26 Aprile 2024

Il dialogo alla base della sicurezza per prevenire i conflitti

[Nota: Il Corso in Diritti Umani e Giornalismo Partecipativo tenuto al liceo Fermi di Bologna, ha previsto quest’anno una lezione/evento alla mostra Senzatomica – Trasformare lo spirito umano per un mondo libero dalle armi nucleari ospitata a Palazzo d’Accursio dall’11 ottobre al 3 novembre. È stata l’occasione per sviluppare insieme agli studenti una serie di temi inerenti il disarmo, la sicurezza degli esseri umani, la pace e i conflitti e le motivazioni che li scatenano.]

Rebecca Torre 3^E

Sono in molti a chiedersi che cosa sia veramente la sicurezza. Per alcuni è uno stipendio sufficiente, per altri un lavoro sicuro, per altri ancora semplicemente un tetto sopra la propria testa. Tutte componenti che dovrebbero esserci garantite dallo Stato, che “ha il dovere” di occuparsi di noi.
In mancanza del soddisfacimento di questi bisogni, in ogni individuo nasce un senso di malessere, di insoddisfazione, nonché un evidente stress a livello emotivo che può manifestarsi in diverse forme, anche la violenza.
È proprio questo, la mancanza di sicurezza, che spesso costituisce il fattore scatenante di quello che noi oggi chiamiamo terrorismo, che utilizza diversi mezzi per riuscire nei propri intenti.

E si arriva così a quello che è il vero punto interrogativo, il vero problema è: “possiamo ritenerci davvero al sicuro poiché siamo in possesso di conoscenze in grado di porre fine alla nostra esistenza, come la bomba atomica ad esempio?”.
Si può affermare che la sicurezza pubblica, quindi dello Stato e il necessario disarmo di quest’ultimo, sono due concetti che possono essere affrontati parallelamente.
Fra le tante armi sviluppate negli ultimi decenni la più pericolosa e letale è senz’altro la bomba atomica, un’arma il cui fine è la distruzione di massa.
Sono stati numerosi i tentativi in questi anni di intervenire per rendere “fuorilegge” questi ordigni, ma nonostante ciò, ancora oggi sono 8 i Paesi che formalmente detengono armi nucleari nel proprio territorio: non molti sanno inoltre che anche l’Italia, che fa parte del Gruppo di Pianificazione Nucleare, ospita bombe statunitensi, violando così il TNP, Trattato di non proliferazione nucleare.

Risulta normale porsi dunque la seguente domanda: “è più importante la sicurezza dello Stato, o quella umana?
Sono in molti a scegliere la prima opzione, per giustificare i loro possedimenti nucleari, non rendendosi conto di quanto la deterrenza – motivazione che sta dietro il possesso di queste armi – costituisca un rischio per la specie umana e quindi anche per loro stessi.
Essa comporta rischi, incidenti, danni dovuti ai test, e costituisce una vera e propria minaccia alla sicurezza, creando così un evidente clima di paura.
Tutto ciò mette a dura prova il valore di quanto scritto nella Carta delle Nazioni Unite, che tra l’altro promuove l’uso del dialogo, della diplomazia e della cooperazione.

Secondo Kofi Annan, ex segretario generale delle Nazioni Unite, è necessario passare da una “cultura della reazione” ad una “cultura della prevenzione” e non pensare più solamente alla sicurezza dello Stato, ma a quella di ogni singolo individuo. E quale miglior metodo di prevenzione, se non il dialogo?
È fra i metodi più sottovalutati però, considerato un provvedimento passivo e poco efficace, nonostante siano tante le situazioni storiche che hanno dimostrato il contrario.

Nelson Mandela, per fare un esempio, per uscire dal dramma degli odi e violenze scaturiti dall’Apartheid, utilizzò il dialogo nella Commissione per la Verità e Riconciliazione, la cui istituzione fu favorita da lui stesso nel 1995. In questa sorta di tribunale fu data la possibilità agli afrikaner colpevoli di violenze di ogni tipo nei confronti dei neri, di mettersi a confronto con le proprie vittime, con le quali poterono scusarsi e ricevere amnistia.
Così come è vero che le guerre e i conflitti, hanno origine nella mente dell’uomo e poi diventano azioni, è necessario che anche ogni cambiamento abbia origine nella propria vita personale. È importante, dunque, prendere coscienza di ciò che accade e poi rimboccarsi le maniche e contribuire nel cercare soluzioni al problema, perché tutti noi facciamo parte dello Stato.

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