25 Aprile 2024

Giustizia archiviata per i desaparecidos del franchismo

È particolarmente preoccupante constatare come la maggior parte delle raccomandazioni fatte [alla Spagna] per consentire ai familiari delle persone scomparse durante la Guerra Civile e la dittatura di indagare sul destino dei loro cari e ottenere verità, giustizia e riparazione, non siano mai state attuate appieno e che tuttora i familiari delle vittime siano di fatto abbandonati a loro stessi. Il dato è ancora più allarmante ove si consideri il tempo trascorso dall’inizio delle sparizioni forzate e dunque l’età avanzata di molti testimoni e familiari delle vittime. Sinora, lo Stato spagnolo non ha agito con la dovuta urgenza e rapidità in materia di sparizioni forzate, né ha assunto un ruolo di leadership per garantire un’adeguata politica statale su questo tema.

Si apre così il report del Working Group dell’ONU sulle sparizioni forzate (WGEID) dedicato allo stato di implementazione, da parte della Spagna, delle raccomandazioni da esso stesso formulate nel 2013 in relazione ai desaparecidos.

Il report del WGEID – pubblicato lo scorso settembre – è solo l’ultimo di una lunga serie di interventi promossi, sia a livello nazionale che internazionale, per esortare il Governo di Madrid a far luce sulla drammatica vicenda dei desaparecidos e adempiere così ai suoi obblighi internazionali in materia di tutela dei diritti umani.

La Spagna è, infatti, tra i Paesi con il maggior numero di desaparecidos, i cui resti non sono stati ancora né recuperati né identificati.

Secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite, sarebbero 114.226 i desaparecidos e circa 30.000 i cosiddetti “bebés robados”, ovvero i neonati sottratti alle madri naturali colpevoli di essere “rosse” e affidati a istituti o famiglie cristiane al fine di ricevere un’educazione cattolica conforme all’allora politica del Caudillo.

Il dato non è però ufficiale in quanto la magistratura spagnola non ha mai svolto un’indagine giudiziaria compiuta per stabilire il numero delle persone scomparse, le modalità con cui avvenivano le sparizioni forzate e la sorte toccata alle vittime.

L’atteggiamento di chiusura delle Corti iberiche nei confronti dei desaparecidos, e più in generale verso i crimini del franchismo, trova il suo fondamento giuridico nella legge sull’amnistia del 1977.

Si ricorderà che al termine della dittatura, la Spagna ritenne opportuno gestire il delicato processo di transizione dal regime alla democrazia attraverso il riconoscimento di un’ampia amnistia, che copriva tutti i delitti politici commessi fino al 1976 in base all’adagio “perdonare e dimenticare”. La Ley 46 /1977, adottata con il consenso di tutte le forze politiche, ebbe quindi il chiaro obiettivo di promuovere la riconciliazione nazionale e garantire al Paese pace, ordine e stabilità.

In effetti, i familiari dei desaparecidos, il linea con il  “pacto de olvido”, per moltissimo tempo non hanno neanche denunciato la scomparsa dei propri cari. Il muro del silenzio inizia a sgretolarsi, nel 2000, con la prima esumazione di una fossa comune a Priaranza del Bierzo ad opera del giornalista Emilio Silva, nipote di un desaparecido e oggi presidente dell’Asociación para la Recuperación de la Memoria Histórica (Armh). Da quel momento, si moltiplicano le associazioni dei familiari che rivendicano il diritto a conoscere la verità sul terribile destino subito dai propri cari svaniti nel nulla.

Le istituzioni spagnole non sono però ancora pronte ad emanciparsi dal passato franchista. E infatti, la tendenza delle Corti è quella di archiviare i casi sui desaparecidos ricorrendo appunto alla legge sull’amnistia, che rimane in vigore anche dopo l’adozione, nel 2007, della legge sulla memoria storica.

Corre l’anno 2008, quando Baltasar Garzón, giudice dell’Audencia National, sfidando il sistema giudiziario e politico spagnolo, dichiara la propria competenza ad investigare sui desaparecidos del franchismo sul presupposto che atti ignobili quali le sparizioni forzate, le torture, le fucilazioni di massa non sono semplici delitti politici bensì crimini contro l’umanità e, pertanto non possono essere coperti dall’amnistia o soggetti a prescrizione.

Questa scelta coraggiosa costa al giudice un’incriminazione per “prevaricazione nell’esercizio delle proprie funzioni”. Il processo contro Garzón provoca una forte reazione da parte della comunità internazionale, che già da tempo chiedeva alla Spagna di abrogare la legge di amnistia del 1977 e garantire la persecuzione dei crimini franchisti.

Per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite: “i giudici non dovrebbero essere sottoposti a un procedimento penale per aver svolto il proprio lavoro” e soprattutto “la Spagna ha l’obbligo, in base al diritto internazionale, di indagare sulle violazioni gravi dei diritti umani, comprese quelle commesse durante il regime franchista, nonché  perseguire e punire i responsabili”.

Hugo Relva, consulente legale di Amnesty International,  aggiungepare che la ricerca della verità, della giustizia e della riparazione per i crimini di diritto internazionale del passato sia tenuta in ostaggio da un processo basato su un’accusa oltraggiosa“, piuttosto “la Spagna farebbe bene a raddoppiare gli sforzi per rivelare la sorte di centinaia di migliaia di vittime di sparizioni forzate, torture, esecuzioni extragiudiziali e alti crimini di diritto internazionale commessi durante la guerra civile e il regime di Franco, e portare i responsabili di fronte alla giustizia“.

La sentenza n. 101/2012 assolve Garzón ma al contempo pone fine alle speranze dei familiari dei desaparecidos di poter avere giustizia in Spagna. Secondo il Tribunale Supremo, infatti, “la ricerca della verità è una pretesa legittima e necessaria” ma questo compito “spetta allo Stato o agli storici, non al singolo giudice“.

I familiari delle vittime tentano anche la via della Corte europea dei Diritti dell’Uomo che, però, dichiara inammissibile il ricorso Gutiérrez Dorado basandosi, tra l’altro, sul fatto che gli eventi in questione si erano verificati prima dell’entrata in vigore della Convenzione europea e le denunce erano state presentate troppo tardi.

Attualmente, l’unico processo al mondo per i crimini del franchismo, comprese le sparizioni forzate, si sta svolgendo in Argentina. La causa, nota come “querella Argentina“, è stata avviata nel 2010 dal giudice María Servini de Cubría in applicazione del principio di giurisdizione universale, secondo cui alcuni crimini sono così orribili da poter essere considerati offensivi per l’intera comunità internazionale e quindi qualsiasi Stato può perseguirli anche in assenza di un collegamento territoriale o di nazionalità con l’autore ovvero la vittima.

Il procedimento sta però incontrando notevoli difficoltà a causa della mancata cooperazione da parte della Spagna, che continua ad opporre alle richieste della magistratura argentina la legge sull’amnistia e la prescrizione dei reati contestati. Il rischio maggiore è la paralisi del processo data anche l’età avanzata di alcuni dei 20 imputati. Ad esempio, il 22 aprile 2017, è morto Jose Utrera Molina, funzionario del regime franchista accusato di crimini contro l’umanità, di cui Buenos Aires aveva chiesto senza successo per due volte l’estradizione.

Intanto, anche il Messico, nel febbraio 2017, ha avviato un’indagine per un caso di “bebè robado”. La quarantottenne Ligia Graciela Ceballos Franco ha presentato denuncia dopo aver scoperto di essere stata adottata da una coppia messicana in seguito alla separazione illegale dai suoi genitori biologici a Madrid.

È ironico che la Spagna – pur avendo dato un contributo sostanziale alla persecuzione dei crimini commessi dalle dittature latinoamericane attraverso l’inquisizione di Pinochet e dei golpisti argentini proprio grazie all’ormai ex giudice Garzón – non sia ancora pronta, dopo oltre 40 anni dalla morte del caudillo e l’instaurazione della democrazia – a pacificarsi con il proprio passato rendendo giustizia alle tante vittime di crimini così spregevoli.

Tiziana Carmelitano

Autrice freelance, si occupa in particolare di temi globali nonché di violazioni dei diritti umani in contesti conflittuali, post-conflittuali e in situazioni di "Failed States". Con un occhio di riguardo per donne, bambini e giustizia transitoria. Il tutto in chiave prevalentemente giuridica. Convinta che la buona informazione abbia un ruolo decisivo nell'educazione al rispetto dei diritti fondamentali e delle diversità.

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