[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Vas Panagiotopoulos pubblicato su openDemocracy]
La crisi dell’Eurozona, una questione molto complessa che ha ripercussioni economiche, politiche e sociali per tutte le nazioni coinvolte, rappresenta la sfida più grande che l’Unione Europea si trova ad affrontare sin dalla sua istituzione.
I cittadini dell’Unione hanno dovuto informarsi e comprendere un’ampia gamma di argomenti complessi. Il debito sovrano, la ristrutturazione e la sostenibilità, la disciplina di bilancio, l’integrazione dei mandati democratici di altre nazioni, l’equilibrio del potere geopolitico e il ruolo della Troika – per non parlare delle conseguenze sociali delle politiche di austerità.
Mentre la stampa europea si sta occupando del problema dei rifugiati che interessa tutto il continente, ci interessa riflettere sulla crisi dell’Eurozona, dalla quale possiamo trarre diversi spunti di riflessione riguardo ai media. Abbiamo parlato con alcuni giornalisti dei principali media europei e con il Reuters Institute for the Study of Journalism dell’Università di Oxford.
Chiaramente, i media europei si sono occupati ampiamente della crisi e dei suoi effetti. Resta da vedere se sia stata data un’adeguata esposizione di tutti gli aspetti complessi della crisi, sia sulla stampa che in televisione. E di ancora maggiore importanza è la domanda se i media delle diverse nazioni dell’Unione Europea si siano concentrati in modo sufficiente su tutti questi diversi aspetti.
Da nazione a nazione
Un nuovo studio del Reuters Institute for the Study of Journalism ha rivelato che la copertura della stampa riguardo alla crisi è stata diversa da nazione a nazione. “Una delle caratteristiche evidenti della stampa in Europa è stata quella di considerare la crisi attraverso le diverse opinioni nazionali, descrivendola secondo il significato rivestito all’interno della singola nazione e raramente prendendola in considerazione da un punto di vista europeo,” spiega il Professor Robert G. Picard, direttore del progetto del Reuters Institute.
Abbiamo parlato anche con alcuni giornalisti dei principali mainstream a Berlino, Bruxelles, Roma e Londra, proprio per approfondire ulteriormente la questione. Paul Mason, editore del settore economico di Channel 4 News, ha confermato tale tendenza anche per quanto riguarda la televisione: “Il problema delle emittenti televisive è la responsabilità nei confronti del pubblico. Chi ci commissiona i servizi ci chiede continuamente – e giustamente: quale significato devono avere per una mamma che sta dando da mangiare ai propri figli alle 7 di sera nel nord dell’Inghilterra? ”
Jan Dams, vice direttore del settore economico del quotidiano tedesco “Die Welt”, è d’accordo con Mason: “Come giornalisti dobbiamo soddisfare le aspettative. Viviamo in un mondo mediatico in cui si può analizzare ogni singolo lettore sul proprio sito.”
Inoltre, molte fonti dei corrispondenti europei provengono dagli uffici di rappresentanza del proprio governo a Bruxelles, e, come tali, l’aspetto nazionale è spesso è più evidente nei loro servizi. “Ecco il motivo per cui esiste una enorme differenza nel riportare la stessa notizia nelle testate nazionali,” afferma Méhab McMahon, corrispondente da Bruxelles per la rete televisiva France 24 TV.
Oltre a questo, l’Unione Europea è suddivisa in gruppi diversi: il gruppo nord, che comprende nazioni come la Germania, l’Olanda e la Finlandia, che insiste su riforme rigorose; le nazioni dell’est europeo che hanno già attraversato anni di riforme per portare le proprie economie in linea con i criteri dell’Eurozona; e infine le nazioni che hanno usufruito di piani di salvataggio in passato, che seguono da vicino ogni trattativa per assicurarsi che la Grecia non riceva un accordo migliore di quello che è stato loro offerto.
Il reporter romano Alvise Armellini dell’agenzia di stampa tedesca Deutsche Press Agentur, ha dato un esempio delle prospettive giornalistiche diverse di cui ha parlato lo stesso McMahon. “I miei colleghi hanno difficoltà ad accettare l’idea che la Germania stia traendo dei benefici dalla crisi – un aspetto che è molto diffuso nelle notizie in Italia.”
Anche Jan Dams è d’accordo. Non crede che questo argomento sia stato affrontato in maniera sufficiente in Germania. “Da gennaio sono stato tre volte ad Atene e sono rimasto stupito dal fatto che qui si abbia una percezione della Germania totalmente diversa,” ha aggiunto.
In alcuni casi estremi, le notizie si basano anche su affermazioni errate. Mehran Khalili, consulente per le comunicazioni politiche di nazionalità inglese e iraniana e co-fondatore del Progetto Omikron, ha fatto riferimento ad un articolo del Daily Telegraph del 2011, in cui il quotidiano riportava la notizia dell’esistenza in Grecia di più Porsche Cayenne rispetto ai contribuenti che dichiaravano redditi superiori a 50.000 euro. Tale notizia si è diffusa tra le emittenti televisive principali, inclusa la BBC. “Non si trattava di una storia vera, tanto che la stessa BBC l’ha poi smentito. Eppure ancora oggi è citata dai media come un dato di fatto“, afferma Khalili.
Far luce sulla crisi
E riguardo alle più ampie implicazioni politiche, economiche e sociali della crisi dell’Eurozona? Questi aspetti sono stati trattati con chiarezza dai media europei? Lo studio dell’Università di Oxford suggerisce che la crisi è stata rappresentata principalmente come una questione finanziaria e economica e non come una questione politica, oppure come una questione in cui ad essere danneggiata è la vita dei cittadini e delle aziende.
“Le notizie raramente citano i cittadini comuni, i leader aziendali e sindacali e i portavoce delle organizzazioni della società civile. Diversamente, le notizie si concentrano sui banchieri, sugli economisti e sulle persone importanti, come Angela Merkel e Françoise Holland,” afferma il Professor Picard.
Molti giornalisti riconoscono che l’impatto sociale della crisi non è affrontato in modo sufficiente. “Sono le notizie relative ai mercati, alle banche e alle società a guidare i notiziari quotidiani e non le storie che riguardano le persone comuni“, afferma McMahon.
Paul Mason non è d’accordo con il Professor Picard per quello che riguarda le emittenti televisive britanniche. Dal 2011, tutti i notiziari principali di lingua inglese hanno investito molto sui contatti, sui “fixer” [persone che aiutano i giornalisti stranieri offrendo servizi di interpretariato ecc. NdT] e produttori locali per avere accesso alle notizie che riguardano il punto di vista dei greci sulla crisi dell’euro. “Certamente quando si tratta di seguire i summit di Bruxelles e dell’Eurogruppo generalmente c’è una certa vicinanza tra i giornalisti che hanno la base a Bruxelles e i burocrati/politici“, afferma Mason.
Verso una migliore copertura mediatica
La qualità della copertura mediatica può essere migliorata? Il professor Picard crede che questo possa accadere solamente nel momento in cui i giornalisti allargheranno le proprie percezioni della crisi, cambieranno le prassi con cui ne trattano gli sviluppi e riesamineranno il rilievo dato ai diversi punti di vista su ciò che accade e ai conseguenti impatti.
Per rendere le presentazioni dei fatti più equilibrate, i giornalisti dovrebbero conoscere anche gli altri Stati membri dell’Unione Europea e comprenderne la cultura e la storia, oltre ad ampliare le proprie fonti. “Ad essere citati nei media sono sempre gli stessi commentatori,” ha aggiunto Méhab McMahon.
Anche chi ascolta le notizie dovrebbe svolgere qualche compito, ad esempio considerare i media con un atteggiamento più critico, come ha sottolineato lo stesso Mehran Khalili: “Si deve essere consapevoli che tutte le notizie contengono un’opinione, per quanto impercettibile, e non pensare che un dibattito sia equilibrato solo perché vi vengono trattati anche altri punti di vista.”
Esistono tuttavia anche ragioni per essere ottimisti. È apprezzabile il modo in cui la crisi ha fatto crescere le notizie sulle questioni dell’Unione Europea, il che ha portato a un meccanismo che tende a incrementare la qualità delle notizie. Ad esempio, Alvise Armellini afferma: “I media italiani stanno creando nuove postazioni per la stampa a Bruxelles perché sanno che si devono occupare di notizie provenienti dall’UE e che devono operare bene.”
Paul Mason, che di recente ha pubblicato un libro riguardo alla rapida evoluzione dell”economia dell’informazione‘, sostiene che la tecnologia digitale e i social network possono contribuire allo sviluppo di una sfera pubblica più “europeizzata”. “Esiste già una sfera pubblica europea all’interno dei social media,” afferma.
Mason porta l’esempio del grande consenso che ha raccolto l’hashtag #ThisIsACoup su Twitter, quando i leader dell’Eurozona stavano trattando i termini per il terzo piano di salvataggio della Grecia. “Le persone comuni hanno capito che ciò che stava accadendo era un vero e proprio furto della sovranità greca – e non hanno avuto bisogno della stampa mainstream.”
Con riferimento ai media tradizionali lo studio dell’Università di Oxford conferma che sta emergendo una piccola sfera europea di discussione pubblica sulle questioni legate alla crisi, nel cui ambito le notizie trattano i temi della crisi come “aspetti più ampi e complessi rispetto alle azioni dei singoli Paesi” e questo rappresenta un piccolo passo nella giusta direzione per una copertura mediatica migliore e più equilibrata.