Da alcune settimane, in reazione alle stragi di Parigi (in realtà anche prima) e in difesa della libertà di espressione, attivisti di Anonymous hanno lanciato diverse campagne online, tra cui opCharlieHebdo. Il 6 febbraio le campagne sono stata rilanciate attraverso la diffusione di un video, collegato all’operazione OpISIS, che ha contribuito a creare grande clamore sui media.
Prima degli ultimi fatti e di #OpISIS, Voci Globali aveva intervistato la giornalista Carola Frediani, esperta di nuove tecnologie e cultura digitale, autrice del libro “Deep Web. La rete oltre Google”. Frediani ci raccontava come opCharlieHebdo avesse avuto un exploit iniziale per poi entrare in una sorta di stallo: “In compenso c’è stata una controreazione di hacker e crew musulmane. Non tutti, tra questi, sono jihadisti o favorevoli agli jihadisti. Ma ci sono molti islamici e islamisti arrabbiati. È uno scenario ancora molto mobile, ed offre più spunti di riflessione sociologica che preoccupazioni di sicurezza informatica, in questo momento”.
Sulle vicende degli ultimi giorni rilanciamo il suo recente articolo su Wired; di seguito, una conversazione con lei sul Deep Web.
A distanza di qualche tempo dall’uscita del tuo libro, quali questioni andrebbero oggi approfondite?
Oggi c’è un attacco senza precedenti al Deep Web e a strumenti legati a questa filosofia che, ricordiamolo, è portata avanti da un ampio fronte di sviluppatori, informatici e attivisti che credono ancora nel potenziale liberatorio della Rete, e che respingono il desiderio di controllo del mondo corporate da un lato e di quello statale dall’altro. Pensa alla sortita di Cameron contro la crittografia, o alla pressione dei governi occidentali su aziende tech come Google, Apple e Facebook per avere un accesso più immediato ai dati degli utenti (e il Datagate ci aveva appena mostrato come fosse già molto facile per alcuni governi intercettare le nostre attività digitali). La lotta al terrorismo ha individuato un nemico, il Web, verso cui già molti politici in precedenza nutrivano una fortissima diffidenza. Figurarsi un Web anonimo e più difficile da monitorare come le darknet. Temo che potremmo assistere a una crescente criminalizzazione perfino di quegli utenti che utilizzano un certo tipo di strumenti: Tor, ma anche app e strumenti che usano la crittografia, e servizi come quelli offerti da collettivi di attivisti alla Riseup. Insomma per alcuni il dark web sarà pure oscuro ma i tempi che ci aspettano sono ancora più neri.
Quanto è diffuso oggi il significato di Deep Web?
Il fenomeno a livello più mainstream è esploso nel 2011, in contemporanea all’emergere sulla scena mediatica di due fenomeni: Bitcoin da un lato e Silk Road, il primo mercato nero che ha sfruttato l’anonimato delle darknet, dall’altro. Ma anche Anonymous, il movimento di hacktivisti, nato qualche anno prima, aveva iniziato a usare questi ambienti addirittura per portare avanti campagne di protesta, azioni dirette e via dicendo. WikiLeaks ha utilizzato questi strumenti per raccogliere segnalazioni e documenti di interesse pubblico che sono diventati degli scoop mondiali ripresi dai media e per sfuggire alla censura. Utenti in Paesi dove Internet è fortemente censurato e sorvegliato, dalla Cina all’Iran, hanno usato questi strumenti per sfuggire al controllo. Snowden li ha impiegati per comunicare in modo sicuro con i giornalisti del Datagate. E sono solo alcuni esempi.
Carola, parli di “Internet profonda”. Quali sono nel tuo libro le “fotografie” che hai scelto di scattare su quello che è su Internet?
Internet profonda riprende l’espressione Deep Web, che in realtà descrive semplicemente la Rete non indicizzata dai motori di ricerca, e che quindi non è così facilmente raggiungibile dai più. Ma ormai Deep Web è diventato sinonimo di darknet, cioè di quella parte di Internet costruita in modo tale – attraverso appositi software e reti – da garantire il più possibile la privacy degli utenti così come di chi gestisce siti e servizi. Progetti come Tor, I2P e Freenet rientrano in questa definizione.
A mio modo di vedere è una Internet profonda non solo perché più anonima del resto della Rete (in cui di fatto l’anonimato non esiste, siamo tutti tracciati e tracciabili) ma perché anche per la sua natura di area di frontiera è un po’ un laboratorio tecnologico e sociale. Profonda perché più difficile da raggiungere non solo da molti utenti, ma anche da una descrizione accurata e onesta di quello che ci si trova. Anche per questo ho deciso di occuparmene.
La tua inchiesta è frutta di una lunga frequentazione del Deep Web. Quante ore e per quanti giorni sei stata in Rete? Quali piste hai seguito nello svolgimento della tua ricerca?
Difficile rispondere a questa domanda, non saprei quantificare. Quello che posso dire è che ho iniziato a occuparmi in parte dell’argomento con i primi reportage su Anonymous, che risalgono al 2011. Da metà 2012 ho iniziato una full immersion nell’ambiente. Successivamente ho iniziato a esplorare anche altri ambiti, alcuni dei quali sono descritti nel mio libro Deep web. Direi un numero incalcolabile di ore, serate, chat, e maledizioni quando non riuscivo a far funzionare qualche programma. Spese in buona parte fuori dal cosiddetto daytime job.
Il tuo libro “Deep Web” esce soltanto in formato ebook. È una tua scelta?
Sì. Mi piaceva l’idea di pubblicare con un editore indipendente solo digitale come Quintadicopertina. Inoltre l’ebook è un formato che ben si sposa con l’argomento trattato. Lo si può anche comprare in bitcoin. Credo sia stato il primo libro italiano acquistabile (anche) con la criptovaluta.