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Valogno, il piccolo borgo dei murales e delle porte aperte

Quanti saranno in Italia i borghi dimenticati, abbandonati, sconosciuti… Poi, all’improvviso per qualcuno di essi qualcosa succede, cambia, si muove. Mai per caso. Occorre un’intuizione, occorre rischiare. È così che è accaduto a Valogno, piccolo paesino arroccato tra montagne e tufo vulcanico, in provincia di Caserta.

A Valogno non ci sono supermercmati, non ci sono farmacie, non ci sono bar. Ma ci sono tre chiese e in tutte si fa messa.

Ma a Valogno, soprattutto, c’è colore, armonia, storie raccontate sui muri. Murales. Prima uno, due, tre, oggi decine. Di artisti locali, ma anche internazionali. E donne, soprattutto. Parlano di favole, di immaginazione, ma anche della storia d’Italia, di eroi e di briganti.

Foto di Cristina Passalacqua

E così, grazie all’arte e ai colori, il paesino ha ricominciato a popolarsi. Di gente che torna, di chi vorrebbe venirci a vivere, di turisti anche. Un turismo diverso, a cui bisognerebbe trovare un altro nome. Fatto di incontro, scambi e condivisione.

Arrivi e questo paesino di 90 abitanti, con una media di 65 anni, ti apre le porte. Letteralmente.

Ti viene incontro Giovanni Casale, alle spalle la professione di psicologo, che a un certo punto, insieme alla moglie Dora, ha deciso di dare una svolta alla sua vita. Ha chiuso la casa di Roma dove abitava e ha aperto quella di famiglia, a Valogno. Non solo per sé ma per tutti, per chiunque voglia pensare ad una diversa impostazione della vita. Qui si condividono le esperienze, le storie, e persino il pranzo. Pranzo condiviso, è la formula e vuol dire invitare i “turisti” a pranzare allo stesso tavolo, nella sala di casa, accanto al fuoco del camino.

Giovanni Casale, ideatore del progetto di “risveglio” di Valogno. Foto di Antonella Sinopoli

E mentre Giovanni racconta la storia di questo paese (e lo scopo dell’Associazione Il Risveglio Valogno-Sessa Aurunca) ti perdi in un’altra narrazione, quella dei 42 murales che rivestono i muri dei vicoli e delle arcate. Non quelli storici, però. Quelli che il passato lo custodiscono tra interstizi e tufo. Quelli che non sono crollati neanche con il terremoto dell’80, quelli costruiti tra il Settecento e l’Ottocento, e che vengono preservati gelosamente. A volte con cura, altre volte no. Ma restano comunque lì, immutabili.

Foto di Cristina Passalacqua

Giovanni ha voluto invece che si lavorasse sullo scempio dei mattoni e dell’intonaco e così ha chiamato a raccolta una serie di artisti a ridare anima e vita al piccolo borgo, che è frazione di Sessa Aurunca. A Valogno il 95% delle case è ormai disabitato, ma sembra che il vento stia cambiando. Gente arriva, si informa, immagina investimenti e attività commerciali, e anche di acquistare casa in questo paradiso solitario e in qualche modo fermo nel tempo.

Foto di Cristina Passalacqua

Gente arriva pensando di fare una gita – vista la notorietà che sta cominciando a investire questo luogo e i suoi promotori – e si ritrova in casa degli abitanti. Non serve un invito formale, porte e portoni sono aperti. È aperta quella di Angelo Mazzeo, avvocato, che ha lavorato per anni alla ristrutturazione della casa dei genitori. Oggetti e mobili antichi si incontrano con le tecniche architettoniche più avanzate secondo una filosofia semplice: “dal bello bisogna togliere il brutto“. Restauro vuol dire anche rispettare l’esistente e recuperare. Vuol dire dare dignità a ciò che frettolosamente si definirebbe vecchio.

Foto di Cristina Passalacqua

Anche la porta di Alex Treglia è spalancata, dà sulla sua bottega. Là dove lavora il ferro, il fil di rame, il legno. Là dove, anche lui, tra una pausa e l’altra, disegna murales. Lo è quella di zio Raffaele – qui lo chiamano tutti così -. Lui ha 85 anni e da Valogno ha visto andare via tanta gente, quasi tutti, ma lui è rimasto. “Negli anni ’40 – ci racconta – c’erano circa 500 abitanti, poi nel ’56 è cominciata la grande migrazione verso il Belgio e altre città europee in cerca di lavoro“.  Nessuno è più tornato. Lui, invece è rimasto, a coltivare rose e a fare vino. “Ci sono stati tempi in cui ne producevo 200 barili da 44 litri all’anno“.

Zio Raffaele, 85 anni, non ha mai lasciato Valogno. Foto di Antonella Sinopoli

Chissà, forse un giorno, ci sarà bisogno del suo vino, se qualche giovane intraprendente dovesse decidere di aprire qui un ristorante. Certo, il pranzo condiviso rimarrà sempre una scelta, con la signora Luigia, 82 anni, impegnata ai fornelli mentre si domanda perché insistiamo a fare tante foto. Lei, nel frattempo, mette tutti a tavola.

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