23 Aprile 2024

Investimenti indiani in Africa, è “land grabbing”?

[Post di Ayesha Saldanha pubblicato originariamente su Global Voices Online in inglese e tradotto da Alessandra Panzera.]

Mentre gli investimenti esteri per l’acquisto o l’affitto di terre in Africa continuano, cresce il dibattito su questa pratica: è davvero utile in termini di sviluppo economico, o si tratta di “land grabbing”, accaparramento di terre, che costringe le comunità locali ad abbandonare i propri villaggi e pone una minaccia alla sicurezza alimentare?

Il corrispondente del The Hindu da Addis Abeba, Aman Sethi (@Amannama), ha parlato di recente del coinvolgimento di aziende indiane in Etiopia e Mali, prendendo parte il 19 maggio scorso a una sessione di Domande e Risposte su Facebook riguardante il presunto land-grabbing indiano nei Paesi africani.

Susanna Myrtle Lazarus chiede:

Qual è l’obiettivo dell’accaparramento di terre in Africa? E’ per il valore delle proprietà o per lo sfruttamento di risorse naturali, ad esempio l’acqua?

Aman Sethi sottolinea che il termine “land grab” è oggetto di disputa:

Domanda interessante: i tribunali discutono ancora dell’intera faccenda del “land grab”. Le Nazioni Unite, ad esempio, hanno stabilito delle linee-guida per l’investimento in proprietà terriere. I Paesi ospiti tendono ad affittare la terra piuttosto che venderla, per cui non si tratta in genere di valore dei terreni, perché la compagnia straniera non può rivenderli. Per cui gli investimenti mirano piuttosto all’acquisizione delle più svariate risorse naturali – dai minerali al legname, dal suolo all’acqua per irrigare i raccolti. La grande domanda che rimane è se i Paesi ospitanti ottengano la giusta compensazione per l’affitto di terreni e (spesso) per l’allontanamento forzato delle comunità locali.

Sai Ramakrishna Karuturi, Managing Director di Karuturi Global Ltd., Gambella, Etiopia. Foto dell'utente Flickr Planète à vendre su licenza CC
Gambella, Etiopia. Foto dell’utente Flickr Planète à vendre su licenza CC.



Jayakarthik Sabarathnam domanda invece:

Non pensi che la questione della terra in Africa sia il risultato di una confusione circa la natura della proprietà, se individuale o statale, dal momento che le comunità hanno continuato a rivendicare diritti sulla terra abitata, considerata però dal governo come propria?

Sethi risponde:

Credo che questo sia il punto cruciale – almeno in due dei Paesi di cui ho scritto: in Etiopia e Mali c’è una grande confusione sui titoli di proprietà della terra. In Etiopia, per fare un esempio, tutta la terra è di proprietà statale e viene affittata a privati, individui o aziende. In posti come Gambella, citata nella seconda parte della mia storia, le comunità vantano titoli comunitari preesistenti sulla terra, di cui il governo non è però a conoscenza. Questa situazione crea problemi seri. Il governo etiope è convinto che il Commune Development Programme, ovvero un programma di creazione di comunità in base ai titoli di proprietà, potrebbe semplificare il processo di spartizione della terra a vantaggio dei villaggi che decidono di aderire allo schema. Ad ogni modo, l’adozione di un simile programma comporta un cambiamento radicale nel modo in cui le comunità concepiscono i loro diritti sulla terra.

Roybath Mylaks si interroga sulla capacità degli investimenti indiani di accrescere le capacità locali:

Le compagnie indiane stanno migliorando le competenze e le abilità delle comunità locali? Stanno assumendo personale in loco o in India?

Aman Sethi afferma:

Riguardo il lavoro, il governo etiope è chiaro nel richiedere che le compagnie straniere formino il personale locale. Lo scorso anno, ho raccontato la storia del magnate Ponty Chadha e del suo piano per portare contadini del Punjab in Etiopia, immediatamente respinto dal governo indiano. La soluzione più diffusa consiste comunque nell’assumere operai locali, mentre la dirigenza o i lavori altamente qualificati sono assegnati a personale espatriato.

Molto simile alla precedente la domanda di Samiksha Srivastava:

Credi che le compagnie indiane favoriscano lo sviluppo locale?

Data la complessità della risposta, Sethi fa riferimento al caso della multinazionale indiana Karuturi Global, aspramente criticata per la sua condotta in Etiopia:

Molti Paesi in via di sviluppo continuano ad interrogarsi sul reale significato dello sviluppo – qual è il percorso da intraprendere, quali risorse allocare, qual è il ruolo dello Stato e quello dei mercati. Per cui, credo che anche le compagnie indiane abbiano guadagnato il loro posto in questo dibattito, partecipando alle economie dei Paesi in via di sviluppo. Molti etiopi sono contrari all’acquisto di smisurate porzioni di terra per mano di compagnie straniere, mentre altri sono convinti dell’importanza dell’intervento di aziende come Karuturi per incassare valuta straniera.

Pranay Sinha chiede:

Pensi che il governo debba implementare degli standard minimi per le aziende straniere in modo da evitare lo sfruttamento della popolazione locale nel processo di investimento, o devono essere posti dei limiti dallo stesso codice di condotta delle aziende?

Facendo di nuovo riferimento alla Karuturi Global, Aman Sethi espone la sua opinione:

Molti governi predispongono un quadro normativo per salvaguardare i diritti delle comunità interessate dai progetti, ad ogni modo risulta spesso difficile monitorare queste aziende, specie in India. Nel caso Karuturi, nessuna legge è stata infranta, piuttosto è stato compiuto un errore strutturale nell’interpretazione del progetto, per questo penso che bisogna andare oltre le legislazioni vigenti e cominciare invece a comprendere al meglio questo genere di processi. E’ facile parlare di neocolonialismo senza sforzarsi di comprendere la realtà dei fatti, anzi, riducendo la possibilità di impegnarsi nella lotta all’accaparramento di terre proprio perché il dibattito è messo a tacere.

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