Un’immagine potente per puntare l’attenzione su un fenomeno nascosto ma che si svolge alla luce del sole. Alla luce del sole africano. Si chiama land grabbing (“terra carpita, accaparrata”) e si riferisce agli accordi aventi a oggetto l’acquisto di milioni di ettari di terreno nei Paesi poveri da parte di multinazionali dell’agribusiness, di potenti gruppi finanziari o di agenzie governative straniere, principalmente appartenenti a Paesi quali l’Arabia Saudita, la Cina, la Corea del Sud, il Qatar, gli Emirati Arabi.
Tale operazione – che in Africa vede coinvolti paesi come il Madagascar, il Ghana, il Mozambico, il Sudan e l’Etiopia – non mira certo a “nutrire il pianeta” (come vuole il titolo dell’Expo di Milano) bensì ad arricchire le multinazionali che investono e ad avvantaggiare i Paesi ricchi. Il land grabbing si presenta insomma come un’ultima versione del neocolonialismo, che priva della loro terra i pastori e i piccoli coltivatori locali, oltre a comportare l’abbattimento di foreste e il sequestro delle zone di pascolo, l’erosione del suolo, l’accaparramento dell’acqua e la perdita della biodiversità.
Parlarne e raccontarlo non è facile, anche perché spesso è difficile accedere a informazioni dettagliate su espropriazioni e attività delle multinazionali. Entrare nelle vicende di questa realtà è stato il lavoro di anni di Alfredo Bini, fotografo e documentarista. Una testimonianza che sarà ospitata alla Galleria San Fedele di Milano dal 5 maggio fino al 5 giugno prossimo. Il titolo della mostra – a cura di Gigliola Foschi – è “Land grabbing or land to investors?“.
Una mostra fatta di immagini forti, ognuna delle quali rappresenta una storia. Ognuna delle quali è una denuncia. Privare delle fonti d’acqua, disgregare l’agricoltura tradizionale, spostare famiglie e popolazioni, sradicare abitudini e culture. E tutto questo per il profitto di pochi. “Questo è il land grabbing – dice Alfredo Bini – una devastante politica alimentare basata sull’accaparramento delle terre altrui“.