21 Novembre 2024

Bambini non vedenti, la tecnologia al servizio della disabilità

Equilibrio: come necessità di trovare un giusto raccordo “fra studio del cervello, necessità della persona, e sviluppo della tecnologia“. Ne è convinta Monica Gori, esperta di disabilità visiva nell’adulto e nel bambino e una delle protagoniste del Festival della Scienza 2015 di Genova, (appena concluso) organizzato quest’anno attorno alla parola “equilibrio” e al suo significato, applicato a vari campi del sapere.

Quello di Monica – la tecnologia al servizio della disabilità – è un campo di ricerca che sta suscitando sempre più interesse da parte dei media, ma, avverte la Gori, la ricerca sulla disabilità visiva riferita al bambino è ancora molto indietro.  Perché la strada dell’applicazione tecnologica per interventi precoci è tutta in salita e richiede prima di tutto la creazione di sistemi semplici e adattabili a specifiche esigenze.

Quello che spero – dice Monica – è che lo sviluppo tecnologico segua i tre principi seguenti: Intervenire con tempestività, Studiare il cervello e avere un Sistema di applicazione della ricerca naturale. Solo in questo modo sarà possibile arrivare all’intervento sui bambini e migliorare la qualità di vita del disabile visivo sin dall’inizio della manifestazione della patologia”.

La tecnologia al servizio della disabilità. Quali sono i più recenti dispositivi di “sostituzione” sensoriale per chi ha disabilità?

Attualmente ci sono molti devices disponibili. La maggior parte sono basati sulla traduzione di segnale da visivo a uditivo o tattile. In entrambi i casi delle telecamere rilevano l’informazione visiva e la traducono attraverso un pc in segnali uditivi che passano attraverso cuffie o segnali tattili trasmessi attraverso vibrazioni su varie parti del corpo.

Quanto secondo lei questi dispositivi potranno essere accessibili a un numero esteso di persone?

Credo che questi sistemi abbiamo molti limiti perché richiedono di apprendere un nuovo linguaggio, richiedono molta attenzione e bloccano alcuni canali sensoriali. Per esempio quelli che usano segnali uditivi rendono impossibile ascoltare altri suoni che vengono da fuori oppure quelli che stimolano la lingua rendono difficile il parlare. Data la complessità dei dispositivi la cosa che è più preoccupante è che non può essere usata con il bambino. L’intervento precoce è importantissimo ma con questi sistemi non è possibile.

Quali sono i costi medi di questi dispositivi?

Costano molto vista la loro complessità. Si parla di migliaia di euro.

In quali Paesi è più avanzata la ricerca nel settore della tecnologia al servizio della disabilità?

Ci sono molti sistemi sviluppati in USA. In Italia in IIT stiamo sviluppando nuove soluzioni tecnologiche per adulti e bambini disabili visivi, in collaborazione con l’istituto David Chiossone. Luca Brayda per esempio con il progetto BlindPad finanziato dalla commissione europea sta sviluppando un tablet tattile. Noi all’interno del progetto ABBI, anch’esso finanziato dalla commissione europea, abbiamo sviluppato un nuovo dispositivo sonoro specifico.


Illustrazione del metodo ABBI

Ci può illustrare come funziona?

Se si prova a muovere un braccio davanti a noi sentiamo il movimento perché siamo stati noi a farlo e vediamo la mano che si muove. Se chiudiamo gli occhi e facciamo lo stesso movimento possiamo sentire il movimento ma non vederlo. Se però mettiamo una cassa che produce un suono nel braccio questa volta ripetendo il movimento sarebbe un po’ come averlo visto. Questo perché il segnale audio è stato ascoltato dal cervello e ha fornito quello che fornisce la visione quando è presente: un segnale spaziale.

L’idea del dispositivo è proprio questa: questo strumento è un braccialetto sonoro che si accende quando comincia un movimento e si ferma quando il movimento si ferma. Esso permette al bambino di capire meglio come si sta muovendo il suo corpo e come si stanno muovendo gli altri visto che può essere anche indossato dalle persone che interagiscono con il bambino non vedente.

Un sistema che funziona in modo simile al braille…

Esattamente. È il bambino che muove la mano ed è il cervello che interpreta l’informazione che deriva dal movimento. In più visto che fin dai primi giorni di vita il bambino impara a capire da dove provengono i suoni nello spazio per lui imparare ad ascoltare questo dispositivo è naturale.

Lo abbiamo fatto usare a bambini e adulti non vedenti e ipovedenti per un certo periodo e abbiamo constatato che l’uso del dispositivo permette di migliorare le capacità del non vedente di muoversi, interagire e percepite lo spazio intorno a sè.

Creare tecnologia utile e insieme accettabile dall’utente. È in questa direzione che deve andare la ricerca?

Credo di sì. Studio del cervello, necessità della persona e sviluppo della tecnologia. Non si può lavorare senza tenere in conto ognuno di questi aspetti.

 

Elena Paparelli

Giornalista freelance, lavora attualmente in Rai. Ha pubblicato tra gli altri i libri “Technovintage-Storia romantica degli strumenti di comunicazione” e “Favole per (quasi) adulti dal mondo animale”.

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