26 Aprile 2024

In Sardegna un progetto integrato di consapevolezza

In un recente articolo da noi pubblicato, Africa, scienziati e agricoltori insieme a favore della biodiversità parlavamo del progetto Solibam e di un simposio in Africa, durante il quale si è riflettuto sulla necessità di “nuovi approcci per la riproduzione in agricoltura, integrati con specifiche pratiche di gestione“.

Creando collaborazioni tra scienziati e agricoltori, questi diventerebbero consapevoli dell’iter di riproduzione dei semi. Sarebbe quindi possibile una “genetica partecipativa”, mirata a preservare le specie locali, privilegiando semi più resistenti di quelli immessi nel mercato dalle multinazionali. Progetti come questo richiedono una riflessione profonda e un cambiamento di paradigma culturale. Ed esiste qualcuno che lo sta mettendo in pratica. Anche in Italia.

L’artificio retorico del “ritorno alla terra” presuppone che vi sia stato un distacco. Il distacco dell’uomo dalla terra è stato di natura culturale, eppure questa è ancora la fonte di sostentamento primario per l’essere umano. Tale configurazione culturale contraddittoria, necessaria al processo di industrializzazione dell’economia, ha reso il lavoro agricolo raro e poco considerato. E così il cibo è diventato un bene di consumo come un altro, accessibile senza fatica in supermercati e centri commerciali. Questo ciclo mostra oggi le sue schizofrenie con il cosiddetto “cibo naturale” pagato al prezzo di un bene di lusso.

Ma la crisi economica ha riportato alla ribalta il lavoro agricolo. Gli sforzi richiesti a chi sceglie di coinvolgersi responsabilmente nelle fonti di sostentamento, invece che essere dipendente da chi le ha fornite finora, sono però enormi e presuppongono un percorso di riscoperta personale, dei valori e della cultura che motivano questa scelta. L’azienda agricola Coa Sa Mandara, al centro della Barbagia sarda, da anni sviluppa progetti in direzione della coltura consapevole, unitamente ad attività di ricerca scientifica e culturale.

Falciatura del grano a Coa Sa Mandara

L’azienda è partita anni fa in sordina e con non poche difficoltà ma si è trasformata gradualmente in una società in grado di produrre beni di agricoltura biologica. L’economia complessiva di Coa Sa Mandara comprende anche l’ONG Plato Studies Center, scuola per bambini con due sedi, una nello Stato indiano del Kerala, e una in Nepal – e l’associazione culturale Universalia Ataltidea.

L’Associazione si occupa di organizzare incontri e seminari su tematiche legate alle attività dell’uomo nel contesto naturale, di approfondire l’unione di scienza, cultura, tradizioni filosofiche e spirituali che fondano la relazione dell’individuo con l’ambiente esteriore ed interiore. Il prossimo è in programma il 13 settembre: L’Acqua. Memoria, coscienza e bene comune. Il corso sarà tenuto da Antonella De Ninno, ricercatrice all’ENEA di Frascati presso il Laboratorio di Bioelettromagnetismo e coordinate dal prof. Domenico Fiormonte (Roma Tre). Si parlerà dei recenti approcci scientifici  sul ruolo dell’acqua nel corpo umano e in natura, oltre che  delle concezioni filosofiche e sacre, che vogliono l’acqua come elemento costituente della vita biologica, ma anche emotiva dell’individuo.

Di seguito l’intervista a Viola Padovani, una della anime di Coa Sa Mandara e fondatrice della ONG Centro Studi Platone.

Come si sposano le attività umanitarie in India con quelle dell’associazione culturale e dell’azienda agricola?

Innanzitutto grazie alla considerazione che tutto è collegato, sia dal punto di vista gnostico che spirituale. Ce lo dicono anche gli studi di fisica quantistica. Occidente e Oriente fanno parte di un intero. Il sogno che inseguiamo è riportare in vita quest’archetipo di unione per ritornare al seme originario della conoscenza. L’Ong non a caso è intitolata a Platone, il filosofo delle idee primarie. In India procuriamo a bambini poverissimi un pasto al giorno e un’educazione per orientarsi nel mondo. Poi abbiamo cercato un luogo affine, in Italia, per dare un’altra polarità a questa linea e abbiamo progressivamente costruito l’azienda agricola a Coa Sa Mandara.

Come hai sviluppato questo modo così particolare di approcciare il volontariato? Quale esperienza vorresti per chi si propone come volontario?

Le esperienze che vediamo in giro sono quasi sempre pessime. Gli italiani, soprattutto, vogliono avere qualcosa da fare a tutti i costi.
La tendenza alla colonizzazione e a fare cose sbagliate, anche inconsapevolmente, è difficile da impedire. Per esempio il frigorifero che ci hanno regalato una volta, è un oggetto pericoloso: può arrugginire e contaminare i cibi. L’idea di collaborazione, di aiuto, anche quando in buonafede, non è necessariamente valida. Portare i fiori ai bambini indiani significa dargli dei simboli religiosi e quindi confonderli profondamente. Ci sono state persone che nonostante le premesse di trovarsi in uno dei villaggi più poveri del circondario, in una scuola che nasce soprattutto per assicurare un pasto, sono venuti con macchine e gioielli di lusso. I volontari dovrebbero fare questa esperienza con la voglia di imparare. Ma spesso reagiscono con fastidio quando gli consigliamo cosa fare e cosa è meglio non  fare. Ma ci sono state anche persone meravigliose.

Dunque quello che si verifica nella scuola in India con i bambini, si verifica nell’azienda agricola in Sardegna: riconoscendo la ricchezza della natura e dell’umanità comprendiamo la coerenza di comportarci come una parte di essa. In Occidente c’è ancora molto da capire sull’India…

L’India è un paese paradossale e difficile da comprendere. La convivenza tra futuro e passato, come in tutti i Paesi dove ricchezza e povertà convivono, è particolarmente controversa in India, ma è la spiritualità che mantiene viva la tradizione. Ci sono zone dove vedi circolare Suv e auto di lusso, altre piene di immondizia, ma ovunque si sente l’odore dell’incenso dei riti religiosi. Quello che spiazza un occidentale sono le manifestazioni di tutte queste realtà nello stesso momento. L’eco che provocano gli episodi di violenza è anche dovuta al fatto che nell’inconscio collettivo l’India è pace. Effettivamente fa veramente spavento che accadano lì, dove non ti chiedono come ti chiami, ma di che religione sei – perché la spiritualità ha governato tutto fino ad oggi –. Da una parte ha ottenebrato menti e cuori, mantenendo vive certe follie, certamente incomprensibili, dall’altra ha mantenuto punti fermi importanti, come le manifestazioni spirituali o la normalità di vedere qualcuno per strada che prega. I sensi sono molto coinvolti in India. L’unico approccio quando si è lì, ma forse in questo momento anche qui in Occidente, è liberarsi da pensieri e preconcetti. Altrimenti la si assapora solo in modo freddo, o attraverso la contrapposizione con la nostra cultura. Bisogna cercare di immedesimarsi in quella realtà, per quanto ci è possibile. Solo in questo modo riusciamo a lavorare nei nostri progetti, altrimenti non sarebbe possibile. Per esempio, in India la nudità ha un certo peso, io non posso andare sbracciata a scuola e quando giochiamo con i bambini devo scoprirmi a poco a poco. Dieci anni fa mi regalarono dei libroni di opere d’arte con le statue greche e romane per portarli a scuola, ma io non potevo farle vedere ai bambini, avrei stravolto il loro equilibrio, non potevo mostrargli uomini nudi con la foglia di fico, perché loro non accettano che esista la nudità fuori dal privato.


Bambini ed insegnanti al Plato Studies Center di Vizhinjam

La scuola però sta per chiudere a causa dell’imminente costruzione di un porto, come interagirai con le istituzioni indiane per ricostruire la scuola?

Il governo indiano non ama che ci sia gente estranea che voglia dare una mano. Quando sarà il momento ci diranno un prezzo forfettario in una zona dove i prezzi sono quintuplicati e non sapremo come fare. L’India riconosce soltanto le scuole religiose e governative – le Moschee per esempio non possono essere abbattute. Non abbiamo alcuna possibilità. Il Plato è una scuola nata nel passato e oggi siamo nel futuro, questo momento di passaggio vissuto anche in Occidente, in India è emblematico e bisogna accettarlo.

Chi voglia contribuire con una donazione, può farlo qui.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *