Quasi venti punti percentuali di calo nella spesa per gli armamenti nel decennio 2003-2012 e oltre cinque punti in meno nella variazione tendenziale 2011-2012.
L’Italia risparmia, pur rimanendo tra i dieci Stati al mondo che spendono di più nell’acquisto di armi.
È la fotografia scattata dal Sipri, l’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma, sul trend di spesa militare globale nel 2012, formulato in base a dati forniti dalle nazioni stesse e resa nota il 15 aprile.
Una spesa che l’anno scorso ha raggiunto complessivamente i 1.753 milioni di dollari, equivalenti al 2,5 per cento del prodotto interno lordo mondiale. Si tratta del primo decremento dal 1998, riporta il documento, epoca della fine della guerra fredda; una flessione in termini reali dello 0,5% che riguarda però solo l’Occidente, visto che in Nordafrica, Europa dell’Est, Asia, America Latina e Medioriente i dati parlano invece di una crescita consistente. “L’inizio di una fase – secondo Sam Perlo-Freeman, direttore del programma di monitoraggio delle spese militari del Sipri – di uno spostamento dell’ago della bilancia dai ricchi Paesi occidentali, che risentono della crisi economica, verso le nuove potenze emergenti. Con indicatori che fanno vedere nei prossimi due-tre anni una diminuzione costante in Occidente e un aumento negli altri”.
Il mondo dell’informazione ha subito ingranato la quarta, e la notizia del “crollo” delle spese militari ha fatto il giro del web. Ma interpretando i numeri c’è chi ha indicato l’effetto dei tagli alla spesa pubblica in un momento molto difficile per l’economia mondiale, conseguenza della crisi finanziaria; rilevando inoltre come il calo delle spese militari sia relativo alle stime basate su criteri di misurazione variabili da Paese a Paese.
Così riporta Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete italiana per il disarmo che sul suo blog approfondisce l’indagine Sipri:
Dal punto di vista delle valutazioni ciò non deve essere letto e rilanciato come una vera diminuzione delle spese militari mondiali, che in realtà si stanno solo assestando. L’effetto, come dimostrano le analisi di dettaglio diffuse dal SIPRI, è determinato soprattutto da un rilevante calo messo in opera dai paesi del cosiddetto “blocco occidentale” che, per i loro problemi di budget ormai continuativi, hanno iniziato proprio nel 2012 a limitare le proprie spese in questo ambito. Ricordiamo che la crisi finanziaria ed economica è invece iniziata dal 2008 e ha quasi fin da subito dispiegato i propri effetti su altre voci dei bilanci pubblici. E perciò una spesa militare mondiale che è andata crescendo in maniera robusta negli ultimi 20 anni e che ancora oggi, in termini reali, supera il livelli dei picchi di fine “Guerra fredda” non può certo essere considerata come in effettiva diminuzione.
E dell’Italia dice:
Tra i primi 10 paesi per la spesa militare mondiale ben quattro, infatti, vedono nei dati SIPRI un totale non riconosciuto in maniera precisa ma solamente stimato. Tra di essi proprio l’Italia (decima) e la Germania che la precede di un posto in classifica, ma soprattutto la Cina e la Russia che si collocano al secondo e al terzo posto dietro gli Stati Uniti. Per il nostro Paese questa sottolineatura è rilevante, perché se guardiamo le stime SIPRI abbiamo delle tendenze diverse da quelle desumibili dai dati ufficiali di bilancio.
Un bilancio spulciato alla voce “spese militari” da Giulio Marcon e Massimo Paolicelli della Campagna Sbilanciamoci, dal quale hanno tratto il dossier “Economia a mano armata”. Nel libro bianco emerge che nei prossimi anni in Italia verranno spesi 15 miliardi di euro per 90 cacciabombardieri F35 (escluse le spese di gestione e manutenzione) e oltre 200 miliardi per la nuova riforma dell’apparato militare (che vedrà ridurre di un terzo le proprie strutture); e che il bilancio del ministero della Difesa vedrà un aumento del proprio budget nel triennio 2013-2015 crescendo da 19.962 milioni dell’esercizio 2012 a 21.024 milioni di euro previsti per il 2015.
E vengono lanciate una serie di proposte alternative: taglio di 10 miliardi in tre anni delle spese militari, riduzione da 190mila a 120mila degli organici delle Forze armate, cancellazione del programma di costruzione ed acquisizione dei cacciabombardieri F35. I soldi risparmiati verrebbero destinati a un piano straordinario di ammortizzatori sociali e di sostegno al reddito per trecentomila precari, messa in sicurezza delle scuole e la possibilità per settantamila giovani di poter svolgere il servizio civile.
Quella sul programma “F-35 Lightning II-JSF” (progetto di acquisizione degli F35 discusso per la prima volta in Italia nel 1996), è una polemica che va avanti da tempo. In una fase in cui mancano le risorse essenziali per mandare avanti il Paese, si tagliano spese sanitarie e sociali, ci si domanda perché si voglia investire in un aereo da combattimento dichiarato difettoso (il serbatoio sarebbe vulnerabile ai fulmini potendo dunque scoppiare). Alcuni opinionisti mettono in risalto il silenzio del Governo sul fatto che molti Paesi stanno cancellando le commesse per l’acquisizione dei cacciabombardieri a causa degli inconvenienti tecnici. Mentre ci sono esperti che propongono di dirottare i miliardi destinati agli F-35 all’integrazione delle Forze armate italiane con quelle europee, ovvero investire sulle persone e sull’esercito.
Intanto, su Facebook si promuove la campagna “Taglia le ali alle armi” che chiede al governo di non acquistare i caccia e invita a sottoscrivere un nuovo appello, dopo la mobilitazione che ha raccolto 75mila firme di cittadini e coinvolto 650 associazioni, più il sostegno di 50 enti locali.
E ci sono anche coloro che richiamano l’art. 11 della Costituzione: “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, manifestando perplessità per le scelte fatte dai politici a detrimento di welfare e cultura.