[Nota: Traduzione a cura di Emanuela Ciaramella dall’articolo originale di Anonymous pubblicato su openDemocracy]
Domenica 16 giugno 2012 un gruppo di studenti sudanesi dell’Università di Khartoum ha iniziato una marcia partendo dai propri dormitori in segno di protesta contro le misure di austerità imposte dal Governo. Misure che hanno portato a un aumento vertiginoso del prezzo dei beni e dei servizi primari. Durante la successiva ondate di proteste – aumentate in pochissimo tempo e che hanno incluso anche gli appelli per un cambio di Governo – comuni cittadini sudanesi sono scesi in piazza nella capitale Khartoum e nelle città di Kassala, Gedaref e Sennar.
L’avvio di queste proteste ha dimostrato la nascita di una nuova generazione di giovani attivisti che stanno rapidamente emergendo come principale forza politica del Paese. Al centro di questa lotta vi è il Girifna, movimento non violento che ha rivestito un ruolo fondamentale nel gestire la rivolta attraverso la mobilitazione di manifestanti, il coordinamento delle azioni di protesta e delle marce e la diffusione di notizie sulle violazioni dei diritti umani contro manifestanti e attivisti.
Girifna, che tradotto dall’arabo significa “siamo stufi” o “siamo disgustati” è stato fondato da un gruppo di studenti universitari nell’ottobre del 2009 per incoraggiare i cittadini a votare nelle elezioni che si sarebbero tenute nel maggio 2010.
Tali elezioni – che sono state le prime dopo 21 anni – sono state viste come un modo per arrivare ad un cambiamento politico con metodi non violenti. Tuttavia, l’obiettivo non è stato raggiunto. Il National Congress Party, arrivato al potere con un colpo di stato militare nel 1989 e guidato da Omar al-Bashir (raggiunto da un mandato di arresto dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità per il suo ruolo nella guerra in Darfur) è rimasto in piedi, nonostante le accuse di corruzione, intimidazione e manomissione dei voti da parte dei partiti dell’opposizione.
Dopo le elezioni, Girifna ha continuato a perseguire il suo obiettivo e ad organizzarsi per cambiare il regime. Un attivista del gruppo che ha scelto di parlare in anonimato (la chiameremo Heba in questo articolo), afferma: ”riteniamo che l’ideologia del NCP sia la causa di tutti i nostri problemi. Siamo un Paese con differenti culture, lingue e religioni. Abbiamo bisogno di essere governati in modo che questa diversità venga accettata. Ma le persone che militano in quel partito non sono in grado di accettare e comprendere la diversità. La loro ideologia è imporre la supremazia della cultura araba, dell’islamismo. Questa è un’ideologia discriminante, razzista e che strumentalizza la religione al fine di marginalizzare molte persone del Sudan”. Heba insiste che la secessione del Sud del Sudan non abbia risolto affatto i problemi del Paese. Che anche dopo la secessione continua a conservare le sue diversità etniche, culturali e religiose. E così l’ideologia del regime continua ad essere la principale causa di oppressione. “Il nostro principale obiettivo era ed è che il NCP vada via.”
Il movimento è rappresentativo del malcontento di molti giovani sudanesi, che si dicono “stufi” non solo del governo brutale del NCP ma anche delle politiche dei tradizionali gruppi e partiti dell’opposizione. Tali partiti – come il Partito Nazionale Umma, il Partito Comunista e quello dei Democratici Unionisti – sono altamente settari e gestiti da una vecchia generazione di politici e attivisti maschi.
È il fallimento di questi partiti che ha reso possibile ed efficace la resistenza contro la dittatura dell’NCP che va avanti da 23 anni, portando alla nascita di Girifna e altri gruppi giovanili che sono sorti lungo questa ondata di protesta. “I partiti dell’opposizione hanno fallito“, dice Heba. “Hanno fallito all’opposizione e hanno fallito quando sono stati al potere.” Inoltre, aggiunge Heba, i partiti dell’opposizione hanno anche sistematicamente evitato di prendere in considerazione i giovani e consentire loro di essere “creativi, innovativi e di esercitare la leadership”.
Ciò che contraddistingue Girifna da altri vecchi gruppi, non è solo il suo elettorato giovanile, ma anche la diversità dei suoi membri. Gli attivisti di Girifna provengono da tutte le parti del Paese – da Khartum, Darfur, dai Monti Nuba, dal Sudan orientale e prima della secessione anche dal Sud del Sudan. Il movimento ha anche attinto dai talenti e dalle competenze dalla massiccia popolazione di giovani sudanesi che vivono all’estero.
Anche le donne hanno giocato un ruolo consistente ed importante come leader e partecipanti del movimento. Una delle recenti proteste coordinate da Girifna nel luglio scorso, denominta ”Kandake Protest” o “Protesta delle donne forti”, ha visto coinvolte madri, figlie, sorelle e tante altre persone che sono scese in piazza contro il regime.
La differenza tra Girifna e i gruppi di opposizione più tradizionali è evidente anche nella tattica, in quanto il gruppo si caratterizza da creatività, innovatività e mancanza di paura. Il movimento – decentrato nella struttura e guidato dai volontari che vivono in Sudan e nella diaspora – fanno ampio uso di Internet per organizzare e far conoscere all’interno del Paese e a livello internazionale la resistenza al regime, e per farlo possono contare su una cerchia di attivisti, blogger e giornalisti. Come nota Heba, “negli ultimi tre anni siamo davvero stati nella prima linea dei nuovi mezzi di comunicazione“. Attraverso il loro sito web, la pagina Facebook e Twitter, i volontari documentano le violazioni dei diritti da parte del regime e organizzano e rendono note azioni, proteste e campagne a favore dei prigionieri politici.
Una delle campagne lanciate su Internet che ha avuto maggior seguito è stata quella organizzata per Safia Ishag, un’attivista del gruppo che è stata rapita e violentata dai membri della gang della National Intelligence e dei servizi di sicurezza (Niss), a Khartoum, dopo aver partecipato a una manifestazione politica nel gennaio del 2011. I membri di Girifna hanno registrato la testimonianza di stupro di Ishag e con il suo permesso hanno messo on line il video.
Un video (qui sotto), che ha ricevuto migliaia di visite su Youtube e che ha rappresentato una pietra miliare senza precedenti per le donne del Sudan. Nonostante lo stupro sia noto per essere un mezzo largamente utilizzato dal regime nei confronti delle donne (notoriamente perpetrato dalle milizie che appoggiavano il regime di Janjawee durante la guerra in Darfur), per le donne è profondamente imbarazzante parlare pubblicamente della loro violenze .
La testimonianza di Safia Ishag, dunque, ha rappresentato un momento storico per le vittime di violenza sessuale perpetrate dal regime, poiché è stata la prima volta che una donna ha infranto, pubblicamente e senza imbarazzi, la barriera del silenzio per parlare della violenza subita.
[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=Mb2960uQfg4[/youtube]
La presenza del movimento su Internet è stata vitale per la rivolta nel Sudan. Data la dura repressione della libertà di stampa e della libertà di parola nel Paese, per la partecipazione dei manifestanti è stata determinante la presenza di Girifna in Rete. Presenza che garantiva l’accesso alle informazioni e al coordinamento delle azioni.
È stato attraverso la pagina di Facebook del gruppo che è stato coniato il nome di una delle più grandi proteste, “il venerdì del lecca gomito“, in riferimento a una dichiarazione di Bashir in cui il leader politico sosteneva che il tentativo di rovesciare il regime sarebbe stato tanto utile quanto leccare il proprio gomito. Nel periodo che ha preceduto la protesta, avvenuta poi il 30 giugno, innumerevoli attivisti e simpatizzanti di Girifna, in segno di disprezzo alla dichiarazione di Bashir hanno postato immagini di sè stessi, dei loro amici, dei loro figli mentre si leccavano i propri gomiti. Da giugno in poi, il gruppo ha continuato a coordinare le proteste, tra cui cortei a sostegno dei detenuti politici e manifestazioni in segno di solidarietà al Darfur. Sin dall’inizio delle proteste, l’adesione al gruppo sulla pagina Facebook è più che triplicata, se prima erano circa 11.000 le persone iscritte, a distanza di poco più di un mese c’erano quasi 40.000 sostenitori.
Ma se Girifna ha dimostrato di essere efficace in Rete, lo è stato altrettanto per le strade del Sudan. “Una delle cose che distingue questo movimento dagli altri“, dice Heba, “è che fin dall’inizio siamo stati molto critici nei confronti del regime.” Negli ultimi tre anni, il movimento ha spesso organizzato forum tematici sulle questioni politiche e forum giovanili su questioni di giustizia sociale (forum in cui la polizia e i servizi di sicurezza interna hanno fatto regolarmente irruzione), ha distribuito opuscoli che criticavano le attività del Governo, ha intrapreso attività di sensibilizzazione porta a porta, ha tenuto manifestazioni in centri urbani affollati, come i mercati e nei centri nevralgici per il sistema di trasporto e ha disegnato graffiti in protesta al regime in tutta la capitale.
Le tattiche del movimento hanno dato i loro frutti. “Se Girifna è riuscita in qualcosa“, dice Heba “è stato sfidare ed infrangere la barriera della paura in Sudan“. In effetti, lo stile provocatorio del gruppo e il coraggio dei suoi militanti nel battersi contro le autorità statali hanno ispirato molti sudanesi a comportarsi allo stesso modo. Le proteste scoppiate a seguito delle misure di austerità del Governo, se da una parte sono state spontanee, dall’altra testimoniano un nuovo coraggio e la determinazione di gran parte dei sudanesi nel voler affrontare il regime a testa alta. Questo è uno stato d’animo che è stato ampiamente favorito e incoraggiato dagli attivisti del movimento nel corso degli ultimi tre anni, e sta cominciando a dare i suoi frutti in maniera diffusa.
Ma i successi del movimento hanno avuto un costo. Nella recente ondata di proteste, per esempio – in cui quasi 2.000 persone sono state arrestate – quelli collegati a Girifna sono stati presi violentemente di mira dalla polizia e dalle forze dell’ordine. Heba spiega: “Siamo stati il movimento preso più di mira [per gli arresti] perché abbiamo molti aderenti e parecchi fanno attività in strada e quindi sono abbastanza noti“. “La nostra sfida principale in questo momento è la questione delle detenzioni, un problema per l’intera nazione, non solo per noi.” Un recente rapporto pubblicato sul sito del movimento, mette in evidenza la situazione dei detenuti, a molti dei quali è stata negata la rappresentanza legale e sono tenuti in carceri segrete dove vengono anche picchiati o torturati.
Nonostante questi ostacoli, Heba dice di avere speranza per il futuro, contrastando l’analisi pessimistica dei media occidentali, che hanno generalmene descritto le recenti proteste in Sudan come insignificanti rispetto alla “Primavera araba”. Ciò che è ci incoraggia, fa notare l’attivista, è che alcune spaccature stanno cominciando ad emergere all’interno dell’apparato di sicurezza dello Stato. Heba racconta di un amico che è stato testimone delle dimissioni di un membro dei Servizi di Sicurezza e di Intelligence nazionale, che ha lasciato il suo lavoro in segno di protesta contro il trattamento dei detenuti. Girifna ha inoltre recentemente pubblicato una fotografia di un poliziotto con il volto nascosto che mostra un cartello a sostegno dei manifestanti. Inoltre, ci sono state liti tra i membri della polizia e dei servizi di sicurezza, a causa di disaccordi sul trattamento dei detenuti.
“Io personalmente sono molto ottimista per il futuro“, dice Heba. “Il cambiamento ci sarà … L’NCP è stato al potere per 23 anni. Il gioco ora è finito.
Non conoscevo gli sviluppi del movimento degli attivisti sudanesi e il video di Safia è commovente, straziante, ma una testimonianza necessaria. Mi auguro che Heba abbia ragione, che la stagione della violenza e dei soprusi sia finita per il Sudan! O che la vera lotta sia finalmente cominciata…