Dalla violenza di genere all’autodeterminazione delle donne

Donna: un mistico viaggio dal quale non si torna, colmo di vissuti multiformi e sfumati, di prospettive che ricercano un senso a volte di difficile ricostruzione, di vite complesse, laddove,  l’appartenenza al proprio intimo essere donna rischia di trasformarsi in una condanna dettata dal “genere”.

Nell’era della modernità, dei miti delle false certezze di una società sempre più “liquida” al suono delle illusioni del progresso e di una inarrestabile globalizzazione, qualcosa di assordante irrompe come una presenza costante, conquistando un primato che gioca la certezza del proprio esistere su numeri che inondano notizie di cronaca da fare venire i brividi: “violenza contro le donne”, “violenza di genere”, il fenomeno fa notizia, purtroppo. I casi di femminicidi si moltiplicano e si auto-raccontano con evidenza sconcertante, mentre la Rete compie l’ennesimo sforzo di rapida diffusione nella speranza di generare un aumento di consapevolezza, e forse, di responsabilità. La violenza contro le donne chiama in causa, tra i molteplici fattori, anche la responsabilità, quella collettiva che appartiene a ognuno di noi, giacchè la matrice del fenomeno è puramente culturale, e la cultura è di tutte le società, in primis di quelle più “evolute”. Eppure, andando fino in fondo alla questione, ci si chiede se si possa parlare realmente di evoluzione, o piuttosto, compiendo un atto di umiltà, di involuzione o regressione del genere umano.

La Convenzione di Istanbul, strumento privilegiato nella tutela delle donne dalla violenza di genere e domestica, entrata in vigore il 1° agosto e ratificata a Roma il 18 Settembre 2014[1], ha definito la “violenza nei confronti delle donne” – una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sulla differenza di genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”.

La violenza di genere è frutto di una discriminazione contro le donne, che affonda le proprie radici nel  rapporto impari esistente tra i due sessi: una disparità relazionale, retaggio di una società patriarcale, che si compie a scapito di quella parità che ancora fatica a farsi strada. Siamo di fronte a una visione del rapporto uomo-donna che si nutre di stereotipi, e nel caso specifico, di quegli stereotipi di “genere” legati a una percezione rigida e distorta della realtà, di tutto ciò che si intende per “femminile” e “maschile”. Lo stereotipo di “genere”, costruzione socio-culturale che attribuisce ad ognuno dei due sessi caratteristiche e capacità diverse secondo gli assi della gerarchizzazione e complementarietà, condiziona in modo sottile e inconsapevole scelte e comportamenti, rimandando a modelli sociali anacronistici, nei quali le donne non possono più rispecchiarsi, pena la perdita della libertà, del proprio essere donne e dell’autodeterminazione.


Cartolina della campagna "Donna è" - 25 novembre 2014
Cartolina della campagna "Donna è" - 25 novembre 2014

Tra le diverse forme di violenza, le mutilazioni genitali femminili (MGF): come dimenticare quelle realtà in cui l’essere donna corrisponde ad una stigmatizzazione fin dalla nascita, alla violazione del proprio corpo a tutto tondo finalizzata al controllo del piacere: “Le mutilazioni genitali femminili sono una violazione dei diritti alla salute, al benessere e all’autodeterminazione di ogni bambina”, ha dichiarato Giacomo Guerrera, presidente dell’UNICEF Italia[2], in occasione della giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili.  Stando alle stime riportate dall’UNICEF – 2014 -, nel mondo sono più di 125 milioni le bambine e le donne che sono state sottoposte a mutilazioni genitali femminili (MGF) o escissione. Nei prossimi dieci anni, si stima che altri 30 milioni di bambine rischieranno di subire questa pratica. Somalia, Guinea, Gibuti ed Egitto, – dove si verifica un quinto dei casi globali – fanno registrare i tassi più alti di diffusione del fenomeno: in questi Paesi oltre il 90% delle bambine e delle donne hanno subito tale pratica. In altri Stati, come Ciad, Gambia, Mali, Senegal, Sudan o Yemen, non vi è stato alcun calo significativo dell’incidenza delle MGF.

Dall’Italia alcuni numeri sulla violenza: il 18 novembre a Palazzo Montecitorio presso la Camera dei Deputati, We World Intervita[3], ha presentato il nuovo REPORT contro la violenza sulle donne e gli stereotipi di genere: “ROSA SHOCKING. Violenza, stereotipi… e altre questioni del genere”[4]. Il Report fa seguito all’Indagine di WeWorld Intervita “Quanto costa il silenzio?” sui costi economici e sociali della violenza contro le donne, ed è finalizzato a cogliere la percezione del fenomeno della violenza contro le donne e la concezione del ruolo delle donne, e degli uomini diffuso nel nostro Paese, che alimenta una visione stereotipata con il fine di rimuoverla e di cambiarla. In Italia una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, è stata vittima nella sua vita dell’aggressività di un uomo. 6 milioni 743 mila quelle che hanno subito violenza fisica e sessuale, secondo i dati Istat del 2006[5]. Spesso la violenza esplode nell’ambito delle relazioni affettive e tra le pareti domestiche. Ogni anno vengono uccise in media 100 donne dal marito, dal fidanzato o da un ex. Tra il 2000 e il 2012 i femminicidi sono stati oltre 2200, pari a una media di 171 l’anno. Solo nel 2013, sono state uccise 81 donne: nel 75% dei casi il delitto è compiuto in famiglia.

Il ruolo dei Centri Antiviolenza nella lotta alla violenza di genere: i Centri Antiviolenza (CAV) accolgono le donne che hanno subito violenza, nascono agli inizi degli anni ’90 in Italia, mentre negli anni ’80 erano già presenti nel nord Europa. L’origine dei centri antiviolenza si collega sia al movimento di liberazione delle donne degli anni Settanta, che si sviluppò a livello internazionale e le politica che lo caratterizzava: le radici del movimento erano stati i gruppi di autocoscienza femminista, nei quali le donne condividevano storie di vita ed esperienze e costruivano l’analisi storico-politica della dominazione maschile e della subordinazione femminile. I Centri Antiviolenza sono “un ponte per”, luoghi dai quali si parte per ripartire, e in cui le donne ritrovano qualcosa che hanno scordato: l’ascolto e la restituzione del valore e della credibilità ai propri vissuti personali. E’ in essi che le donne iniziano il loro difficile percorso di fuoriuscita dalla violenza, supportate da professionalità “in rete” con i servizi che a vario titolo promuovono il benessere alla persona. In base ai dati estratti da “Comecitrovi: guida ai luoghi contro la violenza in Italia”[6], in Italia ci sono oltre 115 Centri antiviolenza di cui 93 sono gestiti da Associazioni di donne e 56 hanno case di ospitalità ( i dati sono da aggiornare al 2014, gli ultimi sono relativi al 2011).

Informare e sensibilizzare in ottica preventiva, dalla Puglia un’esperienza pilota: “Donna è: 101 scatti per raccontare una donna”: è ormai chiaro il ruolo di primaria importanza svolto dalle attività di informazione e di sensibilizzazione sulla tematica della violenza contro le donne a scopo preventivo. Dalla Regione Puglia spunti interessanti sono già giunti a livello normativo a seguito della Legge Regionale n. 29 del 4 Luglio 2014 dal titolo “Norme per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere, il sostegno alle vittime, la promozione della libertà e dell’autodeterminazione delle donne”, che apre spazi significativi di riflessione e di ampio respiro, nel momento in cui sgancia la donna dalla consueta condizione di “oggetto di tutela”, per muovere e abbracciare quella di “soggetto autodeterminato”, in grado di riprendere in mano la propria vita e le proprie possibilità di riuscita. Alla luce degli spunti offerti dalla normativa, la Cooperativa Sociale “SANFRA – Comunità S. Francesco, presente nel territorio regionale dal 1996 con servizi alla persona e con la propria rete di Centri Antiviolenza “Il Melograno”, ha strutturato un insieme di azioni e interventi per favorire il contrasto al fenomeno della violenza di genere, che oltre alla presa in carico globale delle vittima di violenza e della strutturazione di un percorso di recupero volta al reinserimento sociale e lavorativo, ha previsto la promozione di nuovi processi culturali, attività di prevenzione, sensibilizzazione e formazione sul territorio.

Tra questi interventi di sensibilizzazione, un’esperienza in particolare ha inteso lanciare un messaggio di rottura rispetto alle consuete immagini di violenza: “Donna è: 101 scatti per raccontare una donna Campagna di sensibilizzazione e prevenzione contro la violenza di genere, un Contest Fotografico realizzato da “SANFRA – Comunità S. Francesco – Cav “Il Melograno”, in collaborazione con l’Ambito Territoriale Sociale di Gallipoli, le Commissioni Pari Opportunità del Comune di Racale e di Gallipoli, la Fidapa di Gallipoli e Cittadinanza Attiva- Tribunale dei Diritti del Malato e Caritas Diocesana – Gallipoli, che si è proposto di esaltare attraverso il linguaggio evocativo e immediato, proprio della fotografia,  una figura di donna, nuova, reattiva, desiderosa di riconquistare il suo potenziale interiore nella sua totale interezza. Gli scatti pervenuti da ogni parte d’Italia, con la collaborazione delle scuole del territorio, sono stati la chiara testimonianza della volontà di infrangere muri di silenzio raccogliendo all’unisono infinite e instancabili voci di donne.

Cambiamento è la parola chiave di tutto, un cambiamento che chiama in causa l’attenzione,e la sensibilità di coloro che, a vario titolo, sono coinvolti nella lotta e nell’emersione del fenomeno della violenza di genere: dalle sedi istituzionali, a quelle preposte per i Servizi alla Comunità; dal Terzo Settore ai differenti organi deputati alla ricerca e alla formazione. Un cambiamento che passa, non da ultimo, anche dal linguaggio, dal modo di fare e trasmettere notizie, in un’ottica “di genere” rispettosa delle differenze individuali, che nel raccontare le donne sappia riscattarle dalle ingiustizie subite, affrancandole dal paradigma della debolezza e della cura dell’”altro” sostituendovi la “cura per sé”; una comunicazione che restituisca a ogni donna quella dignità profonda e quel rispetto verso un mondo troppo spesso violato, che altro non attende se non riemergere, con la forza che contraddistingue da sempre milioni di donne, milioni di volti che con dignità, e coraggio antichissimi, riprendo a testa alta la propria vita e il proprio cammino.

 


[1] http://www.ilvelino.it/it/article/2014/09/18/camera-domani-boldrini-a-convegno-su-convenzione-di-istanbul/36c4e6fb-be73-4beb-86f2-080446e28783/

[2] http://www.unicef.it/chisiamo/home.htm

[3] http://www.intervita.it/IT/chisiamo.aspx

[4] http://www.pubblicitaprogresso.org/eventi/rosa-shocking-violenza-stereotipi-e-altre-questioni-del-genere/

[5] http://www.istat.it/it/archivio/violenza

[6] http://comecitrovi.women.it/

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