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We Animals, come raccontare la sofferenza animale

Si può raccontare la violenza dell’uomo sull’animale con il linguaggio del cartoon?  “Pig me” ne è un esempio convincente: appena sette minuti per seguire l’odissea di un piccolo maiale miracolosamente sfuggito al mattatoio.

Terrorizzato dalle immagini di teste di porco mozzate e corpi squartati, il maialino scappa e trova rifugio in un negozio di animali in città. In apparenza, un’autentica oasi. Lì l’Uomo entra per cercare la compagnia dell’Animale, per prendersene cura. E ogni cliente che vi capita trova nell’Animale di turno la sua “anima gemella”. Anche il maiale troverà la sua, naturalmente. Purtroppo per lui…

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=ybop2CgBSfc[/youtube]

Il linguaggio della short story gioca sull’effetto sorpresa a partire da un’idea forte: la corrispondenza e il rapporto simbiotico con l’animale. Concetto che si ritrova anche nel titolo provocatorio del progetto fotografico “We Animals della fotoreporter canadese Jo-Anne McArthur, che quest’anno è stato tradotto anche in Italia da Safarà (Pordenone 2015) per la collana “Animalia”.

Come fotoreporter – ha dichiarato la Mc Arthur –  il mio compito non è solo quello di scattare foto che raccontino una storia e rivelino una verità, ma anche illuminare lo sguardo e innescare l’immaginazione”.

Una selezione di cento scatti – quelli del libro – fra i tantissimi che si trovano nel sito www.weanimals.org, alcuni veramente forti. Come l’immagine di un coniglio – una delle foto preferite dall’autrice – colto appena prima della macellazione.  Soltanto un batuffolo bianco dall’occhio sbarrato in primo piano, mentre sullo sfondo spicca un gruppo di corpi di conigli appesi in fila per uno, a testa in giù.

Se è vero che l’obiettivo dell’intero progetto è denunciare la sofferenza degli animali che non vediamo, tanto da perdere con essi qualsiasi empatia, lo sguardo della McArthur ha creato un poderoso archivio, consultabile online che cattura cuore e mente pur nel raccapriccio delle situazioni rappresentate.

Non solo macelli e laboratori di sperimentazione (luoghi che la nostra mente tiene debitamente a distanza) ma anche zoo, allevamenti intensivi, circhi, rodei, mercati, acquari: una potente narrazione che ha toccato 40 Paesi diversi in tutto il mondo, e che ha fornito materiali preziosi per più di 80 organizzazioni animaliste, da Sea Shepherd al Jane Goodall Institute passando per Igualdad Animal.

Di questo ricchissimo archivio il libro è una summa di 100 fotografie corredate da didascalie dell’autrice stessa, un oggetto da portare in viaggio ma che rimanda chiaramente a un’esplorazione più vasta permessa dal patrimonio di immagini messe in Rete: “Quello che vedrete in queste pagine – avverte l’autrice nel libro – potrebbe sorprendervi o disturbarvi. Il mio scopo non è quello di farvi allontanare, ma di trascinarvi dentro, portarvi più vicino; rendervi partecipi. Voglio che le mie fotografie siano tanto belle ed evocative quanto veritiere e potenti. Spero che vi prendiate il giusto tempo non solo per guardare ma per vedere, anche solo come gesto di rispetto per i miliardi di animali di cui non notiamo né la vita, né la morte. Guardare questo libro significa offrire la propria testimonianza insieme alla mia, e ciò significa anche confrontarsi con la crudeltà e la complicità che questo comporta. In quanto appartenenti a una specie, è necessario adottare una nuova mentalità, imparare nuovi atteggiamenti e disimparare quelli vecchi”.

Le esplorazioni della McArthur in giro per il mondo sono diventate anche un bel documentario realizzato da Liz Marhall, che con la telecamera ha seguito la fotoreporter nel suo difficile percorso per narrare l’odissea degli animali: “The Ghost in Our Machine”  è – secondo le parole della regista – “un viaggio alla scoperta di ciò che è un complesso dilemma sociale. In sostanza, gli esseri umani hanno abilmente classificato gli animali non umani in tre parti: gli animali domestici, la fauna selvatica, e quelli a cui non vogliono pensare: i fantasmi nella nostra macchina. Perché diamo valore alla fauna selvatica e ai nostri animali da compagnia, ma non ai miliardi di animali allevati e utilizzati ogni anno nelle industrie globali?”

Dal Canada, agli Stati Uniti, fino all’Europa: la “marcia” della McArthur armata di macchina fotografica è partita nel 1998 e non si è ancora arrestata. Come non costruirci un racconto cinematografico intenso e appassionato sul tema degli animali-merce?

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=umQrrpsWCVE[/youtube]

Un altro documentario sul tema dello sfruttamento sugli animali è il recente “Cowspiracy” (2014). È il segno che l’attenzione sull’argomento sta uscendo sempre di più dal cerchio ristretto degli animalisti per diventare di dominio pubblico: questa è, d’altra parte, la missione dell’instancabile fotoreporter McArthur, che ha indagato tutti gli aspetti dell’industria animale, dal cibo alla moda, dall’intrattenimento fino alla ricerca.

Ci sono naturalmente differenze fra Paese e Paese nelle leggi di tutela della fauna. “Ma la loro applicazione – sottolinea la McArthur – è il vero problema in tutto il mondo“. E il nostro sguardo sul mondo animale è talmente anestetizzato da non cogliere neppure la stranezza di una foto che ritrae un cervo impagliato fra le braccia di una ragazza per le strade di New York. Il suo libro ci restituisce tutta la lucidità necessaria: “Se è mai esistito un documento che potesse indurre gli esseri umani a ripensare completamente la loro relazione con il mondo animale – ha affermato Wade Davis della National Geographic Society –  questo libro dalla bellezza inquietante è finalmente in grado di farlo”.

La pubblicazione si articola in cinque sezioni, le prime tre concentrate sullo sfruttamento animale; la quarta, “Compassione”, segue l’operato dei soccorritori di animali sottratti alla cattività; la quinta raduna alcuni diari di viaggio della reporter. Che in questo viaggio porta sempre con sé gli sguardi di tutte le bestiole che ha incrociato nel suo percorso e che suo malgrado non ha potuto liberare.

Lo stress emotivo a cui si è sottoposta l’autrice è molto alto, aggravato dalle porte chiuse che ha trovato da parte di alcuni editori perplessi sulla “spendibilità” editoriale di immagini troppo “disturbanti”. Ecco allora che per “rigenerarsi” e riprendere forza nel suo cammino di denuncia la McArthur vola alla Farm Sanctuary presso Watkins Glen, nello Stato di New York, “la sua seconda casa”, un luogo ameno dove molti animali salvati trovano asilo, e “salvano” a loro volta gli uomini che se ne interessano.

Anche di questa esperienza finalmente positiva l’autrice ne ricava un bellissimo reportage che restituisce uno sguardo decisamente umano a ciò che ci circonda, e che ci vive accanto. Quello che la McArthur vuole contribuire a migliorare, tanto da essere inclusa nella lista WOMEN dell’HuffPost fra “le 10 donne che stanno cercando di cambiare il mondo”.

Indicazioni utili per chi vuole aiutare gli animali: http://www.weanimals.org/howtohelp

Come sostenere il progetto: http://www.weanimals.org/support

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