Natale in molte parti del mondo – e nonostante la crisi economica – è tempo di abbondanza, spreco di cibo, regali. In altre – per quanto lo dimentichiamo e per quante brevi e ipocrite pause in questi giorni ci possano essere – è tempo di guerra. In altre ancora è tempo di sete, di siccità.
È stagione secca nell’Africa in cui mi trovo, l’Africa sub-sahariana. L’harmattan soffia dal deserto del Nord e ricopre tutto di sabbia, polvere rossa o semplicemente sporca (dipende dove si deposita e quanto ha viaggiato nell’aria). La pelle si secca, gli alberi soffrono, i colori dei fiori si perdono nella patina che li avvolge, il sole si riflette opaco, il mare è assai meno pescoso e per decine e decine di villaggi che vivono solo di questo, è una vera jattura.
Ma soprattutto, i pozzi si prosciugano. Ogni giorno di più, ogni giorno di più… fino a non esserci goccia. Ma dell’acqua è impossibile fare a meno, anche dove al sacrificio si è abituati, anche dove nella lotta quotidiana si è nati e cresciuti.
Chi continua a mercificare sogni – i propri – e ripetere il mantra “in Africa sono sempre felici, non hanno nulla eppure sorridono” dovrebbe viverci in Africa. Ma non in quella destinata e costruita per gli occidentali e per gli africani del ceto medio-alto. Dovrebbe vivere nei posti dimenticati, abbandonati, ignorati. Ce ne sono talmente tanti da coprire territori geografici di tante nazioni europee. Talmente tanti che sommandoli si potrebbero costituire decine di nuovi Stati. Peccato che tutti questi Stati manchino di consapevolezza, mezzi e cultura per opporsi a chi li vuole poveri, sottomessi, inutili…
Il bambino nella foto si chiama Sylvanus. Ogni giorno deve “scavare” nel pozzo ormai secco sulla spiaggia, per portare acqua a casa. Qui sono soprattutto i bambini a fare questo lavoro. I bambini e le bambine. Sylvanus ha una sorella più piccola, Angela, e anche lei ogni giorno “scava” nel pozzo. Non sanno che è Natale. O perlomeno, lo sanno perché ci sono le vacanze scolastiche anche qui. Ma per loro non cambia nulla. Per chi legge nemmeno – forse – ma io che sono qui insieme a loro non posso fare a meno di raccontarvelo. Non posso fare a meno di sentire la sete che prosciuga i polmoni. La loro sete.