Site icon Voci Globali – Africa, giustizia ambientale e sociale, diritti umani

“Risveglio”, la vita del carcere raccontata dai detenuti

Pietro Benedetti nel film "Risveglio"
Pietro Benedetti nel film “Risveglio”

La cinematerapia è una terapia psicologica, nata dallo psicoterapeuta statunitense Gary Salomon, che considera la valenza terapeutica della visione di un film che, in qualche modo, rappresenta sullo schermo il disagio di chi guarda.

Liberare le emozioni attraverso l’abbattimento di ogni filtro fra sé e la storia raccontata, e lasciarsi coinvolgere dalla narrazione che riproduce, frammento dopo frammento, le nostre inquietudini: in una parola, entrare più profondamente nel cuore del proprio malessere e ripercorrerne il sentiero serve ad aumentare la consapevolezza del proprio sentire, utile a trovare la strada per la guarigione.

Se poi la cinematerapia non si limita alla visione di un film, ma mette direttamente in scena la propria condizione di disagio, l’effetto, va da sé, è potenziato.

È quanto è successo con il film “Risveglio” con la regia di Pietro Benedetti, che interpreta anche il protagonista: dal laboratorio “Un cielo fra le sbarre” realizzato con 37 detenuti del nuovo Istituto penitenziario di Civitavecchia. Ne è nata una pellicola che racconta, dal di dentro, la vita della prigione in una quotidianità passata fra la condivisione di un caffè, una partita di carte o di pallone.

La condizione di costrizione fisica, affettiva e intellettuale viene “riscattata” dall’elaborazione della propria esperienza tradotta in una storia costruita collettivamente: due incontri a settimana per un totale di 5 ore a settimana e 20 ore al mese; un progetto importante che ha visto i detenuti protagonisti di un laboratorio di 5 mesi e mezzo per 100 ore complessive divise in laboratorio di scrittura, recitazione, ripresa video, montaggio, creazione di colonne sonore e confezione del prodotto finale.

 

Un work in progress che ha messo al centro del progetto l’ascolto dinamico come motore della produzione di storie, delle proprie storie, da condividere anche con un pubblico, quello che sta oltre le sbarre.

Il film – 56 minuti – realizzato grazie alla collaborazione fra la Casa circondariale di Civitavecchia e l’Associazione culturale Real Dreams, inizia raccontando l’amicizia fra chi è entrato in carcere per sbaglio pur essendo innocente – Pietro Benedetti, che è anche il regista del film – e chi sta scontando una pena.

L’esperienza della detenzione crea molto presto un clima di familiarità e supporto fra i detenuti, e il protagonista, inizialmente preda della disperazione, si sente “integrato”.

Davide Boninsegna, dell’Associazione culturale Real Dreams, che del film ha curato il montaggio e la sceneggiatura, ci racconta come è andata.

Essenzialmente –  spiega a Voci Globali la sceneggiatura l’ha scritta Pietro Benedetti con i detenuti durante il laboratorio. Da loro Pietro ha saputo tirar fuori le loro sensazioni e i loro sogni, che sono stati usati per confezionare la storia. La conoscenza detentiva vissuta in prima persona è stata indispensabile per raccontare la vera vita di un detenuto senza cose inventate, ma fedeli alla realtà“.

Rispetto alle immagini del carcere a cui siamo abituati – quelle cioè che ritraggono un’istituzione fatta di soprusi e violenze – in questo film si sottolinea l’aspetto di umanità e collaborazione fra i detenuti.

Sentendo parlare i detenuti che hanno partecipato al laboratorio credo siano davvero solidali anche nell’affrontare la vita carceraria ogni giorno” – dice Davide . “E comunque, parlando nello specifico del nostro film hanno tutti mostrato un fervido interesse e una grande partecipazione. Vedendoli così attivi e propositivi viene proprio da pensare che occorrerebbe trovare le chiavi giuste per ‘toccarli’ adeguatamente in modo da trasformare il carcere in un luogo di vera rieducazione“.

Da un punto di vista stilistico si è scelto di tenere la telecamera piuttosto ferma, senza troppi primi piani, con stile il più possibile documentaristico. L’effetto “realtà” funziona, non c’è bisogno di enfasi per far arrivare lo spettatore “dritto” al problema.

Esattamente, niente fronzoli, ma il più possibile vicini alla realtà di vita del carcere“, conslude Davide.

E la colonna sonora è davvero in linea con il lavoro: “Viva” di Enrico Capuano, che dà il titolo anche al suo ultimo lavoro discografico prodotto da Blond Records.

Exit mobile version