Voci Globali

“Bianco e Nera”, un’esperienza di viaggio in Camerun

Il gruppo padovano “Bianco e Nera” sta organizzando un viaggio di conoscenza e volontariato in Camerun, esperienza che è giunta ormai alla sua quinta edizione. Cuore del viaggio è la conduzione del progetto legato al Centro di formazione per Giovani del villaggio di Ngambè-Tikar, inaugurato alcuni anni fa.
Il programma prevede inoltre un’articolato itinerario all’interno del Paese che consente un’esperienza di autentico incontro con le persone e la cultura africana.

In occasione della recente Festa dei Popoli a Padova, cui anche noi di Voci Globali abbiamo partecipato, abbiamo incontrato il fondatore del gruppo Federico Bollettin.
Ne abbiamo approfittato per fargli una breve intervista, perchè Federico è una persona che vale la pena di conoscere e ascoltare. Ex sacerdote, ha scoperto e sposato l’Africa diversi anni fa, metaforicamente ma anche nella persona di Fidelia, una ragazza di origini nigeriane: sono oggi genitori di tre figli. Su queste sue esperienze di vita Federico ha scritto anche un libro, intitolato appunto “Bianco e Nera”, si veda qui.
Se le prime domande riguardano il prossimo viaggio in Camerun, non abbiamo perso l’occasione di rivolgergli qualche domanda anche sui temi dell’intercultura e dell’integrazione, dato il suo punto di vista assolutamente privilegiato.

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Federico, so che quest’anno stai organizzando un nuovo viaggio in Camerun, dove riprenderai il filo dei tuoi progetti di cooperazione. Ci racconti cosa stai cercando di realizzare laggiù?

Sto cercando di sognare in grande, di credere cioè nei miracoli! Il miracolo più grande per il popolo africano è quello di recuperare stima e fiducia in se stesso, nelle proprie capacità, per poter camminare in autonomia. Ecco che il nostro progetto, pur essendo di piccole dimensioni e senza scadenze, vuole evitare l’assistenzialismo colonialista o perbenista. Anche un piccolo centro di formazione per i giovani, disperso dentro la foresta, diventa un grande progetto se tutti vengono coinvolti e se, tra mille difficoltà, si collabora assieme, ognuno con le proprie responsabilità.

Oltre a riprendere il filo dei progetti in corso, so che i tuoi viaggi rappresentano in realtà un’esperienza più ampia: ce la puoi descrivere brevemente, in modo da incuriosire e magari invogliare qualche lettore a partecipare?

In effetti lo scopo principale dei miei viaggi non è il progetto in sé ma è un’occasione che offro di incontrare e conoscere persone di cultura differente dalla nostra. Non attraverso una conoscenza intellettuale ma esperienziale. Ospiti nelle famiglie senza il filtro istituzionale di organizzazioni umanitarie o missioni religiose. Inoltre la mia personale esperienza di amore e matrimonio con una donna di origine africana mi permette di fare da “ponte” tra le due culture.

Chi fosse interessato ad acquisire maggiori informazioni sul viaggio in programma quest’anno può contattare Federico Bollettin attraverso la sua email: bollettin.federico@libero.it. Si può anche curiosare nel blog da lui curato. Segnaliamo che all’organizzazione del viaggio partecipa anche un socio della nostra associazione Voci Globali, Fabio Romanato.

Sotto un’immagine del villaggio di Ngambè-Tikar, dov’è stato sviluppato il progetto per il Centro di Formazione per i Giovani del villaggio.


Come “Bianco e Nera” che vivono insieme e hanno costituito una famiglia, quali sono le principali difficoltà che dovete affrontare tu e Fidelia, anche alla luce delle differenze culturali?

Dentro il quadro dell’amore, anche le differenze culturali si affievoliscono. O diventano ricchezza. Le difficoltà principali per una coppia mista, in un mondo globalizzato, rimangono legate al carattere della persona. Prima di sposarmi, ho cercato di conoscere la persona di mia moglie nella sua globalità. E lei ha fatto altrettanto con me. Per assurdo le maggiori difficoltà arrivano quando io vorrei che lei fosse più africana e lei vorrebbe che io fossi più italiano!

Rispetto ai temi dell’integrazione e dell’intercultura, la vostra è una posizione privilegiata. Ciascuno di noi può promuovere dal basso un miglior livello di convivenza sociale: quali suggerimenti vi sentite di dare per intraprendere un autentico percorso di integrazione?

Il percorso che consiglio è fondato più sull’esperienza che sulla teoria. Tutti noi possiamo cercare l’amicizia di una persona di cultura differente con la quale condividere tempi e spazi. Non sono tanto le associazioni, le ONLUS, le Caritas… che migliorano le relazioni interculturali. Ma le esperienze che ognuno di noi fa ad esempio con i genitori del compagno di scuola del proprio figlio, o con il vicino di casa, o con il collega di lavoro. Attenzione però: l’incontro autentico deve essere libero dal pregiudizio e dagli stereotipi che la televisione ci inculca.
Pensando al mondo del volontariato, l’ostacolo più forte che ci impedisce di fare esperienza di incontri autentici e arricchenti con l'”altro”, nel nostro caso con persone di cultura africana, deriva da un forte istinto all’assistenzialismo. Siamo spesso portati ad “aiutare” l’africano, e quindi a vederlo con un senso di inferiorità. In questo caso non riusciremo mai ad incontrarlo e a conoscerlo, perchè vediamo solo i suoi problemi e la nostra superiorità nel risolverli.

Pensando all’attualità politica, vorrei capire da te cosa pensi della proposta del neo-ministro Cécile Kyenge di introdurre in Italia lo ius soli. Ritieni che la sua proposta e il conseguente dibattito possano aiutare la causa dell’integrazione?

E’ una legge giusta, perchè un bambino nato in Italia da genitori stranieri non conosce nulla del Paese d’origine e quindi è da considerarsi italiano. Mangia italiano, parla italiano, ha frequentato l’asilo nido, la scuola materna e le elementari in Italia. Non è mai stato in Nigeria, in Bangladesh, in Cina… Quando si guarda allo specchio nota solo il colore diverso della pelle, ma per il resto è tutto italiano. Con i pregi…ma anche i difetti!

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