[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Hashi Kenneth Tafira pubblicato su Pambazuka]
La fine del regime di Apartheid nel 1994 ha alimentato le speranze di molti, specialmente tra chi aveva sofferto la sottomissione e lo sfruttamento razziale per secoli. La tanto celebrata ‘nazione arcobaleno‘ e il racconto di una società non razziale hanno infuso la speranza di un nuovo inizio. Ciò ha tuttavia anche comportato un’aspettativa ottimistica, piuttosto prematura, di migliori rapporti tra le razze e, certo, di tolleranza etnica, alla luce del relativismo culturale e dell’etnicità dell’Apartheid, politica ufficiale che celava il proprio progetto di un’ingegneria sociale razziale insidioso e astioso.
Nel 1994 sono stati fatti dei tentativi per superare il passato e dare vita al futuro, un futuro in cui tutte le razze e le etnie avrebbero vissuto in un ambiente armonioso e tollerante caratterizzato dai grandi ideali della riconciliazione. Questo principio era incarnato dalla “Commissione per la verità e la riconciliazione” (Truth and Reconciliation Commission,TRC), presieduta dall’arcivescovo Desmond Tutu. La Commissione è stata oggetto di critiche e aggressioni da angolazioni diverse. I recenti episodi di razzismo bianco contro i neri (che non costituiscono una novità nemmeno dopo il 1994), richiedono una nuova riflessione sulla riconciliazione nell’era post-Apartheid e sull’agenda della nazione arcobaleno.
Le attività dei suprematisti bianchi razzisti dopo il 1994 mostrano che i tentativi di migliorare i rapporti tra bianchi e neri e l’impegno per superare il concetto di razza rimangono una chimera. Sono principalmente tre i fattori attraverso cui posso dimostrare che il problema razziale del Sudafrica non può essere risolto con facilità senza porsi domande fondamentali sulla Storia e, allo stesso tempo, fare un esame critico della struttura sociale del Paese, della sua formazione sociale e delle richieste della popolazione di colore.
Innanzitutto, ritengo che i problemi razziali in Sudafrica rappresentano un problema coloniale che non può essere superato senza ripensare e riconsiderare la decolonizzazione. La modernità coloniale del Sudafrica è fondata su impulsi di genocidio, cancellazioni epistemologiche, stupri, omicidi, saccheggi, confisca delle terre e del bestiame degli indigeni. La modernità coloniale sudafricana, che dura da cinquecento anni, rappresenta una lunga storia dell’orrore che è scolpita nel sangue, nel sudore, nelle lacrime e nella sofferenza di coloro che sono stati oggetto delle sue crudeli macchinazioni. Ha avvantaggiato enormemente e straordinariamente i responsabili delle crudeltà, e i loro discendenti continuano a godere dei vantaggi acquisiti illecitamente. Il 1994 non ha introdotto una nuova società coerente con i principi della lotta per la liberazione, suggerendo che la decolonizzazione rimane un’impresa incompiuta. In conclusione, secondo me, una necessità attualmente urgente è rappresentata da una nuova umanità che non solo riabiliti ma restituisca la personalità ontologica e l’umanità delle vittime del Sudafrica moderno.
Il primo passo è la restituzione della terra ai legittimi proprietari, il che potrebbe aiutare a ricreare una nuova individualità. In secondo luogo, le etiche della decolonizzazione devono far parte del programma ufficiale che non è sufficiente per rimuovere il razzismo dalla società ma serve a decolonizzarla, comprese le sue istituzioni, la sua scala dei valori e, aspetto più importante, la psiche e la mente dei sudafricani bianchi e neri.
La mia seconda osservazione riguarda il fatto che la negazione della razza e del razzismo, e la presunta assenza di pregiudizi razziali hanno rappresentato una rovina rispetto ai tentativi di un rapporto tra le razze più armonioso. La negazione del concetto di razza, che ha radici profonde nella storia del Paese, dall’apartheid etnico al movimento per la liberazione, ha avuto conseguenze significative. Come se non bastasse, la formazione della società sudafricana è stata analizzata con mezzi accademici sleali e strumenti analitici difettosi. Ad essere privilegiata è stata la questione della classe sociale piuttosto che quella della razza. Ne consegue che stiamo vivendo in una società in cui esiste il razzismo senza razza, e razzisti senza razzismo. E da questo è emersa una situazione ripugnante in cui i razzisti bianchi e la popolazione bianca in generale accusano i neri (che storicamente sono stati vittime del razzismo) che denunciano la questione razziale e richiedono giustizia, di razzismo nero. I bianchi sono diventati all’improvviso vittime di razzismo inverso. L’etichetta “razzista” assegnata ai neri mostra il grado di disonestà dei razzisti sudafricani bianchi. Considerando l’esperienza americana, lo scrittore Hoyt W. Fueller osserva:
“Riflettete: l’America è una società razzista. Cioè, le opportunità e le ricompense sono assegnate, nella maggior parte dei casi, secondo il colore e la razza. Le persone preferite e privilegiate sono i bianchi, i reietti e i degradati sono i non bianchi…..I non bianchi comprendono che la gran parte della “vita agiata” che conducono gli americani bianchi è comprata al prezzo della loro continua sottomissione.”
Allo stesso modo, l’antico razzismo biologico è ancora evidente. Riferirsi alle persone nere chiamandole scimmie è una caratteristica di qualsiasi progetto razziale, fa parte della creazione dell’immagine, una rappresentazione binaria delle persone di colore come malvagie e brutte, mentre quelle bianche pure e pulite. Carolyn F. Gerald cattura questa essenza in modo perfetto:
“Se la realtà che percepiamo viene ridefinita da qualcun altro, allora ci troviamo nella sfera d’influenza dell’altra persona e possiamo essere portati a credere qualsiasi cosa vorrebbe che credessimo; ad esempio che un cespuglio di rose è gradevole per il suo buon profumo, oppure che non lo è perché ci sono le spine.”
La Gerald continua:
“Siamo persone di colore che vivono in un mondo di bianchi. Quando riflettiamo sul fatto che l’uomo di colore vede le immagini culturali e razziste dei bianchi proiettate nel suo universo, non possiamo fare a meno di comprendere che per la maggior parte del tempo l’uomo di colore non vede alcuna immagine di sé stesso.”
Nel periodo successivo al 1994, affermare che il razzismo è ancora una realtà è diventato un tabù e un reato. Ultimamente sono stati fatti degli sforzi piuttosto incoraggianti per riconoscere che il razzismo dei bianchi contro le persone di colore in Sudafrica è solido, sentito e sano. Parlare di questo argomento dimostra che la società si sta rendendo conto di questo problema deplorevole. Dopo anni di negazione, la bolla sta per scoppiare. La colpevolezza e la responsabilità dei bianchi per l’attuale condizione dei neri sono enormi. I sudafricani bianchi devono firmare un’ammissione di colpa e accettare il fatto che continuano a beneficiare di un sistema ingiusto. E analogamente non è d’aiuto per nessuno, sia bianco o nero, insinuare che il disagio dovuto all’Apartheid e al colonialismo faccia parte del passato, che dovremmo perdonare, dimenticare e andare avanti, che chi rimpiange il passato è nemico del progresso. È questo il destino degli sforzi per la riconciliazione – nascondere le crepe. Riconoscere e ammettere l’esistenza di un problema sarebbe un grande passo verso la creazione di soluzioni.
In terzo luogo, sono a favore del multiculturalismo, in altre parole di una società multiculturale. Ecco i motivi. Il multiculturalismo è un antidoto alla nazione arcobaleno cosiddetta non razzista. Questa, come abbiamo constatato, si è dimostrata un fallimento, non essendo mai riuscita a migliorare le tensioni razziali in Sudafrica né a diminuire le differenze etniche. Si basa su false premesse, su solenni piagnistei sulla riconciliazione, su una speranza indifendibile che i beneficiari del razzismo sudafricano siano disposti a vivere insieme alle altre persone in pace e in armonia, sulle vittime che perdonano i colpevoli che non sono pronti a chiedere la redenzione dei propri peccati né a riconoscere l’aspetto umano delle persone di colore. La ‘nazione arcobaleno non razzista’ tace riguardo agli eventi storici che sottolineano come si è formata la società in Sudafrica. E non suggerisce nemmeno un risarcimento per le vittime della modernità coloniale sudafricana, né fa appello alla giustizia sociale. La nazione arcobaleno non razzista si basa su nozioni liberali della cittadinanza democratica piuttosto che sulla liberazione in sé.
Per molti sudafricani neri la nazione e suoi frutti sono ancora vietati. Gli immigrati africani di colore sono vittime del razzismo nero contro nero, una sorta di maturazione storica ed eredità dei razzisti bianchi. D’altra parte il multiculturalismo è l’opposto rispetto alla nazione arcobaleno non razzista. Non è a favore di una società non razzista ma di una società contro il razzismo in cui i cittadini sono consapevoli del male che rappresenta il razzismo, che tra di noi non c’è posto per i razzisti e gli imperialisti di un tempo, e possiedono una responsabilità morale che chiede una società paritaria in cui la parità di diritti e la giustizia sono ideali rispettati con convinzione.
Il multiculturalismo persiste in modo intransigente sulla giustizia sociale. È un impegno verso l’idea di umanità, verso una società in cui l’essere umano e le sue esigenze hanno la precedenza. Richiede un’analisi degli obiettivi e delle condizioni materiali delle persone. Esamina in modo critico le cosiddette “zone morte”, gli spazi progettati e definiti per le persone che si trovano al di fuori dell’umanità. Richiede che essi siano smantellati e afferma che le persone devono avere cibo, protezione e potersi godere il dono della vita.
Il multiculturalismo è guidato dalla verità e la persegue nelle sue finalità e nella sua logica. È guidato dall’etica umanista africana che vede l’essere umano in un altro essere umano. È ispirato dagli antichi valori africani di condivisione. Non considera lo straniero come un alieno ma come parte dei cosmopoliti e dell’universo. Riconosce il carattere cosmologico e spirituale degli africani. Ed è su queste considerazioni che incide una società multiculturale.
Infine, il multiculturalismo si fonda sull’etica panafricana che rinnega i confini coloniali imposti e rifiuta di acconsentire alle differenze create dal colonialismo.
Sarebbe importante che il dialogo sui rapporti tra le razze in Sudafrica vada avanti e sia ribadito senza timore delle conseguenze. Naturalmente il problema razziale esiste in tutto il mondo, la supremazia bianca è globale, così come l’attacco alle persone di colore. Ci troviamo nel momento opportuno in cui tutti coloro che si impegnano per l’idea di umanità inizino a prendersi le proprie responsabilità e affermino che la decolonizzazione è una questione in sospeso che fa parte della lotta per la libertà.