Democrazia aperta, nuove forme politiche nell’era di Internet

[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Pìa Mancini e Manuel Nunes Ramires Serrano pubblicato su openDemocracy]

Pìa Mancini e Daniel Innerarity durante la conferenza "Che cos'è la democrazia?" al Teatro Sao Luiz a Lisbona. Nuno Ramos. Tutti i diritti riservati.
Pìa Mancini e Daniel Innerarity durante la conferenza “Che cos’è la democrazia?” al Teatro Sao Luiz a Lisbona. Nuno Ramos. Tutti i diritti riservati.

La democrazia è in continua evoluzione. Se si fermasse, non sarebbe più tale. Secondo Pia Mancini, spetta alla nostra generazione aggiornarla. Intervista all’attivista e co-fondatrice del partito Net Party in Argentina.

Manuel Serrano: Che cosa puoi dire ai nostri lettori circa lo stato della democrazia in America Latina, la svolta a destra in diversi Paesi nella regione e, in particolar modo, nel tuo Paese, l’Argentina?

Pía Mancini: Credo che questa svolta a destra abbia a che fare con un sistema politico che sta cercando di rispondere, fallendo, alle esigenze di una società che è cambiata. Penso che, almeno in alcune parti dell’America Latina, stiamo tramandando la logica del populismo, una situazione che mi preoccupa davvero molto. Non sono d’accordo con la proposta di Chantal Mouffe secondo la quale al populismo di destra dovrebbe essere opposto quello di sinistra. Ho vissuto in Argentina durante tutta l’era Kirchner e i populismi di sinistra mi spaventano tanto quanto quelli di destra. Il populismo è populismo. Mi sembra che l’America Latina si sia sempre mossa come un pendolo. Abbiamo vissuto attraverso varie forme di governo nella regione – governi militari, il ritorno della democrazia, l’ascesa del neoliberalismo negli anni Novanta seguito dal populismo di sinistra, e ora, di nuovo un ritorno alla destra. Tutte queste forme di governo si sono protratte per periodi di tempo molto simili. Credo che il nostro assomigli molto a un movimento pendolare. Ci sono dei cicli, e l’elezione di Macri nel 2015 è la risposta a 12 anni di inasprito populismo di sinistra, completamente corrotto, che alla fine di sinistra non aveva un bel niente, solo il nome. Le persone nel governo erano le stesse che, negli anni Novanta, avevano votato a favore delle riforme neoliberali, perciò possiamo affermare che il loro populismo non era altro che un espediente per impadronirsi del potere.

MS: In questa conferenza a Lisbona insieme a Daniel Innerarity avete affrontato la questione se “la maggioranza abbia sempre ragione” e, a tal proposito, avete parlato di “rappresentanza dinamica”. Che cosa intendi con questo?

PM: Questo è ciò che mi interessa di più in questo momento. Il nostro concetto consolidato di rappresentanza è sia verticale che territoriale. In sostanza, ciò che ci viene chiesto di fare in qualità di cittadini è di rinunciare al nostro potere decisionale, di delegare la nostra cittadinanza a un gruppo di professionisti che costituisce la classe politica, una corporazione, e concedere posizioni di potere per 4, 5, o 6 anni – dipende, ed esclusivamente in relazione al territorio in cui viviamo. Quindi, ciò che stiamo proponendo è di cambiare questa logica e pensare a un concetto rappresentativo dinamico, a una situazione molto più sofisticata – una situazione in cui non dovrei dare tutto il potere a qualcuno. Ad esempio, potrei dire che mi fido di quest’uomo che lavora in un ospedale pubblico da 25 anni, e voglio che sia lui a decidere in merito alle mie questioni di sanità pubblica. Oppure mi fido di quest’altra persona, un costituzionalista che nello svolgere il suo lavoro è il migliore. Questo è un gioco a cui possiamo giocare, una sottigliezza che ora è possibile grazie alla tecnologia.

MS: Sostieni quindi che l’uso della tecnologia incoraggi il cambiamento politico e ricarichi la democrazia. In che modo possiamo aggiornare la democrazia nell’era di Internet?

PM: Oggi siamo governati da istituzioni politiche che hanno preso forma in un dato momento nel passato – un tempo che non è il nostro presente. Le istituzioni non sono create nel vuoto, esse rispondono a una determinata tecnologia, a uno specifico insieme di valori, a una particolare formazione, a una certa visione del mondo e a un concetto di cittadinanza che è radicalmente cambiato da quando è stata concepita la democrazia rappresentativa. Non siamo condannati in alcun modo a vivere sotto queste istituzioni politiche, perché queste dovrebbero essere quelle che scegliamo di dare a noi stessi in quanto cittadini. E credo che oggi ci troviamo in un momento storico in cui possiamo – ed è anche nostra responsabilità come generazione – riconsiderare queste istituzioni politiche con l’aiuto della tecnologia, e con il livello di partecipazione e formazione di cui godiamo.

MS: Rispondendo a una domanda da parte del pubblico, hai affermato che ci troviamo di fronte a un cambiamento di paradigma, non solo un mutamento nelle tecniche democratiche. Ce lo puoi spiegare?

PM: Non è questione di cambiare il sostegno o il mezzo, è in effetti un cambiamento di paradigma. Si tratta di riconsiderare le istituzioni democratiche e il tipo di democrazia che vogliamo. La democrazia è sempre un’attività in corso, è in continua evoluzione. Se si fermasse, non sarebbe più una democrazia – diventerebbe dispotismo. Quindi, spetta a noi come generazione, è il nostro ruolo nella Storia.

MS: Puoi farci qualche esempio?

PM: Questo è quanto accaduto in una certa misura in America Centrale, ad esempio, dove le rivendicazioni agrarie da parte dei popoli nativi si sono spostate improvvisamente al centro della scena della discussione e dell’agenda pubblica grazie al sostegno massiccio della classe media urbana riunita attraverso i social network. In Ecuador, il progetto Buen Conocer è riuscito a recuperare le antiche conoscenze, riportarle nel presente, e coinvolgere il governo, le comunità, e gli hacker in un spazio in cui si sono definite le politiche pubbliche. Le infermiere nella città di Buenos Aires sono un altro esempio. Attraverso l’uso della tecnologia, sono riuscite a rendere visibili le loro richieste e a far approvare un disegno di legge attraverso il Congresso. La tecnologia sta dando vita a nuovi cittadini e attori autodidatti che riescono a partecipare alla sfera pubblica attraverso altri mezzi.

MS: Pensi che fornire informazioni ai cittadini e ascoltare ciò che hanno da dire sia sufficiente? Non sarebbe necessario estendere la rivoluzione tecnologica alla formazione, in modo da avere cittadini critici e partecipativi?

PM: L’eterna domanda della preparazione! L’unico modo per imparare è facendo. Se i cittadini non hanno una buona preparazione, ciò è dovuto unicamente al tipo di istituzioni politiche che abbiamo, le quali sono solo preoccupate per la partita tra professionisti dello spazio pubblico, e nient’altro. Tutto il resto della società deve rimanere nello spazio privato, poiché non sono preparati per partecipare. Così, siamo abituati ad accettare questa nozione secondo cui noi, in quanto cittadini, non siamo preparati. Bene, c’è un solo modo per uscire da questa situazione, ovvero aprire uno spazio dove prendere decisioni, sperimentare, imparare, capire il funzionamento di queste dinamiche e reimparare.
L’intero sistema della democrazia moderna è orientato ad assicurarsi che le masse non partecipino. Quindi, le masse non sono preparate. Abbiamo poi un gruppo di soggetti che si dedicano completamente ad essa, mentre il resto della popolazione si dedica alla propria attività economica privata. Il risultato è il tipo di cittadini che abbiamo: cittadini che non hanno mai partecipato. La loro partecipazione si limita a votare ogni quattro anni. Questo è molto semplice.

MS: E quale pensi sia il ruolo che i media dovrebbero svolgere circa la partecipazione dei cittadini?

PM: C’è un’eccessiva semplificazione di tutte queste domande, e come si suol dire, i media sono disorientati come un “turco en la neblina” [completamente disorientati, NdT]. Capisco benissimo che hanno un compito difficile da svolgere, soprattutto da quando sono sotto l’assedio dei social network e della pluralità dei mezzi d’informazione che sono stati generati. Il loro modello di business è antico e in decadimento, e tendono sempre più a copiare ciò che vedono funzionare, in particolare i social network.

MS: Quali strumenti abbiamo per far fronte al populismo? Il fatto che la tecnologia possa essere utilizzata per scopi negativi ti preoccupa?

PM: È la vera natura della tecnologia. Prendiamo le stampanti 3D: non dovremmo averle poiché queste possono stampare armi da fuoco. Sì, ok, ma si può anche stampare una protesi al prezzo di 50$ invece di 50.000$. Chiaramente, la tecnologia non è neutrale. Può essere utilizzata per diversi scopi, e io credo che la moneta sia ancora in aria. Peggio ancora, la tecnologia non viene percepita pericolosa, anche se viene utilizzata dai governi per fornire informazioni, per spiarci. Quindi, penso che la questione del vinca il “buono” o il “cattivo” non sia stata ancora risolta.

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Il Teatro São Luiz a Lisbona, durante la conferenza “Che cos’è la democrazia”. Nuno Ramos. Tutti i diritti riservati.

MS: Tu ora vivi negli Stati Uniti. Che cosa pensi della possibilità che Donald Trump diventi il prossimo presidente? Qual è la tua analisi dell’attuale situazione politica negli USA?

PM: Si tratta di una situazione molto polarizzata. Dal momento che morirò ottimista, penso che Trump non vincerà. Tuttavia credo che il Partito Repubblicano si sia balcanizzato. Trump è il risultato di una radicalizzazione del sistema, di uno sfruttamento delle risorse del sistema – un sistema che non ha nulla a che vedere con le richieste dei cittadini. Questo è il punto dove siamo. Sinceramente spero che Trump perderà. Spero che perda, perché è pericoloso.

MS: Ultima domanda. Cosa pensi della vittoria del “No” in Colombia? Cosa ne pensi del referendum come uno strumento democratico?

PM: Credo che ciò che è avvenuto in Colombia, così come ciò che è successo in Gran Bretagna con la Brexit, abbia a che vedere con le élite politiche che vogliono risolvere i loro conflitti interni attraverso i cittadini proponendo una falsa dicotomia tra “sì a tutto” e “no a tutto” su questioni molto più complesse. Ciò che abbiamo fatto a Democracy Earth, l’organizzazione di cui faccio parte, è stato un plebiscito digitale sull’accordo di pace in Colombia. Tuttavia l’abbiamo suddiviso in diverse clausole: 4 clausole sono state votate a favore, e una è stata votata pesantemente contro – quella che affermava che avrebbero dovuto dare alle FARC la possibilità di diventare un partito politico. Il che viene a dimostrare, alla fine, che il pubblico è pronto per una discussione molto più sofisticata rispetto al semplice “sì” o “no” proposto dal governo. Hanno giocato per tutto o niente e hanno perso. La vittoria del Sì è stata del tutto casuale. Il tempo era brutto, poche persone si sono recate alle urne… Ancora una volta, quello che abbiamo qui sono élite politiche che, incapaci di risolvere i loro conflitti, decidono di passare la palla ai cittadini e la chiamano democrazia.

Quest’intervista è stata fatta il 7 ottobre, a Lisbona, alla conferenza “Che cos’è la democrazia?” organizzata dalla Francisco Manuel dos Santos Foundation.

Luciana Buttini

Laureata in Scienze della Mediazione Linguistica e Specializzata in Lingue per la cooperazione e la collaborazione internazionale, lavora come traduttrice freelance dal francese e dall'inglese in vari ambiti.

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