“Tra i tanti viaggi, ho pensato di pubblicare questi appunti e queste fotografie – i primi risalgono al 2001, ma è come se, a dispetto del sole, ogni visita sia il frammento di un’unica notte prolungata, con i suoi incubi, e con i suoi sogni. Appunti da classico taccuino del viaggiatore, in ordine sparso, per quello che sono, forse perché devo illudermi di appagare il senso d’impotenza. Restiamo umani, e per farlo, per favore, almeno una smorfia d’indignazione“.
Lo scrive Niccolò Rinaldi che in quindici anni, non tanto in qualità di politico ma di osservatore e scrittore, ha visitato Gaza diverse volte, nonostante entrare in quella che molti definiscono una prigione a cielo aperto “sia un lusso, ormai, come lo è uscirne”.
La “geografia impossibile“, che l’autore fotografa in maniera frammentaria e volutamente disordinata, è una zona ad alta densità abitativa: la Striscia di Gaza si estende per 378 chilometri quadrati e ospita una popolazione di più di 1.650.000 abitanti.
Eppure, nei resoconti giornalistici, i contorni delle storie che qui vi si intrecciano sembrano quasi sfumare e confondersi.
Nella rappresentazione del conflitto israelo-palestinese non pochi sono coloro che hanno sottolineato la presenza di un racconto fortemente politicizzato dei fatti, in assenza di una vera e propria libertà di espressione: l’articolo “40 domande per i media internazionali a Gaza” di Saul O., per esempio, pubblicato il 31 luglio 2014 nel blog britannico “Harry’s Place”, fu prontamente ripreso e commentato qualche giorno dopo dal Washington Post. Nonostante la presenza – fra Gaza e Cisgiordania – di un alto numero di giornalisti, esiste una difficoltà oggettiva di fare fino in fondo il proprio mestiere, in questa terra teatro di sangue e assedio.
Molta comunicazione che riguarda Gaza circola anche attraverso i social e Hamas – come riportato da Wired Italia – ha persino indirizzato a giornalisti e attivisti palestinesi presenti nella striscia delle vere e proprie linee guida per gestire al meglio la comunicazione. Il problema è però sempre lo stesso: il controllo delle fonti.
In questo labirinto di comunicazioni che attraversano quella che Rinaldi chiama “la geografia del cattivo vicinato come forma politica reciproca“, “Notte a Gaza” offre semplicemente la scrittura rapida e incisiva di un testimone al confine fra cronaca e diario, assai generoso di annotazioni e ritratti umani ripresi “sul campo”, domande e riflessioni, voci, citazioni, aneddoti e incontri vari collezionati strada facendo.
Fino ad un giudizio complessivo, decisamente amaro.
“Qui – scrive – ci sarebbe tutto per vivere: il mare e le palme, il pesce. Una terra coltivabile. Il porto per commerciare con il Mediterraneo. La storia. Due Paesi vicini al confine, entrambi a loro modo straordinari – Israele ed Egitto. C’è il sole, ci sono i giovani, e voglia di lavorare. Dio ha dato tutto quel che serve. In nome di Dio oggi si distrugge tutto, e quello che non fanno gli altri, lo si fa da soli. Gaza come fallimento di tutte le possibilità“.