29 Marzo 2024

Giornalismo digitale, le news si cercano, senza fiducia, sui social

Gli italiani ultimi in classifica, a livello europeo, per quanto riguarda la lettura delle notizie online.

I dati sono tratti dal rapporto annuale della Commissione europea, che misura l’indice di sviluppo digitale (Desi) in tutti gli Stati Membri.

Ancora peggio della classifica 2017, che vedeva l’Italia nella 26esima posizione, la classifica 2018 consegna al Belpaese la 28esima posizione quanto a lettura di news online, non lasciando dubbi sull’insoddisfazione che gli italiani mostrano rispetto all’informazione sul web: solo il 56% si affiderebbe infatti ai siti di informazione, percentuale di gran lunga inferiore rispetto alla media Ue che si attesta al 72%.

In Italia – scrive la Commissione Ue – la lettura delle notizie online si colloca al di sotto della media Ue, probabilmente come conseguenza del crescente utilizzo di servizi a pagamento da parte dei media“.

Chi è disposto a pagare per le notizie online farebbe infatti parte di una cerchia piuttosto ristretta di lettori (12%).

A lanciare un paywall a consumo era stato all’inizio del 2016 il Corriere della Sera, e forme di modello a pagamento sono state adottate in seguito da La Repubblica e poi anche da Il Fatto Quotidiano, Il Messaggero, La Stampa ed altri.

Una strada che al momento non sembra avere dato i suoi frutti, evidentemente.

Oltre al pagamento di notizie, a frenare la lettura di notizie online ci sarebbe poi anche la concorrenza delle piattaforme social.

Secondo il Digital News Report 2018 diffuso dall’agenzia internazionale Reuters, e condotto su 74mila persone di 37 Paesi, tra cui l’Italia, l’equilibrio del giornalismo digitale sarebbe stato messo in discussione da piattaforme come Twitter, Linkedin o Facebook, il cui uso è comunque diminuito sotto i colpi delle fake news che ne hanno minato la credibilità: soltanto il 23% degli utenti risulta infatti fidarsi delle notizie sui social, rispetto al 44% della fiducia nelle notizie in genere.

Sia come sia, il 65% degli intervistati ha affermato di accedere alle notizie tramite ricerca e social media, anche se vanno fatti dei distinguo fra Paese e Paese.

Secondo il report “gli editori nordici hanno ancora relazioni dirette con i loro lettori, mentre quelli coreani e giapponesi si trovano molto più dipendenti dalle piattaforme di terze parti per accedere alle notizie”.

In generale, sono i giovani che, per aggiornarsi sulle novità del mondo, privilegiano piattaforme come WhatsApp, l’app di messaggistica più utilizzata al mondo con 1,5 miliardi di utenti attivi (che risulta essere scelta addirittura da circa la metà del campione intervistato in alcuni mercati tipo come Brasile o Malesia). E che, secondo i ricercatori, favorirebbe un clima disteso fra quanti discutono di attualità in chat.

Non a caso l’utilizzo di notizie su WhatsApp è quasi triplicato dal 2014 in tutti i Paesi considerati dalla ricerca.

Mentre Facebook – complice probabilmente un cambio di algoritmo avvenuto qualche mese fa, che privilegia contenuti più “intimi” e “familiari” rispetto alle notizie – sarebbe sulla via del tramonto in diversi Paesi, fra cui gli USA stessi, il cui utilizzo rispetto al 2017 risulta calato di ben 9 punti percentuali (fra i giovani si parla di un calo che arriva a toccare quota 20%)

Nel calo dell’utilizzo di Facebook come strumento per apprendere news dal mondo c’entra anche – va da sé – lo scandalo di Cambridge Analityca, che evidentemente ha inciso nella valutazione di affidabilità della piattaforma da parte degli utenti.

La sfida per gli editori – si legge nel rapporto – è ora assicurare che il giornalismo sia davvero rilevante e di qualità”.

Per quanto riguarda l’Italia, anche in questo rapporto risulta avere un suo peso non trascurabile la diffusione delle fake news e la loro ricaduta sul sentimento degli italiani: “Sentimenti anti-establishment e anti-immigrazione – si legge – sono stati alimentati anche dalla diffusione della disinformazione. Notizie false sono state usate, per esempio, per distorcere il coinvolgimento degli immigrati in crimini e nell’accusare i politici italiani di nepotismo”.

Ma anche considerando le fake news un incidente di percorso che non incide sulle fondamenta del giornalismo online, è difficile fare previsioni sul futuro dell’informazione digitale nei prossimi anni. A partire dai finanziamenti e dagli introiti pubblicitari.

Nel report si evidenzia per esempio come nei Paesi del Nord Europa ci sia stato un incremento notevole del pagamento delle news online, mentre si sta affermando anche la linea delle donazioni soprattutto in Paesi come Spagna, Regno Unito e USA.

Il dibattito è tuttora aperto fra i rappresentati delle grandi realtà editoriali. Ciascuno testimone di un’esperienza diversa.

Sia la carta stampata che il digitale – ha detto recentemente Mark Thompson, presidente e amministratore delegato del New York Times – ci portano utili. Entrambi hanno un margine positivo nel nostro bilancio: attualmente il digitale rappresenta circa il 38% del totale dei ricavi, la carta il 62%. Il peso del digitale cresce del 5-6% ogni anno e tra 3 o 4 anni supererà quello della carta”. E ha aggiunto: “Quello che conta è che ora il digitale rappresenta già una significativa fonte di utile, che è più che raddoppiata in 5 anni”.

Il mercato Internet delle news ha mutato i comportamenti del consumatore e “la cosa sorprendente è che la pubblicità ha seguito quel cambiamento dei comportamenti – sono parole di  Richards Gingras, vice presidente di Google News  – E per questo i ricavi dalla pubblicità non esistono più”.

Negli USA oggi non sarebbe tanto la pubblicità ma gli abbonamenti a farla da padrona. Ci sarebbe insomma l’inizio di un mutamento radicale all’interno del sistema editoriale, e non sono negli Stati Uniti. E di cui molti attendono gli sviluppi.

Elena Paparelli

Giornalista freelance, lavora attualmente in Rai. Ha pubblicato tra gli altri i libri “Technovintage-Storia romantica degli strumenti di comunicazione” e “Favole per (quasi) adulti dal mondo animale”.

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