Pensare che gli abusi sessuali sui bambini possano essere considerati parte integrante di un sistema sociale, è davvero difficile da credere. Eppure, in Afghanistan, la pratica del Bacha Bazi è stata per decenni giustificata in ragione di un’antica tradizione culturale, secondo cui “le donne servono per fare i figli, i ragazzi per il piacere”. Solo di recente, il Parlamento ha introdotto, nell’ambito del proprio ordinamento giuridico, una norma volta a vietare espressamente questa grave forma di sfruttamento sessuale minorile.
I Bacha Bazi, letteralmente “ragazzi per gioco”, sono bambini obbligati a esibirsi con abiti femminili in balli e canti erotici per il piacere dei ricchi signori della guerra. Al termine dell’esibizione – che di solito si svolge nel corso di feste private a cui partecipano solo uomini – vengono costretti a soddisfare i più bassi istinti sessuali dei propri “padroni” e dei loro amici. Non hanno alcuna possibilità di ribellarsi: un rifiuto equivale a stupri (anche di gruppo), pestaggi e nei casi più estremi la morte.
I Bacha Baz, ovvero gli autori degli abusi, scelgono, quali vittime sessuali, bambini di bell’aspetto tra i 9 e i 14 anni. Li rapiscono, li sottraggono alle loro famiglie d’origine dietro compenso economico oppure li prelevano dalla strada e dagli orfanotrofi con la promessa di un futuro migliore. E invece, questi innocenti si troveranno a vivere un inferno destinato a protrarsi per anni, almeno fino alla maggiore età, subendo ogni possibile maltrattamento in una condizione di completa schiavitù sessuale.
Non solo, possedere uno o più Bacha Bazi è uno status symbol, che esprime il ruolo di potere rivestito dall’uomo all’interno della sua comunità sociale. Si stima che gli uomini adulti pashtun costituiscano il 55% dell’intera popolazione afghana, di questi circa il 40% è coinvolto nello sfruttamento sessuale dei bambini.
Messa al bando dal regime talebano e riemersa all’indomani del noto intervento militare statunitense, la pratica del Bacha Bazi costituisce una grave violazione dei diritti dell’infanzia riconosciuti da trattati internazionali, di cui lo stesso Afghanistan è parte, in primis: la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Ciononostante, la comunità internazionale, che pur si è tanto adoperata per tutelare donne e bambine dalle violenze sessuali e domestiche, si è mostrata alquanto indifferente rispetto all’abominio perpetrato nei confronti dei bambini afghani.
Se si digita la parola “Bacha Bazi” sulla stringa di ricerca del sito delle Nazioni Unite, si noterà con sorpresa che compiano solo 41 risultati, riguardanti perlopiù dichiarazioni rilasciate nell’ambito dell’ampio dibattito su “bambini e conflitti armati”. Non esiste, infatti, un documento che analizzi in modo specifico e approfondito il fenomeno. I pochi (e recenti) report che menzionano la pratica si limitano a invitare “tutte le parti coinvolte nel conflitto ad assumere immediate ed opportune misure per porre fine e prevenire la commissione di stupri e di altre forme di violenza sessuale contro i bambini, compresa la pratica del bacha bazi”.
Il Palazzo di vetro non ha mai condannato in modo fermo ed esplicito la pratica, contribuendo così a rendere ancora più invisibili le vittime, che già vivono una situazione di isolamento anche dopo essere state liberate dai loro aguzzini. Al termine della loro drammatica esperienza, difficilmente, denunciano le violenze patite. Gli autori degli abusi spesso appartengono all’élite militare, alla polizia locale o sono potenti warlords, di conseguenza le speranze di ottenere giustizia sono quasi nulle dato l’enorme livello di corruzione diffuso nel Paese .
Il docufilm “The dancing boys of Afghanistan” con cui il pluripremiato giornalista afghano-britannico Najibullah Quraishi ha denunciato al mondo occidentale il Bacha Bazi, mostra molto bene questo aspetto del problema.
Viene da chiedersi come mai la comunità internazionale abbia preferito una politica di non-intervento di fronte ad un fenomeno che non risulta solo inaccettabile da un punto di vista morale, ma è soprattutto illecito sotto il profilo giuridico. La pratica, infatti, comprende una serie di gravi violazioni dei diritti umani che vanno dalla pedofilia alla riduzione in schiavitù, passando per lo sfruttamento sessuale.
La ragioni di cotanto disinteresse internazionale sono, forse, da ricercare nella guerra globale al terrorismo. O meglio, nella scelta di dare priorità assoluta alla lotta contro i talebani anche a costo di mortificare i diritti dell’infanzia e senza tener conto delle ripercussioni che una simile miopia comporta anche per la pace e la sicurezza internazionale. Il perdurare del Bacha Bazi, infatti, potrebbe spingere la popolazione afghana a simpatizzare con i talebani, meno propensi ad abusare sessualmente dei ragazzini, vanificando gli sforzi finora fatti per stabilizzare e pacificare il Paese.
L’ex Rappresentante Speciale del Segretario Generale ONU per i minori nei conflitti armati, Radhika Coomaraswamy, in un’intervista del 2009, dichiarava “ogniqualvolta ho parlato agli afghani o alla comunità diplomatica di questo argomento [il Bacha Bazi], le mie parole hanno suscitato solo enorme imbarazzo… soprattutto nei circoli ufficiali”. Addirittura, prosegue, “qualcuno mi ha suggerito di non parlare di questa cosa” perché “prima va affrontata la guerra e poi tutte le altre questioni”. Radhika Coomaraswamy si è comunque battuta affinché il Bacha Bazi non fosse più ignorato dalle Nazione Unite, ottenendo – nel 2011 – la firma di un accordo tra l’ONU e l’Afghanistan, con cui il Governo di Kabul si impegnava a porre fine agli abusi nei confronti dei “ragazzini danzanti”.
Peccato che ci siano voluti ben 6 anni per arrivare a criminalizzare la pratica del Bacha Bazi. Nel frattempo i diritti dei bambini afghani hanno continuato a essere sacrificati in nome della “guerra al terrore”.
I Bacha Baz hanno potuto agire indisturbati e impunti anche grazie alla connivenza da parte degli Stati Uniti. Il New York Times, nel 2015, rivela come la politica delle forze armate statunitensi sia stata improntata sulla tolleranza. Nessuna denuncia, neppure quando gli abusi sessuali si sono verificati all’interno delle basi militari americane. “Di notte, li sentiamo urlare, ma non ci è permesso fare nulla”, dice il marine Gregory Buckley Jr nella sua ultima telefonata al padre prima di morire, concludendo “mi hanno detto di guardare dall’altra parte perché è la loro cultura”.
Il Pentagono nega di aver dato ordini di ignorare la pratica. Ma Washington ordina un’inchiesta. Sono tante le voci secondo cui i funzionari occidentali spesso chiudono un occhio sul Bacha Bazi per non inimicarsi gli alleati afghani, che sono tra i principali autori di questi mostruosi abusi. A gennaio di quest’anno, il SIGAR (Special Inspector for Aghanistan Reconstruction) ha reso noti i risultati del suo lavoro, che avrebbero dovuto rimanere top secret fino al 2042. Nella porzione di report declassificato si legge “non sussiste alcuna prova a conferma del fatto che sia stato ordinato alle forze armate statunitensi di ignorare le violazioni dei diritti umani o gli abusi sessuali sui bambini”.
Buone notizie almeno giungono dall’Afghanistan. Il 14 febbraio scorso, è entrato in vigore il nuovo codice penale, che, tra le altre cose, finalmente proibisce la pratica del Bacha Bazi, prevedendo pene piuttosto severe per gli autori degli abusi, che vanno dai 7 anni di reclusione fino alla pena capitale. La riforma penale è stata accolta con soddisfazione dalle Nazioni Unite. Nel suo comunicato stampa, l’UNAMA (United Nations Assistance Mission in Afghanistan) definisce il nuovo codice “una pietra miliare” che “permette all’Afghanistan di meglio conformarsi alle norme internazionali in materia di diritti umani e giustizia penale”.
Un certo scetticismo circa la reale possibilità di porre fine alla pratica nasce però spontaneo e… forse è d’obbligo!
L’esistenza di una norma, infatti, non comporta automaticamente il venir meno di un fenomeno illecito, specie se così complesso e radicato come il Bacha Bazi. Molto dipenderà dalla concreta applicazione del divieto e quindi dalla capacità dello Stato afghano di garantire giustizia alle vittime ed effettiva attuazione delle pene per gli autori degli abusi. Il percorso sembra lungo e difficile, considerando la molteplicità di fattori che hanno portato al perdurare di tale raccapricciante usanza e gli interessi internazionali in gioco.