Trump e Brexit, giornalismo di qualità per evitare nuovi errori

[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di  pubblicato su The Conversation]

Donald Trump in un discorso ai suoi sostenitori in un comizio elettorale al Veterans Memorial Coliseum, a Phoenix, in Arizona. Immagine ripresa da Flickr. Alcuni diritti riservati.
Donald Trump in un discorso ai suoi sostenitori durante un comizio elettorale al Veterans Memorial Coliseum, a Phoenix, in Arizona. Immagine ripresa da Flickr/Gage Skidmore, alcuni diritti riservati.

All’indomani dell’elezione di Donald Trump, i media americani si sono ritrovati immersi in una pioggia di autocritiche.  Lo stesso era accaduto per i media britannici con riferimento al referendum riguardante l’uscita dall’UE.

Non c’è dubbio che le due grandi campagne politiche del 2016 abbiano messo in forte risalto gli errori sia dei media tradizionali che quelli digitali. Tuttavia, una campagna elettorale che ignora i fatti reali per dare adito a iperboli ed emozioni si è rivelata un successo così grande che possiamo aspettarcelo ancora – e pertanto è necessario che i media si regolino meglio in futuro. I problemi sono molto più complessi rispetto alle semplici accuse di pregiudizio liberale ed elitarismo, sebbene anche questi elementi rientrino nella questione.

Innanzitutto, i grandi media sono diventati troppo facilmente parte della grande bolla politica e di notorietà e così tendono a dimenticare che il giornalismo è fatto per essere un’attività “estranea” – ma al di fuori delle aule del potere, non delle proprie comunità. Il richiamo della celebrità ha portato troppi giornalisti tra le braccia di coloro che invece dovrebbero sfidare e controllare. La vera indipendenza – politica, sociale e culturale – è rara e difficile. E va apprezzata proprio per questo motivo.

Molti media ormai trascorrono troppo tempo a parlare a sé stessi e non alle proprie comunità. Ciò è particolarmente vero per quei commentatori che costruiscono dibattiti tra di loro, o per quelle trasmissioni in cui gli inviati riportano opinioni dei politici riguardo ad eventi che accadono in Paesi lontani. Ma non sarebbe più utile intervistare i diretti interessati? Si dovrebbero chiarire gli eventi ai telespettatori e dovrebbe essere dimostrata la competenza specialistica dei giornalisti. Ma ormai, molto spesso i media non fanno che rafforzare la distanza: sia geografica che sociale.

La stampa, come la conosciamo noi, sta attraversando un intenso cambiamento economicoLe tariffe pubblicitarie stanno precipitando e i ricavi digitali non stanno crescendo abbastanza velocemente da riuscire a colmare il deficit. Le conseguenze sono risultate in consistenti tagli di cronaca e il crollo di notizie locali sia negli Stati Uniti che, in larga misura, nel Regno Unito.

La maggior parte dei servizi giornalistici viene dunque realizzata sempre più dal desktop e sempre meno sul posto. Questo significa che il fatto di alzare le antenne e cercare di comprendere veramente i cambiamenti sociali non esiste praticamente più. Il parlare facile ha avuto troppo spesso la priorità sulla raccolta di notizie perché risulta più economico – ma questo non vuol dire essere ben informati. E durante le elezioni tutto questo ha contribuito a un inasprimento del dibattito. Ci si è affidati in maniera eccessiva al telefono e ai sondaggi online, che – come si sa – si sono rivelati inaffidabili.

Bob Woodward e Carl Bernstein al funerale del celebre Washington. Post Editor. Ben Brodlee. EPA/Jim Lo Scalzo.
Bob Woodward e Carl Bernstein al funerale del celebre redattore del Washington Post, Ben Brodlee. EPA/Jim Lo Scalzo.

La cronaca non è riuscita ad affrontare compiutamente il problema della diversità – economica (o sociale) tanto quanto la questione razziale. Il giornalismo è diventato una professione borghese per lo più dei bianchi, con meno possibilità di farlo per coloro che non hanno collegamenti, quindi fonti, in questo ambito. Questo rafforza la limitatezza di vedute, nel modo di pensare e di agire – non solo per quanto riguarda le linee politiche.

Allo stesso tempo, mentre i media tradizionali si fanno la guerra tra loro, i social media sono cresciuti. Tuttavia – anche in questo caso – considerando le due campagne elettorali, i loro difetti sono più evidenti che mai. Facebook è stato descritto come una “fonte di disinformazione“, Twitter come una calamita per violenza e divisioni. E attraverso l’uso degli algoritmi hanno creato una sorta di camere d’eco sigillate, in cui i lettori vengono sfidati raramente da opinioni diverse. Tutto ciò non può che condurre a ulteriori divisioni.

Internet ha permesso a chiunque di partecipare al dibattito pubblico, e c’è da essere contenti di un ambiente mediatico più democratico – ma questo ha anche portato a diffondere informazioni sbagliate (a volte per ragioni commerciali, spesso per motivi politici). Cosa che, naturalmente, è diventata deleteria.

Profonde divisioni

Più in generale, il giornalismo tradizionale si basa sugli ideali illuministici del basarsi sui fatti e sulle prove, favorendo dibattiti aperti. Gran parte di questo approccio (sebbene non completamente) cerca di operare attraverso compromessi. Tuttavia la via di mezzo ha lasciato il posto a una serie di discussioni politiche sempre più scisse – “o sei con noi o contro di noi”. E il giornalismo, cercando di essere obiettivo, può trovarsi, di conseguenza, nella parte sbagliata di ogni dibattito.

Controllo delle notizie: troppe informazioni restano incontestate. Stefan Rousseau PA Wire/PA Images
Controllo delle notizie: troppe informazioni restano incontestate. Stefan Rousseau PA Wire/PA Images

Molti commentatori hanno rimproverato i tentativi di imparzialità dei media definendoli come falsa obiettività in un dibattito politico asimmetrico – ad esempio dedicare tanto tempo alla storia delle e-mail di Hillary Clinton quanto ai molti scandali legati a Donald Trump. Ci sono solo due risposte a tutto questo: o schierarsi, oppure rafforzare il difficile giornalismo indipendente. Quest’ultimo forse non avrà molto successo ma in futuro potrebbe essere considerato il migliore.

Che cosa bisogna fare?

Se riteniamo che il giornalismo serio sia un bene pubblico che sostiene una democrazia forte (e oggi ci sono molte persone che contestano questo aspetto) che cosa dovrebbero fare allora i media?

Alcuni ignorano la verifica delle notizie (fact checking) considerandolo una pedanteria – tuttavia i fatti rappresentano la sostanza. Il giornalismo dovrebbe essere un’attività in prima linea, non lasciata in disparte in un angolo di un sito Internet. In realtà la collaborazione nella verifica delle notizie può aiutare ad aumentare il prezzo della menzogna in politica – che attualmente è davvero a buon mercato.

Dovremmo fare delle ricerche e capire il funzionamento delle camere d’eco online al fine di trovare il modo per entrarvi. L’esposizione mediatica nei confronti di altri punti di vista sostiene la riflessione e costruisce la tolleranza e la comprensione.

Ad esempio, potremmo investire nell’alfabetismo mediatico per combattere lo tsunami delle informazioni sbagliate – la maggior parte delle quali sono state volutamente utilizzate come arma – che confondono e ingannano il dibattito pubblico.

Abbiamo bisogno di lavorare sodo per trovare dei validi modelli di business – o mezzi per finanziare le informazioni di interesse pubblico – per un giornalismo diverso e serio al fine di rafforzare gli spazi pubblici per il dibattito.

In un’epoca in cui i media sono pesantemente criticati da tutte le parti coinvolte in queste campagne, ciò deve rafforzare il rigore, l’indipendenza e la sfida. Agire diversamente conduce a un ritorno alla stampa scandalistica del passato.

Luciana Buttini

Laureata in Scienze della Mediazione Linguistica e Specializzata in Lingue per la cooperazione e la collaborazione internazionale, lavora come traduttrice freelance dal francese e dall'inglese in vari ambiti.

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