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Anonymous e la sfida dei diritti digitali

(di Carola Frediani, giornalista e autrice dell’ebook Dentro Anonymous. Viaggio nelle legioni dei cyber attivisti – Informant  editore)

L’altra sera stavo parlando con un gruppetto di “anons” internazionali, cioè di membri di Anonymous, particolarmente attivi su uno dei loro network IRC di riferimento. Si discuteva tra le altre cose degli attacchi DDoS, quelli usati per mandare offline un sito, per intenderci, e del loro significato. Alcuni dei presenti erano molto dubbiosi sulla loro efficacia attuale e soprattutto sulla loro tenuta simbolica sul lungo periodo come mezzo per attirare l’attenzione dei media, pratica in cui Anonymous – e di questo va dato loro atto – è abilissima, differenziandosi da precedenti esperienze di cyberattivismo.

Ci sono stati casi in cui hanno funzionato bene, come quando abbiamo fatto la campagna sulla Tunisia (Op Tunisia), poiché hanno contribuito ad attirare l’attenzione internazionale su quanto stava avvenendo e sulle azioni di Anonymous”, ha commentato uno di loro. Ma in altri casi, ha obiettato un altro dei presenti, “rischiano di cozzare con l’idea di free speech, di libertà di espressione”, di contrasto a ogni forma di censura, che è la vera essenza di un movimento altrimenti variegato, liquido e acefalo, è il minimo comune denominatore in cui si riconoscono i suoi appartenenti, ed è anche uno dei campi di battaglia su cui si giocherà il controllo della Rete da qui ai prossimi anni.

La difesa della privacy e delle comunicazioni personali, il rifiuto di forme di sorveglianza indiscriminata e di massa, che rischiano di portare a una “intercettazione strategica”, come la definisce Julian Assange nel suo libro a più voci Cypherpunks, ma anche, di conseguenza, l’utilizzo di strumenti crittografici da parte degli individui, tutti temi che sono sempre esistiti ma sono stati portati avanti perlopiù da gruppetti minoritari, se non addirittura considerati fissazioni da critpo-anarchici, oggi sono entrati prepotentemente nell’agenda di Anonymous e questo potrebbe significare una loro popolarizzazione e una loro diffusione in diverse fasce di popolazione, a partire dai più giovani. E non a caso, proprio per il 23 febbraio, è prevista una giornata di mobilitazioni al riguardo, la OpBigBrother, e sarà interessante tra l’altro capire se saranno usate modalità diverse di azione al di là delle classiche violazioni informatiche.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=nq2a1zY0eWE[/youtube]

(In questo video la sintesi dei temi trattati nel testo Cypherpunks)

I tavoli su cui gioca il movimento di hacktivisti sono ovviamente molteplici. E spesso hanno coinciso con la difesa più esplicita dei diritti umani, dal sostegno alla Primavera Araba alle operazioni per denunciare lo sfruttamento delle miniere di coltan in Congo con i loro pesanti  effetti collaterali sulla stabilità dello Stato centrafricano, per finire qui in Italia con la stessa Ilva di Taranto. Ambientalismo, diritti dei lavoratori, diritti politici: temi classici dell’attivismo legato alla difesa degli human rights declinati in chiave digitale.

Ma a mio parere l’aspetto più interessante di Anonymous, ed anche la sua sfida come movimento che pur tra le sue mille contraddizioni e mancanze vorrebbe influire sulla società, sta proprio nella possibilità di trasformare i nuovi diritti digitali in diritti umani. In un certo senso lo sono già, ovviamente. Il punto è capirlo, farlo capire e comportarsi di conseguenza.

 

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