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Dai deserti agli Oceani, l’ambiente che soffre. Ma c’è speranza

Le divulgazioni scientifiche di un gran numero di studiosi riportano conclusioni assai preoccupanti sullo stato di salute del nostro pianeta. Permangono in verità pareri divergenti da parte di alcuni scienziati, ma queste posizioni appaiono sempre più dettate da collusioni coi Governi interessati al profitto ad ogni costo che a una corretta disamina scientifica; è peraltro recente la pubblicazione del documento e appello firmato da oltre 15.000 scienziati di tutto il mondo che fa il punto della situazione e denuncia soprattutto i rischi del cambiamento climatico.

Intanto la desertificazione avanza implacabile: gli spazi coltivabili nell’Africa subsahariana sono sempre più esigui e le città saheliane sono sempre più aggredite dall’incedere delle dune; le zone costiere sono sempre più vittima dell’erosione del territorio (il futuro di numerosi agglomerati, Venezia e New York in primis, ma anche l’arcipelago di Tokelau rischia di essere inghiottito dai flutti, scenario catastrofico a dar credito a simulazioni a tavolino di ipotetici cataclismi); le estati sono sempre più torride (la carenza d’acqua sta mettendo in ginocchio l’agricoltura in numerose regioni del globo); lo scioglimento dei ghiacciai si sta rivelando causa di divergenze geopolitiche (Italia e Confederazione Elvetica probabilmente dovranno sedersi a tavolino per rivedere i propri confini ma la situazione tra India e Pakistan si presenta molto più complessa) e fenomeni di maltempo particolarmente violenti flagellano ormai ciclicamente aree un tempo mai interessate da rovesci e correnti d’aria caratterizzati da una violenza inaudita.

In questo quadro poco edificante vanno considerati anche gli scellerati comportamenti dell’uomo che impattano sulle masse oceaniche. Anche le immense distese di elemento liquido si ritrovano notevolmente pregiudicate da politiche miopi e rapaci.

Il mare, per la sua stessa vastità, è sempre stato considerato alla stregua di un’immensa discarica. Così ai giorni nostri si registrano sovente delle “scoperte” spiacevoli: fusti di scorie nucleari inabissati nel Circolo Polare Artico, enormi quantità di rifiuti plastici che da un lato hanno finito per aggregarsi in macroscopiche masse delle dimensioni di un’isola ma ci minacciano anche in forma di microplastiche, fuoriuscite di greggio che danneggiano irreparabilmente l’ambiente, lo sfruttamento insostenibile dell’attività di pesca.

L’estensione delle barriere coralline di tutto il mondo ha subito un drastico ridimensionamento a causa dell’inquinamento e del riscaldamento globale
Immergendosi in Indonesia capita a volte di imbattersi, a ridosso della riva, in vere e proprie discariche di rifiuti. Ciò che stupisce è la presenza tra i rottami di creature meravigliose e coloratissime, che fanno dimenticare almeno per un attimo la desolazione del contesto

Il fenomeno è divenuto così macroscopico che al di là degli ambientalisti che combattono Golia anche molte persone comuni hanno cominciato ad interessarsi al problema. Tra queste vi sono i subacquei.

Il comparto turistico dedicato alla subacquea ha subito un incremento notevole negli ultimi anni e le sempre più numerose attività che si svolgono nelle profondità marine hanno finito per scoperchiare il vaso di Pandora. È ormai chiaro che la questione va affrontata ad un livello che non può più essere quello delle manifestazioni di piazza. I Governi di tutti i Paesi devono ricercare soluzioni comuni che trovino il giusto equilibrio tra lo sviluppo economico e il rispetto del teatro della vita della specie umana. Il problema, fin qui abilmente nascosto sotto il tappeto, si sta manifestando nelle sue conseguenze più nefaste.

Molti Governi insistono nel fare orecchie da mercante. È il caso soprattutto dei Paesi affacciati sulle coste del Mar Rosso, i cui organi di Governo hanno stipulato vantaggiosissimi (per le loro tasche si intende) accordi commerciali con delle corporation che gestiscono imbarcazioni da pesca di dimensioni colossali, alle quali è stato di fatto concesso di procedere alla pesca in alto mare senza limite alcuno, il che si traduce di fatto in uno sterminio sistematico della fauna marina. Nei mercati ittici di Port Sudan e Aden, giusto per citare gli esempi più eclatanti, le carcasse sventrate di squali martello, squali grigi e squali toro sono una mortale ferita al cuore per qualunque subacqueo.

In questo fosco quadro vi sono anche segnali di speranza: i plenipotenziari indonesiani, che pure negli anni passati si sono resi protagonisti di arbitrarie requisizioni territoriali, con diversi resort situati a ridosso di aree rinomatissime per la subacquea espropriati nel giro di poche ore dall’esercito nazionale per permettere lo sfruttamento industriale delle risorse situate in quei pressi, hanno cominciato a cambiare registro.

Laddove la popolazione locale faceva strage di mante, mobule e squali balena (per meri fini di sostentamento, è vero, ma sempre di pesca non regolamentata si trattava) sono stati approntati programmi di educazione ambientale e attività turistiche finalizzate all’osservazione degli stessi. La gente oggi espleta un’attività lavorativa non più massacrante e guadagna di più; i turisti godono – e pagando reggono il sistema così concepito, il Governo lucra con un sistema fiscale non certo incentivante e tutti sono contenti. Un controllo che comincia a farsi un po’ più rigoroso sullo smaltimento dei rifiuti in plastica aggiunge un’ulteriore connotazione positiva ad un cambio di rotta atteso da tempo.

Ma è nell’Oceano Pacifico che, probabilmente, si stanno ottenendo i risultati più soddisfacenti. Al largo della Costa Rica e dell’Ecuador si incontrano rispettivamente Isla del Coco (le cui foreste brumose sono state immortalate dalla sequenza d’apertura della pellicola “Jurassic Park” di Spielberg) e l’arcipelago delle Isole Galapagos.

Gli squali martello sono l’attrazione principale di Isla del Coco: nei mesi estivi centinaia di esemplari convergono nelle acque profonde che circondano l’isola portati dalle correnti oceaniche per la gioia dei subacquei

I due Paesi, già ricchi di bellezze naturali, hanno puntato decisamente sul turismo sostenibile per creare nuovi posti di lavoro e le normative di tutela ambientale approntate a riguardo sono fatte rispettare severamente. Ranger autoctoni con l’ausilio di associazioni ambientaliste svolgono costantemente attività di monitoraggio per mantenere l’integrità di questi piccoli Eden che richiamano (a prezzi elevati) frotte di turisti da tutto il mondo.

In particolare l’associazione Turtle Island Restoration Network ha stipulato specifici accordi con il Governo per poter inviare a cadenza bimestrale a Isla del Coco biologi marini incaricati di verificare che i politici di San Josè mantengano gli impegni sottoscritti coi cittadini per contrastare la pesca di frodo, un’attività che si accompagna al censimento continuo delle locali colonie di squali martello, squali galapagos, squali tigre, squali balena e delle diverse specie di tartarughe presenti e a quella di studio delle rotte migratorie di tutta la fauna marina presente nei fondali del santuario marino.

I risultati di questi studi, aggiornati costantemente, sono a disposizione dei cittadini e dei Governi di tutto il mondo allo scopo di sensibilizzare chiunque alle tematiche ambientali ma soprattutto come monito relativo al rischio che gli ecosistemi marini, sempre più fragili e minacciati, risultino danneggiati irreparabilmente dalla stoltezza e dalla assoluta mancanza di lungimiranza dei politici contemporanei.

L’eccezionale biodiversità di Isla del Coco e delle Isole Galapagos prevede incontri ravvicinati non solo con squali di grossa taglia ma anche con granchi dalle forma e tonalità bizzarre, aggressive murene e giocosi leoni marini – questi ultimi però limitatamente all’arcipelago ecuadoregno

[Tutte le foto sono state scattate da Giuseppe Caridi]

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