19 Marzo 2024

Le “leftover women” cinesi e i danni del neo-liberismo

[Traduzione a cura di Marisa Petricca dell’ articolo originale di Linda van der Horst e En Liang Khong pubblicato su OpenDemocracy]

Le donne cinesi stanno affrontando una nuova crisi della disuguaglianza di genere. Leta Hong Fincher se ne occupa nel suo nuovo libro Leftover Women. In questo articolo l’autrice racconta il futuro del femminismo nel contesto del neoliberismo socialista.

L’emancipazione delle donne in seno alla teoria socialista e nelle politiche dei partiti comunisti al potere, è sempre stata intrecciata col progetto rivoluzionario e ha significato la mobilitazione delle donne nella forza lavoro. Ma nella pratica, la testimonianza comunista è stata un insieme prolungato di progressi intermittenti. Il fatto che le sostanziali carenze dell’emancipazione femminile manifestino chiaramente l’inadeguatezza della teoria socialista, o le precise strategie di sviluppo perseguite da questi Stati, è oggetto di decisa contestazione.

La situazione in Cina lo riassume perfettamente. Nonostante i suoi fallimenti, l’era maoista è stato un periodo relativamente di successo nello sfidare le forme tradizionali di disuguaglianza di genere. Dichiarando che “le donne reggono l’altra metà del cielo”, Mao ha abolito la pratica della fasciatura dei piedi, promuovendo l’educazione femminile e la partecipazione nella forza lavoro e, con la Legge Matrimoniale nel 1950, ha capovolto le nozioni tradizionali del matrimonio.
Ma dalla svolta, verso la modernizzazione economica, le conquiste ottenute dalle donne in Cina hanno iniziato a essere intaccate e le loro condizioni materiali rispetto agli uomini a peggiorare. “Alla fine degli anni ’70, le statistiche mostravano una partecipazione femminile nella forza lavoro estremamente alta, ma molti amministratori e accademici sostenevano che questa cosa fosse artificiale, e in un certo senso lo era: le donne erano poste in posizioni manageriali come richiedeva la politica statale, ma erano al di fuori dell’imperativo economico” afferma la sociologa americana Leta Hong Fincher. “Sono in molti oggi a non vedere il declino della partecipazione femminile come una cosa negativa. Il governo presta un’attenzione puramente formale all’idea dell’uguaglianza di genere.”

Le “leftover women”

L’insorgente crisi che ha portato alla disuguaglianza di genere si allinea perfettamente con il cambio delle raffigurazioni della femminilità nell’era riformatrice. Nei primi anni ‘90, le donne erano state spinte a sostenere la modernizzazione economica ritirandosi dalla forza lavoro e aumentando così la disoccupazione urbana e, ancora una volta, la sfera privata per le donne era stata ribadita in modo aggressivo. Le immagini iconiche delle “Ragazze di ferro” della Cina, un tempo dipinte come eroine lavoratrici, venivano allora respinte come “copie degli uomini”.

Il lavoro di Leta Hong Fincher, pubblicizzato sul New York Times e su Dissident e ora nel suo libro Leftover Women, svela le forze scatenanti che stanno dietro una recente campagna della complessa propaganda statale cinese: cioè la preoccupazione riguardante le cosiddette shengnu o “leftover women (letteralmente “donne-avanzi”, più precisamente termine che indica donne in carriera sui 30 anni, ma ancora nubili [n.d.t]).

Nel 2007, la Federazione delle Donne cinesi, sostenuta dallo Stato, ha emanato una dichiarazione rivolta alle donne che hanno privilegiato la carriera ritardando il matrimonio: “Le leftover women sono donne urbane moderne, molte delle quali hanno ricevuto un alto grado d’istruzione, hanno alti guadagni e alto QI. Sono belle, ma per loro è molto difficile trovare dei coniugi e quindi non hanno ancora trovato partner ideali per il matrimonio.” Ma l’ironia, ovviamente, è che la politica del Figlio Unico e la preferenza tradizionale per i figli maschi hanno accresciuto il surplus di uomini.Malgrado la foga dei media riguardo le donne ‘avanzi’, che sono presumibilmente condannate a restare single per sempre, la Cina sta in verità affrontando una scarsità di donne in età da matrimonio”, scrive la Fincher.

È questo sovraffollamento maschile che preoccupa il Partito – la prospettiva della crescita numerica di uomini giovani e infuriati, che non riescono a far coincidere le prospettive di lavoro con le aspettative di vita. Leta Hong Fincher estrae il contenuto che sta al cuore della nozione di shengnu: una campagna statale che vuole creare paura nelle donne istruite e che si muovono nella società, per forzarle a risolvere la crisi sposandosi in giovane età. […]

La campagna delle shengnu, spiega L.H.F, fa parte del ponderato e omnicomprensivo progetto per aumentare la qualità della popolazione e creare dei “soggetti neoliberali”: “Il tipo di persone che il Governo cinese vorrebbe che avesse figli sono proprio le donne di città con un alto grado d’istruzione, che dovrebbero essere in grado di produrre prole con un patrimonio genetico ‘superiore’ ”. […]

La campagna delle shengnu è perciò lontana dall’essere atipica; il PCC ha adottato tecniche sofisticate di persuasione di massa per dettare la linea del Partito in ogni cosa, dai gruppi etnici agli attivisti LGBT. E come scrive la politologa Ann-Marie Brady, la macchina della propaganda del Partito sta diventando sempre più sofisticata, al passo con i messaggi di fondo del PCC che sono assorbiti dal loro argomento corrispondente. Le donne altamente istruite in Cina, come spiega Hong Fincher, hanno interiorizzato profondamente l’etichetta e gli standard associati alle “leftover women”.

Solo una questione culturale?

La Fincher riconosce che la società cinese è pervasa da norme profondamente patriarcali. Allo stesso tempo, la stigmatizzazione degli “avanzi”, come essa stessa scrive, “non è solamente un curioso fenomeno culturale.” La campagna delle shengnu ha delle implicazioni di significato ben più ampio, in quanto interagisce con altre dinamiche della società.

La studiosa dimostra nel suo libro come le donne siano state largamente lasciate fuori dalla più grande accumulazione immobiliare della storia, valutata in oltre 30 miliardi di dollari. La campagna delle shengnu è stata promossa all’interno di modifiche della legge di vasta portata. Nell’agosto del 2011, la Corte Suprema cinese ha deliberato su un divorzio, affermando che l’unica persona che viene nominata nel rogito familiare ne è l’unico proprietario. Questa persona normalmente è un uomo. Questa nuova interpretazione della legge sul matrimonio ha messo nell’angolo la Rivoluzione Culturale, che nel 1950 aveva garantito alle donne il diritto di proprietà e in successive revisioni aveva rafforzato la nozione della proprietà coniugale comune.

Contemporaneamente, i genitori in Cina sono più propensi ad assistere nell’acquisto di una proprietà i loro figli maschi rispetto alle figlie. Ma come dimostrano gli studi della Hong Fincher, è molto più problematico il fatto che quelli “con una figlia unica rifiutino di aiutarla a versare un acconto su una casa, proprio per il fatto di essere donna”. Invece, preferiscono contribuire nell’acquisto di una proprietà per un cugino maschio. L.H.F. crede che “la proprietà immobiliare nelle città è diventata una caratteristica della virilità così determinante che gli uomini con un alto grado d’istruzione che non riescono a comprare una casa possono provare senso di vergogna o fallimento.”

Le “leftover women”, dunque, non solo sopportano una forte pressione a correre verso il matrimonio, ma sono ora in una posizione di trattativa più debole nella sfida alle norme patriarcali. L’autrice del libro osserva, appunto, che poiché la proprietà viene registrata a nome del marito, il potere di negoziazione della donna all’interno della relazione si è indebolito. E ciò significa che è meno probabile che lei chieda il divorzio, anche da un marito violento. E ancora, la legge non si muove in direzione dell’assistenza alla donna. È raro che casi di conflitti domestici arrivino in tribunale: “il sistema è stato organizzato apposta per farti lasciar perdere”.

La grande intuizione della Hong Fincher è stata quella di collegare la teoria del patriarcato ad una critica più profonda dei tassi delle proprietà di lusso in Cina e del boom immobiliare negli ultimi 10 anni, insieme alle dinamiche economiche e ai fallimenti dell’assistenza sociale del regime post-socialista. “Se la Cina avesse un sistema di sicurezza sociale completo” ipotizza la studiosa “è possibile che i giovani cinesi non sentirebbero più il bisogno di comprare una casa per avvertire un senso di sicurezza economica.”

Prospettive organizzative

Per l’autrice di “Leftover women”, le prospettive future dell’attivismo femminista in Cina restano sconfortanti […] “Farei un interessante paragone tra questa assenza di un significativo  movimento delle donne in Cina e lo sviluppo di un movimento ambientale” dice L.H.F. “La vibrante organizzazione di quest’ultimo ha portato ad importanti proteste, spesso nate dalla classe media, che si preoccupa profondamente delle questioni ambientali. Queste proteste hanno avuto un impatto ai livelli più alti del Partito, e notiamo questo nella nuova trasparenza sull’inquinamento.”


Smog a Shanghai. Demotix/Thierry Coulon. Tutti i diritti riservati.

L’autrice crede che ciò testimoni “non solo un certo tipo di carenza nella capacità organizzativa delle femministe, ma piuttosto una totale mancanza di interesse sui diritti delle donne nella società cinese.” Fra quello che la Fincher descrive come “una rampante discriminazione di genere, viva e fiorente sul posto di lavoro” un barlume di speranza è arrivato all’inizio di quest’anno, quando Cao Ju ha vinto la prima causa di discriminazione di genere in Cina e il pagamento di 30,000 yuan. Ma questa è una vittoria personale piuttosto che un rovesciamento dei problemi strutturali. La Ficher ricorda i molti limiti che affrontano gli attivisti: “un esempio dei problemi sono le politiche onerose di registrazione per le ONG e le molestie della polizia anche per le azioni più innocenti. Questo è il livello di controllo e di paranoia che dobbiamo affrontare.”

È ancora poco chiaro dove dovrebbe emergere una forza femminista significativa. Leta Hong Fincher cita il femminismo radicale di Li Maizi, che rimprovera i social media cinesi […]: “Weibo è molto patriarcale. È una piattaforma dove si trovano rimproveri e abusi verso le donne, quindi non si può usare per aiutarle”. Agli occhi della Fincher “Internet può essere un’importante piattaforma per le donne, per sentirsi meno sole”, ma resta poco chiaro se Weibo potrebbe far nascere un movimento femminista.

Gli studi della Hong Fincher sottolineano il ruolo critico del femminismo nelle ideologie progressiste di uguaglianza. L’anarco-femminista He-Yin Zhen fondò il giornale femminista Natural Justice nel 1907,  vi fu pubblicata la prima traduzione cinese del Manifesto Comunista di Marx. Contrariamente a quanto il Partito ha voluto far credere, che cioè che il comunismo abbia portato il femminismo in Cina, la Fincher osserva che è stato il contrario: fu il femminismo a portare il Comunismo nel Paese. Ma “i segni del movimento delle donne, che portarono a un rovesciamento della dinastia Qing, oggi non si vedono da nessuna parte” afferma. “Oggi, il futuro del femminismo radicale in Cina è vago e questo esprime semplicemente la realtà politica.”

[…] l’autrice afferma che i tentativi pratici di contestare l’oppressione di genere includono anche una sfida alla svolta neoliberista cinese.La campagna delle shengnu è parte integrante del processo di privatizzazione delle abitazioni, della riforma del mercato e della marcia verso il capitalismo” afferma. “Il contesto più vasto dietro a tutto ciò è un capitalismo sfrenato, allineato con uno Stato che domina.” Le donne sono state costrette a sacrificare i loro interessi per il bene della stabilità sociale e questo chiaramente indebolisce le sorti del progresso sociale delle donne in Cina.

Il libro di Leta Hong Fincher “Leftover Women: the resurgence of gender inequality in China” è pubblicato da Zed Books.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *