavorano o sono in formazione, di unirsi a bande criminali, anche se non ci sono prove coerenti che dimostrino che la disoccupazione giovanile e la povertà sono i principali motori del coinvolgimento nella criminalità organizzata. Sebbene le scarse ricerche su questo argomento siano state condotte proprio in Messico, prove raccolte nel Regno Unito hanno mostrato il contrario: con l’aumento della disoccupazione giovanile e della povertà, la quantità di criminalità commessa in questa fascia di età è in realtà diminuita.

Oltre la guerra alla droga

Su un fronte diverso, il nuovo Governo ha correttamente identificato la guerra decennale alla criminalità organizzata come uno dei principali motori della violenza. Ma se da un lato ha proposto un triplice piano per arrivare alla pace, è improbabile che ciò sia realizzabile a breve termine.

Prima di tutto, López Obrador e il suo team si sono proposti di attuare un processo di giustizia transitoria per interrompere il ciclo di violenza, compresa una controversa amnistia per i trafficanti di droga di basso livello.  C’è ancora molta incertezza su come questo programma verrebbe attuato e non è altrettanto chiaro se effettivamente contribuirebbe a porre fine alla violenza, dal momento che questa tipologia di meccanismi era stata progettata per gestire le conseguenze di conflitti politici ed etnici.

In secondo luogo, con il crescente consenso globale sul fatto che l’attuale regime di proibizione delle droghe sia fallito, il nuovo Governo intende legalizzare la cannabis e la coltivazione dei papaveri da oppio. Tuttavia, la legalizzazione su larga scala della cannabis non è mai stata tentata in un Paese così vasto e complesso – e altrettanto irto di istituzioni povere – come il Messico. Ciò significa che potrebbero passare anni prima che la legalizzazione venga attuata, in quanto prima si dovranno stabilire i quadri normativi e creare le istituzioni necessarie.

Inoltre, la legalizzazione in Messico creerebbe maggiori opportunità di contrabbando di droga negli Stati Uniti, un potenziale vantaggio per alcuni gruppi di criminalità organizzata e un altrettanto potenziale serio rischio per la già travagliata relazione con Washington.

Il neo presidente messicano durante la campagna elettorale. EPA/Francisca Meza

Infine, il nuovo Governo si impegna a formare, entro tre anni, un numero sufficiente di agenti di polizia al fine di rimuovere le forze armate dalla lotta contro il crimine organizzato. Tuttavia, si tratta di un piano che si basa su una stima altamente ottimistica della capacità dello Stato di assumere e formare nuovi agenti di polizia.

Tra il 2015 e il 2016, ci sono stati 133.000 soldati coinvolti nella lotta contro il crimine organizzato; la loro sostituzione richiederebbe almeno 50.000 nuovi agenti di polizia federale specializzati. Ai tempi, il presidente Calderón (2006-2012) aveva impiegato sei anni per reclutare 20.000 poliziotti federali. Il suo successore, Peña Nieto, aveva promesso una Gendarmeria nazionale composta da 50.000 uomini, ma alla fine ha consegnato una forza di meno di 5.000 persone. È altamente improbabile che il nuovo Governo possa fare di meglio.

Reinventare la polizia

Il Governo entrante ha accennato anche ad un’altra riorganizzazione delle istituzioni di sicurezza del Paese. Sebbene abbiano abbandonato il piano di creare una “Guardia Nazionale” che includa sia l’esercito che la polizia, López Obrador progetta di ricreare il ministero della Sicurezza Federale (sciolto dal presidente uscente, Enrique Peña Nieto), allo scopo di formare una nuova forza di polizia incaricata di proteggere le destinazioni turistiche, e sostituire l’agenzia di intelligence del Paese con un corpo completamente nuovo.

È probabile che queste riforme richiedano molto più tempo del previsto, sprecando risorse preziose che altrimenti potrebbero essere spese per un lavoro concreto ed efficace da parte della polizia. E anche se verranno implementate rapidamente, è difficile che migliorino in modo diretto la situazione della sicurezza.

Detto in parole semplici, il Messico è troppo vasto e variegato perchè un controllo centralizzato della politica di sicurezza possa funzionare. Il Governo federale non ha, e non avrà, le risorse necessarie per affrontare adeguatamente la maggior parte dei suoi problemi di criminalità. Un approccio migliore sarebbe delegare la responsabilità agli Stati e ai Governi locali, sfruttando la politica federale per apportare miglioramenti nella polizia locale. Gli istituti di sicurezza richiedono continuità e tempo per maturare, al contrario, piccoli miglioramenti incrementali delle loro operazioni sono una scommessa migliore rispetto a una riprogettazione su larga scala.

La situazione della sicurezza in Messico rimane terribile, ed è probabile che rimanga tale per qualche tempo. La politica sociale può aiutare a ridurre la povertà e migliorare il benessere, ma non rappresenta un sostituto adeguato a una prevenzione intelligente e basata su prove certe del crimine effettuata da una polizia locale ben addestrata. Rimuovere l’esercito dalle strade senza che vi siano ufficiali di polizia idonei a sostituirli potrebbe rafforzare i gruppi criminali organizzati e peggiorare la situazione.

Elena Intra

Laureata in Lingue e successivamente in Giurisprudenza, lavora come traduttrice freelance da dieci anni. Appassionata in particolare di diritti delle donne e tematiche ambientali, spera attraverso il suo lavoro di aiutare a diffondere conoscenza su questi argomenti.

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